La
tematica della violenza contro le donne, che si tratti di stupro o di
femminicidio, contiene in sé stessa il concetto di “vittima/carnefice”. Binomio
classico dal punto di vista psicologico: dove c’è vittima c’è carnefice, e dove
c’è carnefice, c’è vittima. Il gioco delle parti è conosciuto e chiaro. La
povera, debole, indifesa donna che soccombe di fronte alla cieca violenza del
carnefice, impersonificato da colui che avrebbe dovuto “difenderla” e
“accudirla”.
La
donna, nella società patriarcale, è vittima designata. Non ha diritti, perché
non ha autonomia. Non ha autonomia, perché non possiede indipendenza economica
e psicologica. Madre e moglie, questo deve essere, e SOLO in nome di questo,
può, eventualmente, richiedere il rispetto. E, al massimo, può chiedere di
essere “accudita”, “difesa”. Come persona non se ne parla, infatti la società
patriarcale non prevede per la donna lo status di “persona”, al massimo di
madre, rispettabile come tale, e moglie, un po’ meno rispettabile, poi c’è
sempre l’alternativa della “puttana” ossia di quella che non è né madre né
moglie, quella non ha diritto al rispetto.
Proviamo
a ribaltare il concetto: la donna ha diritto al rispetto in quanto
PERSONA, persona con una sua propria
individualità, un suo progetto di vita, una realtà personale che richiede il
rispetto a prescindere.
Questo fa paura. Il patriarcato non l’accetta, la donna
non è persona, è moglie, e deve essere rispettata in quanto tale, è madre, e
deve essere rispettata in quanto tale, ma non è PERSONA e in quanto tale non
deve essere rispettata, per cui, se una donna non rispetta il suo ruolo, e
pretende di essere persona, può, anzi deve essere violata, violentata,
picchiata, uccisa
.
La
donna non è passiva, è soggetto attivo della propria vita e della società. La
donna non è specie protetta come i panda del wwf.
La donna è persona, è
soggetto sociale e politico, e la violenza contro di lei è VIOLENZA POLITICA
contro la sua individualità di persona.
Il
patriarcato ha la capacità di inglobare e vanificare, attraverso la
mistificazione, ogni legittima aspirazione delle donne. La donna come vittima,
e l’autoidentificazione delle donne stesse come vittime, fa il gioco del
patriarcato.
Siamo
noi stesse a doverci allontanare dal concetto di noi stesse come vittime, come
“anello debole” della società, e a reclamare il rispetto che ci è dovuto come
persone.
Porre l'accento sul concetto di persona e non di vittima,
consente di smascherare ed impedire tutte quelle politiche securitarie,
sessiste e razziste, poste in essere in questi anni, dagli enti ed organismi
statali (ronde, bus rosa, ecc..).
Politiche pubbliche che, ancora una volta, delegittimano
e squalificano le donne, le rinchiudono nel cerchio vizioso di esseri
vulnerabili, di fatto, continuando a inferiorizzarle, discriminarle a
svalutarle come soggetti e come cittadine. Inoltre, la violenza fisica, il
femminicidio sono le forme più estreme della violenza di genere che subiscono
le donne in casa, sul lavoro, in tutti gli ambiti e settori della loro vita
quotidiana. La struttura patriarcale e capitalista con le sue politiche dei
tagli alle risorse, privatizzazioni dei servizi pubblici, flessibilità del
mercato del lavoro, leggi razziste sull'immigrazione, intensifica la
marginalizzazione delle donne creando e/o mantenendo una dipendenza economica e
sociale, impedendo di liberarsi da situazioni di grave conflittualità
relazionale. Essere riconosciute persone ci fa soggetti di diritti e non esseri
vulnerabili, bisognose di tutori. Per questo contro il binomio
carnefice-vittima diciamo basta ad un sistema che si fonda sulla
diseguaglianza, sulla discriminazione, sullo sfruttamento; diciamo basta ad un
maschilismo protezionista, che perpetua la violenza contro le donne, che
sostenta le strutture sociali androcentriche.
Noi donne non vogliamo più sbarre protettive che servono per il controllo dei nostri corpi e per il dominio patriarcale-capitalista.
Noi donne non vogliamo più sbarre protettive che servono per il controllo dei nostri corpi e per il dominio patriarcale-capitalista.
La violenza contro la donna nasce dalla paura della liberazione della donna.
Ma è dalla liberazione dal bisogno, dai mandati e privilegi patriarcali, dall'amore per noi stesse, che possiamo porre fine alle discriminazioni, alla violenza e all'odio di genere.
Il
dualismo “vittima – carnefice” è un rapporto a doppia via: la vittima si fa
vittima e lascia spazio al carnefice, il carnefice approfitta e accontenta la
vittima. Basta con questa mistificazione.
Il
rapporto vittima carnefice si basa sul senso di colpa della vittima, che, se è
vittima, in fondo è colpa sua.
Già,
perché la “vittima” è tale in quanto non accetta il suo destino, perché cerca
di autodeterminare la sua vita, perché rifiuta, perché dice NO.
Non
è certo un caso che la stragrande maggioranza dei femminicidi avvenga nella
coppia, e che la violenza venga scatenata dal rifiuto della donna di continuare
la relazione. La donna che fa una scelta di indipendenza, che rifiuta la
“protezione”, che si ribella al possesso, deve pagare con la vita.
E’
la liberazione che fa scatenare la bestiale reazione del patriarcato, che non permette deroghe alla sua
sopraffazione.
Ma
è il ricatto psicologico alla base di tutto, ed esso comincia molto prima che
si consumi la violenza vera e propria. Comincia con l’idea che la donna, in
nome di un “amore” che assomiglia più al bisogno che alla libertà, debba
“sacrificarsi” per “meritare” tale “amore”.
L’”angelo
del focolare” subisce ed è grata dell’attenzione dell’uomo, che attraverso tale
attenzione le conferisce dignità.
Lo
stereotipo della “zitella” è il più chiaro di questi meccanismi. La zitella è
colei che non si è “meritata” l’attenzione e la “protezione” di un uomo!
Ma
questa “protezione” non è scontata, si può perdere in qualsiasi momento, basta
dar segni di insofferenza e manifestare il desiderio di camminare da sola. La
protezione-gabbia, diventa violenza cieca.
La
“vittima” designata ha paura.
Paura di perdere l’”amore” dell’uomo, paura di
perdere lo status che le conferisce rispetto. Paura del mondo esterno che è
vissuto come estraneo e sconosciuto, non alla sua portata.
Scrive l'antropologa, Paola Tabet:
Lo statuto e il valore più o meno
coincidono nel trattamento che ne fanno le società. Un rapporto di potere? Se
una persona – o meglio una classe intera di persone – non ha diritto alla
propria sessualità, se fin dalla nascita è destinata a entrare in un rapporto
dove dipenderà da un’altra persona e in cambio del mantenimento e di una
posizione di legittimità sociale dovrà dare servizi sessuali, domestici e
riproduttivi, quando questa persona per di più entrerà in questo rapporto in
maniera non contrattuale, ossia per essere chiari, quando questi servizi non
sono oggetto di un contratto che ne definisca la misura – essi dunque non sono
assolutamente quantificati – quando per di più vi è, e vi è stato in passato,
la possibilità, spesso messa in atto, di costringere per mezzo della violenza
questa persona a dare questi servizi, penso si possa parlare senza alcuna
esitazione di un rapporto di potere. Ma il rapporto di potere è alla base
dell’intera organizzazione della società. E il rapporto di potere vale anche
per le forme non legittime, anche se queste si possono manifestare come forme
di resistenza.
Per il momento dobbiamo constatare che il servizio sessuale delle donne per gli uomini è un fatto ovvio e indiscutibile. ( "Rapporti sociali tra i sessi e rapporti di potere" - Paola Tabet, Libera Università delle donne)
Per il momento dobbiamo constatare che il servizio sessuale delle donne per gli uomini è un fatto ovvio e indiscutibile. ( "Rapporti sociali tra i sessi e rapporti di potere" - Paola Tabet, Libera Università delle donne)
BASTA
NON
ABBIAMO BISOGNO DI AIUTO, ma di rispetto, lo esigiamo, lo pretendiamo, ce lo
prenderemo comunque, che vi piaccia o no.
La
violenza contro le donne nasce dalla paura. NOI NON ABBIAMO PAURA.
Noi
vogliamo ribaltare il rapporto patriarcale, e dire a gran voce: NON ABBIAMO
BISOGNO DI VOI!!!!!!!
Solo
dalla liberazione dal bisogno, dalla scelta di liberazione, dalla
consapevolezza della propria individualità e dall’AMORE per NOI STESSE, nasce
la rivoluzione.
Il
senso di colpa, cattolico, clericale e patriarcale, ci vuole eterne vittime,
bisognose di aiuto. NO GRAZIE!!!!!!!
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