martedì 3 maggio 2016

La storia della rabbia femminile.

di Stassa Edwards


L'ira delle donne è una forza molto potente, considerata pericolosa e destabilizzante, che semina il caos in case felici e nelle comunità più tranquille. Gli stereotipi sulla ira femminile abbondano: la moglie urlatrice, la ex fidanzata pazza, le nazi-femministe, le donne nere incazzate. Queste espressioni sono luoghi comuni ai quali si ricorre con facilità, quando la rabbia della donna minaccia di sabotare un determinato senso dell’ordine sociale.
Eppure, nonostante gli avvertimenti e i disprezzi, ci sono donne che si sono rifiutate di rimanere in silenzio, che hanno scatenato la loro rabbia e l’hanno lasciata traboccare. Nelle loro mani, l’ira è un radicale rifiuto a rimanere zitte, il rifiuto a emarginare le loro emozioni più fastidiose alla società. La storia è piena di donne che si rifiutano di obbedire ai consigli offerti in tempi moderni, ispirati nell' Oprah, del "lascia correre".

Dalla Bibbia al Rinascimento.


“ Meglio dimorare in un deserto che con una donna litigiosa e aggressiva”, " si legge in un versetto del libro dei Proverbi nel Vecchio Testamento.  Questa riflessione è abbastanza scioccante per il messaggio cui rimanda: è preferibile condurre una vita di clausura, vagando per il deserto, piuttosto che vivere con una donna, che osa esprimere qualsiasi segnale di insoddisfazione. Se una donna vuole mantenere il marito felice e vivere in una casa armoniosa, è meglio che spazzi la sua rabbia sotto il tappeto o  la chiuda nel fondo di qualche cassetto della sua mente con la etichetta, “ non aprire”. Sembra un compito quasi impossibile, poiché si è dimostrato in uno studio che, noi donne, abbiamo tassi più elevati di rabbia e la sentiamo con maggiore intensità e persistenza rispetto agli uomini. E le ragioni di questa rabbia, secondo la scienza moderna, non sono astratte in assoluto: le donne si sentono più furenti quando sono trattate con condiscendenza, le ignori o le rifiuti. Una indagine ha rivelato in modo schiacciante che, "le donne tendono a sentirsi arrabbiate per i comportamenti negativi degli uomini, mentre gli uomini tendono ad arrabbiarsi dalle reazioni emotive negative delle donne."
I Proverbi, tuttavia, non consigliano gli uomini a cambiare i loro comportamenti né suggeriscono che possano essere loro la causa della rabbia delle donne. Essi suggeriscono semplicemente che cerchino la solitudine e l’isolamento. Forse per questo che le società trattano la rabbia delle donne con grande disprezzo a prescindere dal contesto culturale o posizione geografica.

La prima donna - della quale abbiamo notizia - che abbraccia apertamente la sua rabbia fu la scrittrice del XVI secolo, Jane Anger, un nomen omen (Anger, significa ira in inglese). Nel suo opuscolo pubblicato nel 1589, Protection for Women (protezione per le donne), Jane attacca l’ignoranza dei suoi colleghi maschi, la facilità con cui ricorrono agli stereotipi del "sesso debole" e la loro arrogante convinzione che l’ipotesi è sinonimo in un fatto constatato. Jane non scrisse il suo fervido opuscolo per rispondere alle idee degli uomini rispetto alle donne ma scrisse Protection for Women, per esprimere l'inesprimibile. Lo scrisse per esprimere la sua rabbia.
La stessa Jane riconosce che la rabbia fu la sua musa e descrive il suo test come “qualcosa che la mia vanità e il mio cattivo genio hanno scritto in fretta…. È stata l’IRA che lo ha scritto”. E la sua prosa è particolarmente critica con gli standard dell’epoca, una deviazione radicale dal tono conciliante che ci si aspettava adottassero le donne nel XVI secolo.
Jane non lasciò nulla nel calamaio e nel suo manifesto proto-femminista attaccò gli uomini per la loro lascivia, i loro eccessi e il loro rifiuto a rompere con la retorica tradizionale, che descriveva le donne come troie senza cervello:


“ Maledetta sia la falsità degli uomini le cui menti spesso agiscono sconsideratamente e le cui lingue non si fermano, arrancando per criticare. Avete mai visto qualcuno tanto disprezzato, maltrattato, criticato o trattato in modo così vilmente immeritato come noi donne?”

Gli studiosi di letteratura inglese antica, continuano a dibattere se Jane Anger era uno pseudonimo o un nome casuale. Alcuni (uomini) si chiedono addirittura se Jane fosse una donna o un uomo parlando per bocca di donna, qualcosa chiamato “ donna ventriloqua” ma sembra improbabile che Jane fosse un uomo. Non ci sono uomini capaci di esprimere tanta passione e lasciare che una donna si prenda il merito.
Jane finì per essere una donna molto influente, il suo pamphlet fu uno delle prime articolazioni della frustrazione che sentirono le donne, di fronte al modo di vivere il mondo soprattutto, perché, questa percezione determinava il ruolo delle donne nelle relazioni eterosessuali.

“Neppure l’inferno contiene tanta furia come una donna disprezzata”

Consideriamo questo famoso paragrafo da The Mourning Bride, de Congreve (1679): "Il cielo non ha la rabbia come l'amore all'odio/ Né inferno una furia come una donna disprezzata". E’ una frase così radicata nella nostra coscienza collettiva che la sua manifestazione sembra quasi naturale.

Da Wollstonecraft a Woolf
E’ stata precisamente questa l'ideologia che ha attaccato Mary Wollstonecraft in Rivendicazione dei diritti della donna (1792) quando scrive: "Solo combatto contro la sensibilità che ha portato degradare le donne trasformandole in schiave dell’amore.”
La rabbia della Wollstonecraft si presentava addolcita per le sue buone maniere – non era coperta dall’anonimato come per Jane Anger - ma anche così esplorò le profondità della espressione di rabbia. Era una rabbia che nasceva dalla assenza della visibilità e, per estensione, dalla mancanza di identità. Questo tipo di ira profondamente intellettualizzata era il modo più abituale di articolare le idee tra quelle donne.
Virginia Woolf è possibile che sia stata l’incarnazione finale di quel tipo di rabbia raffinata. Gran parte del suo lavoro è un'esplorazione della frustrazione derivante dall'essere in grado di gestire il linguaggio senza alcun potere.  In Una stanza tutta per sé, Woolf descrive la rabbia presente nelle opere di altre donne, riflettendo in questo modo la rabbia che essa stessa provava.
Woolf credeva che la rabbia fosse una reazione al dramma per le donne di essere considerate cittadine di seconda classe, in particolare il lavoro di Charlotte Brontë, una scrittrice con tanta rabbia, che scrisse su una pazza che viveva in una soffitta e incendiò una casa.
“ Possiamo sentire l’influenza della paura nella opera”- scrive Woolf su Jane Eyre, di Brontë “così come un’acidità costante, risultato della oppressione : una sofferenza sepolta sotto la sua passione latente." Woolf identifica la tensione tra la percezione che la rabbia femminile è invasiva, una forza corrosiva che mina il potere creativo delle donne e di una reazione legittima all'oppressione. La rabbia inonda il lavoro di Woolf, Bronte e molti altre scrittrici che sentirono la forza temibile della oppressione.

La seconda ondata del femminismo.

L'ira della Woolf ha trovato una nuova forma di espressione nella metà del XX secolo, un periodo che è diventato l'età d'oro delle donne arrabbiate. La seconda ondata del femminismo è stata supportata dalla manifestazione della rabbia; si trattava di una generazione di donne che diedero origine al femminismo rabbioso e lo fecero pensando che avrebbe potuto rovesciare il patriarcato: "Ho nutrito e protetto la mia rabbia femminista come fosse mia figlia” scrisse la critica femminista Jane Marcus.
Quella rabbia risultava palpabile nel manifesto SCUM di Valerie Solanas (1968) e nell'installazione del video Semiotics of the Kitchen, de Martha Rosler (1975), nel quale agitava un coltello. Per sei minuti, Rosler recita l’alfabeto tenendo un accessorio di cucina che corrisponde a ogni lettera. Mentre lo fa, Rosler guarda fissa la camera. Conformemente recita nominando gli oggetti della sua repressione, ogni volta sempre più sconvolta. Pugnala con coltelli, lancia a terra aggeggi pesanti e, quando, arrivano le lettere "W, X, Y e Z" ha già completamente abbandonato il suo tentativo di nominare gli oggetti da cucina. Al contrario, contorce il suo corpo per imitare le lettere, brandendo un coltello con la mano destra e una forchetta con la sinistra. Alla lettera “Z”, lascia cadere la forchetta e come Zorro disegna una zeta nell’aria. Nelle mani di Rosler, l’azione celebrativa di un eroe immaginario diventa un'espressione minacciosa di impotenza.
Solanas, che va al punto, chiama gli uomini "mucchio di merda".
Rosler teneva i coltelli e Solanas, che in seguito avrebbe sparato ad Andy Warhol, aveva la sua pistola. Questo tipo di rabbia violenta era nuovo, non era del tipo stilato dagli antichi poeti, nemmeno del tipo che può essere rotto dalla bellezza né essere infantilizzato.
Nessun uomo potrebbe leggere SCUM o vedere Semiotics e dire con condiscendenza "Quanto sei bella quando sei infuriata." Né Solanas né Rosler lasciano spazio alcuno alla calma e l’ira qui non è semplicemente uno sfogo appassionato: si esplorano i suoi contorni e si cercano i suoi confini in prospettiva distruttiva.


hooks, Lorde e la cultura della visibilità.

Anche se la ira della seconda ondata aveva una finalità liberatoria, possedeva delle limitazioni. Solanas e Rosler, Kate Millet e Judy Chicago, avevano tutte qualcosa in comune: erano donne bianche. Anche se cercavano di liberare la loro rabbia, la seconda ondata si agitava di fronte all’ira delle donne nere e le consigliavano di reprimere la loro furia per mantenere la stabilità.
Le donne bianche esigevano dalle nere che facessero esattamente ciò che il patriarcato aveva richiesto a esse durante il secolo. “ le bianche hanno colonizzato le africane” – scriveva bell hooks. “ Parte di questo processo di colonizzazione è consistito nello insegnarci a reprimere la nostra rabbia, di non trasformarle nell’oggetto dell’ira che abbiamo nei confronti del razzismo” Se l’espressione sfrenata di rabbia era diventato un nuovo strumento per abbattere i muri, le femministe bianche raccolsero i detriti di questo malconcio edificio e lo utilizzarono per respingere la rabbia delle donne nere.
Le femministe bianche avrebbero potuto lottare con gli insulti che gli dedicavano gli uomini, trasformando in qualcosa di potente, l’essere una moltitudine di femministe arrabbiate, però scelsero il silenzio. “ Ci si aspetta dalle donne nere che usiamo la nostra rabbia al servizio della salvezza delle altre ma questo tempo è passato", affermò Audre Lorde in un discorso pronunciato nel 1981. "La mia rabbia mi ha portato un sacco di dolore, ma ha anche significato la mia sopravvivenza, quindi prima di abbandonarla, mi accerterò che ci sia qualcosa di altrettanto potente per sostituirla nel cammino verso la chiarezza".
Per le donne nere come hooks e Lourde possedere la rabbia era un atto particolarmente radicale. Lo stereotipo della “ Donna nera furiosa”, nasce dagli spettacoli minstrel del XIX secolo, un genere teatrale dedicato alla degradazione dei neri negli USA post-schiavisti. Tuttavia, questa affermazione radicale si è perduta con le femministe bianche che vedevano la mera espressione come un atto neutro al margine delle politiche razziali.

Negoziare la rabbia è stato un problema in quasi ogni ondata del femminismo. Tuttavia, anche se la rabbia può unire le persone,può anche dividerle. Le espressioni collettive della rabbia sono efficaci solo se tutti i membri di un particolare gruppo si sentono altrettanto rabbiosi.
Parlare di oppressione è un atto di potere ma le donne generalmente non formano un collettivo armonioso e percepiscono la loro impotenza in modi molto diversi e da diversi punti di vista.

[...]

La rabbia femminile che, una volta, è stata una forma palpabile di dissidenza,sembra ormai essere svanita dalle discussioni contemporanee sul femminismo e sembra essere stata sostituita da una specie di tamponamento catartico delle ferite.

Con l'emergere di relazioni collettive – di diversi gruppi e della sue versioni annacquate - sembra che il luogo tradizionalmente riservato per la rabbia genuina e onesta è evaporato.
Eppure, l’ira delle donne più pura e potente è nel contesto della storia un atto di ribellione. Le donne arrabbiate sono una spina nel fianco per molti.
Sembra, per fortuna che la storia della rabbia delle donne non sia ancora giunta al termine
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