martedì 27 dicembre 2011

Si chiama FEMMINICIDIO

 non "delitto passionale".






LUTTO PER STEFANIA: COMPAGNA, VITTIMA DEL SESSISMO

 http://www.officinarebelde.org/spip.php?article638

 

 

 







Daniel Rey Piuma : Il fotografo della morte

Le 130 scarne fotografie sui " voli della morte" e i documenti dei servizi segreti dell'Uruguay consegnati pochi giorni fa dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani al giudice federale argentino, Jorge Torres, non sono solo un caso. Il materiale trovato dal segretario della Commissione,Santiago Canton, esiste perché trent'anni fa il marinaio Daniel Rey Piuma disertò e denunciò al mondo la verità sui corpi "apparsi" lungo la costa uruguayana.

Daniel Rey Piuma è tuttora esule in Olanda. Solo sette volte è tornato nel suo paese da quell'ottobre del 1980, quando, con centinaia di negativi cuciti dentro i vestiti attraversò la frontiera con il Brasile e lasciò una madre, una famiglia, una vita. La sua testimonianza fu pubblicata in un libro ' Un marinaio accusa', che commosse le organizzazioni internazionali dei diritti umani con la sua documentata denuncia su ciò che era accaduto nel Rio della Plata.

Nel 2007 Rey Piuma si recò a Montevideo per testimoniare davanti al giudice Luis Charles e alla procuratora Mirtha Guianze nel processo dei " terzi trasportati" che portò in prigione  il dittatore Gregorio Alvarez, il capitano della nave Juan Carlos Larcebeau ed  alla fuga di Jorge Triccoli. Nella sua testimonianza Rey Piuma spiegò  l'uso sistematico della tortura usata in Marina e indicò i nomi dei principali responsabili che per la maggior parte non sono stati ancora processati.

Rey Piuma aveva lavorato tra il 1977 e il 1980 presso la Direzione dell'Intelligence della Prefettura Nazionale Navale(Dipre) e aveva raccolto documenti e prove sulla verità di quei corpi che il mare aveva ridato e che le autorità della dittatura uruguayana ( che collaborava con quella argentina) presentava come persone di origine asiatica organizzatrici di un ammutinamento in pescherecci in oltremare.. un ammutinamento che, a quanto pare, si pèrotrasse per anni.

Nella sua denuncia, Rey Piuma, accusa gli ufficiali  più il personale subalterno.
Tutti questi potranno essere coinvolti prossimamente in un processo per tortura che presenteranno le vittime.


In contatto con l'Olanda

la voce di Rey piuma è angosciata. Ci siamo scambiati messaggi su Internet ed ha accettato di rendere pubblico ciò che ha provato quando i mass-media internazionali hanno mostrato le immagini della documentazione fornita dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) consegnata al giudice Torres di Buenos Aires.
Un pò di rabbia per l'ignoranza sull'origine di questo materiale, ma ancora più rabbia per il tempo trascorso, quando tutto era già stato archiviato in Uruguay... e un pò di speranza per coloro che hanno sofferto in tutti questi anni.

Da quanto tempo aspettavi questo momento?

Da tanto... dal settembre del 1977,sottraendo e copiando documenti, registrando le torture,conducendo una doppia vita tutto il giorno. Nell'ottobre del 1980 scappai dal paese. Ho trascorso tre mesi in Brasile cercando di sfuggire ai servizi segreti argentini, brasiliani, uruguayani. Sono arrivato in Olanda il 22 dicembre del 1980,invitato dalla corona olandese.

Nel gennaio del 1981 ho comprato la mia prima macchina da scrivere ed ho cominciato a battere il mio rapporto in una città chiamata Berg aan Zee, nel nord dell'Olanda. Nel marzo dello stesso anno ho lavorato  con Amnesty International, a Londra e con la Colarch a Bruxelles. attraverso incredibili e complicate trame ho presentato finalmente la mia relazione nel novembre del 1982 alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani.

La tua denuncia ha avuto un grande impatto internazionale, poi...
Prima di quel momento avevo lavorato anche con il Sijau e con la lega dei giuristi democratici e altri. Il presidente della CIDH dichiarò nella sessione plenaria della Commissione, che il mio rapporto era la documentazione più completa e minuziosa finora ricevuta. Poi, alla fine della sessione, in una conferenza stampa, vennero dei teppisti armati che mi minacciarono di morte. Da allora, mi sono sempre guardato le spalle, così come un profugo, incluso soffrire di malattie.

Ho pensato, ingenuo come sono, che alla fine della dittatura, la macchina della giustizia si sarebbe messa in moto. Nel 1987, per intervento di Raul Sendic è stato pubblicato il mio libro. Non v'era altra intenzione che quella di stimolare affinché si indagasse sulle torture nella marina uruguayana e sull'origine di quei corpi trovati lungo le coste del nostro paese. Dopo una carriera professionale piena di successi - il direttore dello studio grafico più grande di Amsterdam, docente presso la Facoltà di Utrech- mi fece iniziare una terapia con vari psicologi che mi diagnosticarono un PTS ( Post Traumatic Stress Syndrome). Fino ad ora...
 

- Il tuo ritorno in Uruguay è stato quasi clandestino

In 34 anni sono stato in Uruguay solo sette volte, tre delle quali attraverso altri paesi e, ogni volta, che ritorno nel mio paese devo essere armato.

- Pochi anni fa hai viaggiato e testimoniato davanti alla giustizia uruguayana nella causa per la quale è ora in carcere Goyo Alvarez, adesso, il tuo rapporto davanti alla Commissione Interamericana è stato consegnato in mano alla giustizia argentina. Non erano questi gli obiettivi?

 
Tutto quello che sta succedendo in questo momento mi stordisce un pò. Mi dona un pò di speranza, ma allo stesso tempo mi acceca di rabbia e di impotenza. Nessuna delle lacrime versate da mia madre, tre giorni prima della mia partenza, baciandomi i piedi, perché non anadassi in esilio, vale la pena davanti all'apatia e indifferenza di coloro che, conoscendo questi documenti da molto tempo, non hanno mai fatto nulla. Io l'ho fatto per i nostri compagni, per mio zio scomparso, Carlo Arevalo e, perché no, per mia madre.


Cosa ti aspetti che accada adesso?

Spero che i compagni assassinati e le loro famiglie trovino pace.
Spero che non mi facciano visita con tanta frequenza, alcune notti, nella stanza degli ospiti dove mi rifuggio quando sono stanco di scaricare lo zaino e cerco di riposare.
Spero che dopo averli abbracciati e curati durante questi anni - come un padre con i suoi figli, come un fratello maggiore , come una madre gelosa e arrabbiata, li possa lasciare.
Spero che anch'essi mi liberino, affinché io possa per la prima volta nella mia vita,ballare. Non l'ho mai fatto, perché essi non potevano più farlo.
Spero di poter credere che, l'uomo, l'essere umano sia capace di amministrare la giustizia.
Spero che si possa insegnare ai bambini che la giustizia è possibile se noi tutti la vogliamo.
Spero che negli ultimi cinque secondi della ia vita - se sarò cosciente - sia ancora convinto che per tutto ciò che ho vissuto e perduto in questa causa  sia valsa la pena.


elmuertoquehabla.


(traduzione di Lia Di Peri)




denudata e con i seni bruciati dalla fiamma ossidrica













sabato 17 dicembre 2011

Voci dal Monzambico

 " Voci dal Monzambico"diretto da  Susana Guardiola e Françoise Polo.
Un lungometraggio che recupera le radici del passato per ricostruire un presente, Candidato al premio Goya, 2012, dell'Accademia delle Arti e Scienze Cinematografica di Spagna.

" Voci dal Monzambico riscatta la voce delle donne africane, che lottano quotidianamente per lo sviluppo dell'Africa. 
Cinque storie che rappresentano il ciclo della vita delle donne. E' l'ombra del mito reincarnato in ognuna di esse:
Josina Machel,prima eroina e guerrigliera monzambica, che lottò per l'indipendenza e i diritti della donna.
Donne che continuano rivendicando uno spazio di voce facendo propria la lotta di Josina.

voces desde mozambique


martedì 13 dicembre 2011

Le donne di fronte alla reazione patriarcale . " Verso una nuova politica sessuale"

Il libro, forse, non arriverà mai da noi. Mi interessava far rilevare l'approccio complessivo di temi e argomenti che generalmente vediamo argomentati  separatamente o marginalmente.O, spesso, non trattati.


Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito come spettatori passivi allo smantellamento dei nostri Stati, sia politicamente che economicamente.
Negli ultimi anni,questa strategia del sistema capitalista si è presentata più dura davanti a nostri occhi. Una strategia malamente chiamata " crisi del capitalismo" dato che si tratta di un'alleanza di più poteri economici a livello mondiale che ha causato una crisi profonda nel modello di società e del welfare che era stato costruito.

In questo contesto di smantellamento dello Stato, si osserva l'esistenza di un grande silenzio, su come influenzuerà e influenza la lotta per la parità tra donne e uomini, occorre chiedersi allora,la natura di questi cambiamenti e gli effetti sulle donne.

Questo è l'inizio del nuovo libro della professora di sociologia dell'Università della Coruña, Rosa Cobos*" Verso una nuova politica sessuale. Le donne davanti alla reazione patriarcale" nel quale mostra che uno degli effetti più categorici dei programmi di aggiustamento strutturale è la crescita del lavoro domestico non retribuito delle donne. Questo è il risultato diretto dei tagli alle prestazioni sociali da parte dello Stato, la rinuncia a quelle funzioni ( tra le altre,  salute, o alimentazione) che ricadono immancabilmente sulla famiglia e nuovamente sono assunte dalle donne.

Anche le politiche macroeconomiche hanno un'influenza significativa sul lavoro non retribuito e sulle condizioni di vita delle donne. Il sistema fiscale, le politiche monetarie e del cambio influiscono sulle condizioni materiali di queste. A tutto questo si aggiunge che le donne lavorano di più e in condizioni peggiori, ed essendo uno dei settori di popolazione più povera sono quelle che più hanno beneficiato dei programmi sociali e perciò sono quelle che più accusano le misure di aggiustamento strutturale, dal momento che a questi servizi vengono applicati i tagli nei bilanci nazionali.

I risultati di queste politiche economiche hanno un impatto immediato e visibile sulla vita delle donne e lo Stato  che ridefinisce ed amplia il "privato" per così rende così invisibili i costi del trasferimento dall'economia retribuita a quella non retribuita. La necessità di estendere il salario per poter far fronte alle necessità fondamentali quasi sempre comporta un aumento del lavoro domestico: più necessità di cucinare o cambiamenti nelle abitudini di acquisto, tra le altre cose. Il lavoro invisibile delle donne aumenta ogni volta che lo Stato non riesce a svolgere le funzioni relative alle prestazioni sociali, visto che sono le donne quelle che sostituiscono lo Stato.

Un altro aspetto negativo che questa sociologa mostra nel suo libro è l'ambigua inclusione delle donne nel mercato del lavoro globale. Ci dimostra come i nuovi sistemi di produzione flessibile, consistenti in un rapido cambiamento di una linea di produzione, richiedono un nuovo profilo di lavoratori/ trici. Devono essere persone flessibili,in grado di adattarsi ai rapidi cambiamenti, che possono essere facilmente licenziati, che siano disposti a orari di lavoro irregolari, ecc. Questo segmento del mercato lavorativo si sta trasformando in forza lavoro eterogenea, flessibile e temporanea, lavoratrici/tori senza posto fisso, mal pagate, con impiego a tempo parziale, lavoratrici/tori a domicilio, lavoratrici/tori a contratto per le piccole aziende semi-informali che si incaricano delle parti decentralizzate dei settori dominanti, ecc.

In tutti i paesi si tende alla deregolamentazione del mercato del lavoro, eliminando le norme di protezione e istituzionali con la scusa che sono ostacoli alla flessibilità e competitività.

Il mercato globale del lavoro mostra una crescente differenziazione tra uno strato di lavoratori,maggiormente uomini,altamente qualificati e con alti redditi e una "periferia" crescente, sempre più rappresentata da donne e migranti con occupazioni non permanenti, a contratto,sotto precarie condizioni lavorative e con un reddito basso ed instabile. In quasi tutte le regioni del mondo, la partecipazione delle donne sul mercato è aumentata, ma le condizioni sotto le quali si inseriscono in quel mercato sono sfavorevoli.
Il libro mostra anche da casi e circostanze concrete, come la globalizzazione, nella sua versione economica e neo-liberale sia un processo  che va sempre più approfondendo il divario tra ricchi e poveri e sta portando al limite la logica del profitto al di sopra di ogni progetto etico e politico di sviluppo umano. In questo contesto di vincitori e vinti, le donne non sono tra i vincitori, perché la loro inclusione nella nuova economia si attua in una zona segnata dalla disuguaglianza di genere.

Il capitalismo neo-liberale sta rinnovando il patto storico e inter-classista con il patriarcato a partire da alcuni nuovi termini.Sta eliminando una gran parte delle clausole,ma lascia intatto il nucleo di tale accordo che si traduce nella sottomissione agli uomini e allo sfruttamento capitalista e patriarcale. Sta gradualmente scomparendo la figura dell'uomo come fornitore economico della famiglia, ma appare una nuova figura, la "fornitrice frustrata" E' la donna che si inserisce nel mercato lavorativo globale, intrappolata in una giornata senza fine, a causa dell'aumento del lavoro domestico gratuito e invisibile ed ora, accede anche,al mercato del lavoro come lavoratrice " generica", flessibile, con la capacità di adattarsi a orari e compiti diversi, sostituta di un'altra che non accetta le condizioni di super-sfruttamento. Due sistemi egemonici - patriarcato e capitalismo neo-liberista- secondo l'autora- hanno patteggiato nuovi e più ampi spazi di lavoro per le donne, che si concretizzano nella rinnovata subordinazione agli uomini e nuove aree di sfruttamento economico e domestico.
In aggiunta a quanto sopra esposto,  troviamo nel libro, un tema che viviamo la maggioranza delle donne nei nostri paesi: la riflessione  sui rapporti tra  differenti culture. Negli ultimi decenni si sono intensificati i dibattiti e le discussioni suule relazioni tra le diverse culture. Il multiculturalismo, lo scontro di civiltà, il dialogo transculturale o la interculturalità, sono diventati oggetto di ricerca  e di discussione politica. La migrazione, l'informazione globalizzata,la povertà o i crescenti processi di uniformità culturale sono fenomeni sociali che stanno alimentando questo dibattito.

L'autora afferma che si sta producendo un rafforzamento delle identità culturali e di altre minoranze come risposta resistente ad una globalizzazione, che sembra voler eliminare qualunque specificità culturale e qualsiasi soggetto collettivo critico. E si interroga sul ruolo che giocano le donne all'interno delle culture e ciò che queste culture chiedono alle donne in esse inserite.

Secondo Rosa Cobos è un fatto che viviamo in una società multiculturale e che le donne sono la rappresentazione metaforica della cultura e su di esse cade il peso di difendere la sopravvivenza della comunità culturale. Esse sono le depositarie della tradizione  e le guardiane dell'essenza culturale. Pertanto risulta importante distinguere tra le pratiche culturali che devono essere rispettate  e protette  da quelle altre che devono essere demolite. Qui il femminismo, per l'autora, è una voce autorevole al momento di rilevare i limiti legittimi della tradizione.

Un altro punto che trova eco nel libro è come perdura, compresa la sua rivitalizzazione, la violenza sessuale. L'autora dichiara che la situazione delle donne è di grande ambivalenza, perché in gran parte del mondo, le donne hanno conquistato formalmente diritti individuali facendone anche uso. L'accesso a forme di indipendenza economica e di autonomia personale hanno permesso ad esse di negare qualche privilegio maschile all'interno delle sue relazioni familiari e di coppia. Le relazioni tra uomini e donne da una prospettiva micro-sociale sono cambiate significativamente in molte parti del mondo.
Ma la reazione del patriarcato si percepisce oggi, vedendo forme inedite di violenza, dal come i settori più intolleranti e fanatici delle società patriarcali stanno rispondendo con inusitata virulenza. Solo così può essere inteso il femminicidio o il diffondersi dello sfruttamento della prostituzione fino al punto di diventare la seconda o terza fonte dei profitti, dopo il commercio di armi e droga nel mondo. O, forse, afferma l'autora, tutto ciò è possibile perché in questo processo di riarmo ideologico del capitalismo e di riarmo ideologico del patriarcato, si sta verificando un processo di re-naturalizzazione della diseguaglianza. La prova di ciò è quel trasmettere attraverso tutti i livelli e mezzi di socializzazione e mediatici, l'iidea che la diseguaglianza è parte della condizione umana.
Sta guadagnando forza il concetto che la diseguaglianza non ha a che vedere con i processi sociali e politici, né con le strutture di dominio,né con il sistema egemonico, ma che la disegualglianza è parte ed è inerente all'esistenza umana.
Questa reazionaria forma di pensare si installa tra noi in modo totalmente silenzioso e sotterraneo, così da rendere possibile la perdita o la riduzione dei diritti lavorativi duramente conquistati o inserire la migrazione come cittadinanza di seconda o terza categoria.
In questo contesto che si sta diffondendo la perversa idea che la prostituzione è una pratica sociale neutra e un lavoro come un altro che non ha alcun rapporto con il patriarcato.

Questo libro dà voce e illumina sul come i cambiamenti che si stanno verificando nelle nostre società in base a questo nuovo dominio capitalista-patriarcale che ha un impatto diretto sulle condizioni di vita, libertà e uguaglianza delle donne. Ci mette in guadia su come l'ideologia della disuguaglianza i stabilisce nella composizione della nostra ssocietà e le conseguenze che ciò comporta.


Professora di Sociologia di genere presso l'Università di A Coruña, fondatora e direttora del Seminario Interdisciplinare di Studi Femministi della stessa Università, tra il 200o e il 2003.
(...)

Editoria Los libros de la Catarata
240 páginas
Formato: 13,5x21 cm
ISBN: 978-84-8319-602-1
Ref: 1CM365


(traduzione di Lia Di Peri )

domenica 11 dicembre 2011

Donne " conservate" all'orbitorio di Juarez

" Hanno tardato molto per decidersi e consegnarla" ha dichiarato nei corridoi della Procuda di Stato una funzionaria pubblica riferendosi al corpo di Adriana Sarmiento Enriquez, scomparsa a Ciudad Juarez, il 18 gennaio 2008. Le autorità locali avevano tenuto il cadavere della ragazza nelle strutture di Medicina Legale per  tutto questo tempo" senza precisare come e, perché, non avessero informato i  familiari

Adriana aveva 15 anni quando fu sequestrata. Lei e la sua amica Griselda  stavano ritornando a casa in autobus. Griselda era scesa due isolati prima di arrivare al centro città dove vive tuttora. Adriana continuò sola, come tutti i giorni, a due isolati più in là sull'autobus, a camminare poi, per un isolato lungo la strada Francisco Javier Mina, per prendere un secondo autobus fino alla colonia Mariano Escobedo dove viveva con i suoi genitori.A casa non arrivò mai. In quel tratto dove sarebbe stata per soli 12 minuti prima di prendere il secondo trasporto,scomparvero altre tre donne giovani e in momenti diversi, due delle quali uccise e tenute all'orbitorio e un'altra identificata  in un programma televisivo a Los Angeles, California, senza dire nulla sulla sua sorte.

La madre di Sarmiento pubblicò in diversi siti digitali la scomparsa della figlia, aiutata da migliaia di richieste per il centro città. Tuttavia, è stata completamente distrutta dal dolore e non potè continuare  insieme alle altre madri che si sono organizzate per continuare a cercare le loro figlie.

Cadaveri conservati per  anni

" Il corpo di Adriana Sarmiento potrebbe essere stato tenuto all'orbitorio per più di un anno" ha dichiarato una fonte a giornale Los Angeles Press e conservato come anonimo per sicurezza. Così è stato  nel caso di Gabriela Rivas Campos, 16 anni, scomparsa nel febbraio del 2008 e uccisa lo stesso anno. Il suo corpo fu trovato al Km 57 della Valle di Juarez e tenuto all'orbitorio per tre anni fino a quando le autorità decisero di comunicarlo alla madre, il 27 settembre e del 2011,  affermando " che dovevano fare i test del DNA e confrontarli  con i campioni che avevano dato i familiari delle vittime".

Carmen Castillo, madre di Monica Liliana Delgado Castillo, ha aspettato molto meno che le autorità le notificassero e consegnassero il corpo della figlia. Monica, 18 anni, scomparsa nel gennaio del 2011.  Il corpo fu anch'esso trovato al Km 57, dal giorno in cui fu assassinata e, consegnato nove mesi, insieme a quello di Hilda Gabriela, lo stesso 27 settembre, in una conferenza stampa organizzata dalle autorità della Procura di Stato di Chihuahua, alla quale Carmen Castillo ha scelto di non partecipare.

Sono stati "conservati" anche sette corpi di donne senza identificazione e senza informare l'opinione pubblica, che erano state trovate in Loma Blanca , nella Valle di Juarez. Sono sconosciuti il tempo e le circostanze per le quali le conservano all'orbitorio,nonostante che le madri  delle scomparse continuino a cercarle, chiedendo alla Procura lo stato delle indagini.
Il corpo di Jasmine Villa Esparza è un altro di quelli conservato nella camera mortuaria. Jasmine scomparve il 3 ottobre 2010 all'età di 13 anni. Fu trovata morta nella città di Sant'Agostino, secondo quanto affermato dal Los Angeles Press, senza che si sappia con precisione quando fu trovata morta, perché è ancora nei locali della camera mortuaria  e perché non è stata consegnata ai familiari.

La madre Isela Esparza Morales, ha contestato alla Procura nel febbraio 2011,di non cercare la figlia, che " a nessuno interessava, perché non si era fatto nessun controllo". Tuttavia, non ricevette nessun aiuto e nessuna informazione  sui progressi delle indagini e il corpo della figlia poteva  essere gia, allora, all'orbitorio.

Quindici corpi in più

Recentemente, hanno trovato altri 15 corpi di donne sepolte in una fossa comune nella Valle di Juarez. Queste informazioni non ufficiali date dalle autorità, tuttavia non dicono il luogo esatto dove sono tate trovate. I corpi restano trattenuti a Medicina Legale, alcuni sono vestiti, altri nudi. L'età oscilla tra i 17 e i 20 anni. Sono corpi che presentano segni di violenza, di sadismo, alcuni violentati.

" Cercano il modo di come consegnarli" rivela la fonte, " ma sembra che vogliano trattenere i corpi , come se non volessero consegnarli. Forse, per diffondere il terrore, ma è la stessa storia del 1993, nulla è cambiato"  ha lamentato la fonte.

La Procura generale dello Stato deve molte risposte alle madri di Juarez. Per il momento le domande più frequenti sono : dove le hanno trovate? Da quanto tempo erano seppelite? Da quanto tempo si trovavano all'orbitorio? Perché le autorità nascondono le informazioni? Perché scompaiono le tracce?  Chi erano in vita questi corpi massacrati?

Los Angeles Press

(traduzione di AnitaLia Di Peri Silviano)









lunedì 5 dicembre 2011

Appello del Comitato Norma Andrade

Il Comitato NORMA ANDRADE denuncia il tentato omicidio a Ciudad Juárez contro la difensora dei diritti umani Norma Andrade,avvenuto ieri 2 dicembre.
Norma co-fondatora di Nuestras Hijas de Regreso a Casa organizzazione che sostiene le madri delle giovani donne assassinate a Juarz e madre di Lilia Alejandra assassinata nel 2001 è stata colpita da un gruppo di sicari. Norma si trova ricoverata in ospedale in gravi condizioni, anche se stabili. Essa sta dando un esempio di molta forza e dimostra la sua voglia di continuare la sua missione e di curare i figli che che LILIA ALEJANDRA le ha lasciato in custodia.

" Chiediamo ed esigiamo dal governo della repubblica messicana, da Felipe Calderon e dal governatore di Chihuahua,César Duarte di adottare tutte le misure a tutela del trasferimento della famiglia a Città del Messico e li responsabilizziamo degli eventuali danni che possano accadere durante il tragitto. Chiediamo allo stesso tempo, di fornire assistenza medica e alloggio per la famiglia.

Presto pubblicheremo il numero di conto di María Luisa García Andrade per sostenerla finanziariamente.

Il Comitato Norma Andrade

( traduzione di Anita Lia DiPeri Silviano)
Nuestras hijas de regreso a casa

lunedì 28 novembre 2011

E' tempo di fermare la guerra contro la Terra.

da Vandana Shiva*

 Una manciata di imprese e di potenze cerca di controllare le risorse della Terra e trasformare il pianeta in un supermercato nel quale tutto è in vendita.Vogliono vendere la nostra acqua,geni,cellule, organi, saperi, culture e il nostro futuro.

Le guerre durature in Afghanistan, Iraq e ciò che ne è seguito non sono solo sangue per il petrolio. Nella misura in cui si sviluppano vediamo che è sangue per il cibo, sangue per geni e biodiversità, sangue per l'acqua. La mentalità guerrafondaia alla base dell'agricoltura bellicista-industriale è evidente nei nomi degli erbicida della Montesanto -Round-Up, Machete, Lasso.
L'American Home Productis ,che si è fusa con la Montesanto dà ai suo erbicidi nomi altrettanto aggressivi, tra cui, " Pentagono" e " Squadrone". E' il linguaggio della guerra.

La sostenibilità si basa sulla pace con la Terra.

La guerra contro la Terra comincia nella mente. I pensieri violenti danno forma ad azioni violente. Categorie violente costruiscono strumenti violenti. E da nessuna parte questo è tanto attivo come nelle metafore e metodi sulla quale si basa la produzione industriale, agricola, alimentare. Le fabbriche che producevano veleni ed esplosivi per uccidere la gente in guerra sono state trasformate in fabbriche che producono prodotti chimici alla fine delle guerre.

Nel 1984 ho cominciato a capire che qualcosa non andava nel modo in cui si producono gli alimenti. Con la violenza in Puniab e il disastro di Bhopal l'agricoltura sembrava guerra. Fu allora che scrissi  La violenza della Rivoluzione Verde e per questo ho lanciato Navdanya come movimento per un'agricoltura senza veleni e tossine.

I pesticidi,che inizialmente sono stati usati come armi chimiche, non potevano controllare i parassiti. .L'ingegneria genetica avrebbe potuto offrire un'alternativa ai prodotti chimici tossici, invece ha portato ad un uso maggiore dei pesticidi e diserbanti e scatenato una guerra contro i contadini.

Gli alti costi delle sementi e dei prodotti chimici ha fatto si che gli agricoltori cadessero nella trappola del debito - e la trappola del debito porta i contadini al suicidio. Secondo i dati ufficiali, In India più di 200.000 contadini si sono siucidati dal 1997.

Fare la pace con la Terra è sempre stato un imperativo etico ed ecologico, che si è trasformato adesso in un imperativo per la sopravvivenza della nostra specie.

La violenza contro il suolo, la biodiversità, l'acqua, l'atmosfera, la campagna e i contadini produce un sistema alimentare che non può dare da mangiare alla gente. Un miliardo di persone soffrono la fame. Due miliardi soffrono di patologie legate all'alimentazione: obesità, diabete, ipertensione, cancro.

Ci sono tre livelli di violenza coinvolti nello sviluppo non sostenibile. Il primo è la violenza contro la Terra, che si esprime nella crisi ecologica. Il secondo è la violenza contro le persone espressa con la povertà,la miseria e lo spostamento. Il terzo livello è la violenza della guerra e del conflitto, quando i potenti prendono nelle mani le risorse che si trovano in altre comunità e paesi per soddisfare il loro appetito che non conosce limiti.

Quando ogni aspetto della vita è commercializzato, vivere diventa più cosotoso e la gente si impoverisce, anche se guadagnano più di un dollaro al giorno. D'altra parte, la gente  può essere ricca in termini materiali,anche senza l'economia monetaria, se ha accesso alla terra, se i terreni sono fertili,se i fiumi sono puliti, la loro cultura è ricca e continua la tradizione di costruire case e vestiti belli,buon cibo e c'è coesione sociale, solidarietà e spirito comunitario.

L'ascesa del dominio sul mercato e la moneta assurta a  principio superiore organizzativo della società e unico modo di quantificare il nostro benessere ha portato ad un indebolimento dei processi che mantengono e sostengono la vita nella natura e società.

Mentre diventiamo sempre più ricchi, ci impoveriamo ecologicamente e culturalmente. L'aumento del benessere economico, misurato  in denaro, porta all'aumento della povertà negli aspetti materiali, culturali, ecologici e spirituali.

La reale moneta della vita è la vita stessa,questo punto di vista porta ad alcune domande: Come possiamo vedere noi stessi in questo mondo? Cosa sono gli esseri umani?  Sono semplicemente delle macchine che producono denaro divorando le risorse? O abbiamo uno scopo più alto, un fine superiore?

Credo che la " Democrazia Terrestre" ci permetta di immaginare e creare democrazie viventi basate sul valore intrinseco di tutte le specie, di tutti i popoli, di tutte le culture - una ripartizione giusta ed equitativa delle risorse vitali di questa Terra, una divisione delle decisioni sull'uso delle risorse della Terra.

La "Democrazia Terrestre " protegge i processi ecologi che mantengono la vita e i diritti fondamentali che sono alla base de diritto alla vita, compreso il diritto all'acqua, al cibo, salute, istruzione, lavoro e sostentamento.

Dobbiamo scegliere. Obbediamo alle leggi di mercato dell'avidità corporativa o alle leggi della Madre Terra per mantenere gli ecosistemi terrestri e la diversità degli esseri viventi?

I bisogni all'alimentazione e dell'acqua delle persone possono essere soddisfatti solo se si protegge la capacità della natura di produrre cibo ed acqua. Suoli e fiumi morti non danno cibo né acqua.

Per questo difendere i diritti della Madre Terra è il più importante dei diritti umani e delle lotte per la giustizia sociale. 
E' il più grande movimento pacifista della nostra epoca.


*
La Dr. Vandana Shiva es una fisica e ambientalista indiana, che ha ricevuto il   Premio Sydney della Pace, 2010. 

Colarebo
(traduzione di Anita Lia Di Peri Silviano)






domenica 27 novembre 2011

'Stato' : Visibile

Chiedo scusa, se in alcuni momenti questo articolo presenterà passaggi un pò oscuri. Ciò è dovuto alla difficoltà di tradurre con un sinonimo adeguato il verbo  "Essere" che, in spagnolo si traduce in due modi con 'Ser' nel senso di un status permanente, immutabile, con 'Estar', che indica invece una condizione temporanea, ma anche di stato in luogo. Mi sembrava riduttivo, se non anche errato  usare nel secondo caso il sinonimo apparenza ,anche perché come noterete (qualora lo leggerete) l'Estar non è finzione, ma un divenire che, in alcuni luoghi, diventa un obbligo al cambiamento.
Buona lettura ( mi auguro).



In che modo  influisce sulla soggettività il flusso costante di informazione che arriva quotidianamente attraverso le reti sociali,  l'e-mail, le chat ed altre trame della rete - nella quale tutti e tutte possiamo essere produttori/tore così come contenitori? Quanto dipende l'esistenza di ciascuno/na  da questa minima approvazione che implica l'avere " amici" o "fans"? Cosa si mette in gioco nel costruire un " profilo" con il quale mettersi in contatto con gli altri?

L'antropologa argentina radicata in Brasile, Paula Sibilia, autora tra gli altri de L'intimità come spettacolo si è posta queste ed altre domande per rilevare un cambio di asse: si è cancellato non soltanto il confine tra pubblico e privato, ma anche tra essere come status ed essere mutevole.La cosa essenziale adesso, sembra essere sempre visibile ad occhio nudo.

da Marta Dillon

" Il mio cane ha mangiato il telecomando" " Sono nati gattini sotto il mio letto" " Romina è ora amica di Alessandra". Frasi come queste popolano le pagine di facebook, uno dei social network più grandi del mondo. Affermazioni o descrizioni che vengono sottolineati con un clik su " mi piace" anche quando si parla di problemi, disagi, depressione e altri " stati" . Da uno "stato" tanto fugace quanto un battito di ciglia, si passa al post successivo: a volte fissato dal numero dei " mi piace", conseguente al numero di "amici" che possiede chi scrive.
Sono passati cinque anni da quando la mitica rivista Time  lo elesse pose come personaggio dell'anno - nello stesso posto che occupò Hitler nel 1938, per fare un esempio della lapidaria scelta - che non ha nulla a che vedere con la simpatia o la gentilezza, realizzando  quello che ha significato o significa questa cosa chiamata Web, che trasforma lo/la utente di Internet, non solo in consumatori, ma in produttori o co-produttori di contenuti.
I cambiamenti si succedono vertiginosamente: in questi cinque anni scrivere nei blogs - che hanno poco a che fare con i vecchi diari, perché quelli si nascondevano, mentre questi vivono di letture e commenti, sembra il rifugio della scrittura, mentre la digitazione a tutta velocità delle opinioni e "stati" in 140 caratteri - e non necessariamente da un computer - sembra tessere trame che uniscono una figura presidenziale alla stella del momento, dall'intimità più banale alla condanna politica.
Come interpretare queste novità? Stiamo vivendo uno scoppio di megalomania consentita e addirittura incoraggiata in tutto il mondo? O, viceversa, il nostro pianeta è stato sferzato da un'alluvione improvvisa di estrema umiltà,libero da ambizioni più alte, una modesta rivendicazione di tutti noi e di chiunque? Che cosa significa questo improvviso miglioramento del piccolo e dell'ordinario quotidiano della gente comune? - si chiede l'antropologa argentina Paula Sibilia, nel suo libro L'intimità come spettacolo, parafrasando  quattro decenni dopo,La società come spettacolo di Guy Debord - attenta al periodo di confine nel quale viviamo, per la perplessità che generano le profonde trasformazioni che si succedono  a causa delle nuove forme di comunicazione e nel modo in cui si utilizza la tecnologia. La peoccupazione  - che emerge in questo lavoro di ricerca di Sibilia- riguarda il modo in cui queste mutazioni dinamiche influenzano la soggettività, l'essere e l'essere nel mondo, incarnando un corpo - si vedrà poi quale corpo e quanto di "incarnazione" - e in relazione alla cultura.
Una preoccupazione che ha cominciato a delinearsi nel suo primo libro, L'uomo post-organico, Corpo, soggettività e tecnologia digitale ( ed.Fondo di Cultura Economica, 2005) nel quale analizzava il disagio del corpo, in quanto  limite alla pretesa faustiniana della tecnoscienza e continua ora con un lavoro non ancora pubblicato sul culto del corpo,nel quale affronta non solo la preoccupazione del corpo perfetto,ma anche certe tecniche di purificazione del corpo che si mostra, che si pone in gioco non  già nella scena amorosa, ma come pura immagine che può essere manipolata con gli strumenti a disposizione di chiunque, come il Photoshop.


- Che cosa stiamo diventando?

 - Questo è ciò che mi chiedo anch'io, una domanda che  è la spina dorsale del mio lavoro. Non so se ci sia una risposta, ma la scommessa, l'ipotesi a partire della quale costruisco gli argomenti è che siamo in un fase di transizione, stiamo cessando di essere qualcuno, un tipo di soggetto,un soggetto moderno. Quando dico moderno mi riferisco al tipo di soggettività che si è formata nel mondo e al tipo di corpo storico che si è costruito dopo la rivoluzione borghese  e la rivoluzione industriale,nel secolo XIX e in buona parte del XX secolo, almeno fino agli anni '60 ed è questo che io chiamo soggetto moderno. Tuttavia siamo ancora nel soggetto moderno;ci sono ancora continuità, viviamo in un mondo che ha molta continuità con i secoli XIX e XX: è una società capitalista, industriale. Molti di quei valori persistono: la democrazia, il sistema politico, ecc. A livello politico, economico socio-culturale, e morale, l'etica borghese ha molte continuità, anche se credo però che ci siano differenze importanti che cominciano a gestirsi a partire dagli anni '60. Penso che in molti modi stiamo cessando di essere moderni e ci stiamo trasformando in qualcos'altro.
(...)
Quello che ho individuato sono rotture. Credo che siamo in una transizione verso qualcos'altro. Se pensiamo il soggetto moderno come quello che alcuni autori chiamano homo psicologicus, ossia quel soggetto che si costituisce, si pensa e pensa gli altri come corpo meccanico,una macchina paragonabile ad un orologio,tanto come desiderio, con il desiderio di lavorare bene come una macchina, ma anche come paura, paura di meccanizzarsi, di de-spiritualizzarsi. Il corpo come macchina, sarebbe un elemento importante nel soggetto moderno, abitato da una misteriosa entità, che può essere chiamata anima, coscienza, inconscio, psiche, spirito, in breve, con tutte le definizioni possibili e che una versione laica  e compatibile con i secoli XIX e XX  chiama l'interiorità. Questo è ciò che sta cambiando.  Fondamentalmente quello che vedo è uno spostamento dell'asse intorno alla quale ci costituiamo come soggetti. Quest'asse che si trova dentro ognuno di noi,si sposta  sempre più verso il visibile, non solamente verso l'aspetto fisico,l'apparenza, lo stile, la forma del corpo, ma anche verso ciò che potremmo chiamare performance,ciò che si vede da ciò che siamo, tutto ciò che si vede definisce ciò che uno è.
Ma bisogna sapere utilizzare questi strumenti, bisogna avere la capacità di mostrare chi siamo. Il comportamento visibile e l'apparenza  sono due assi  che spiegano il successo dei networking e dei reality show. Rimanere connessi tutto il tempo,in modo da farci vedere e, con questo, confermare che esistiamo. Questo sarebbe il segno di uno spostamento dell'asse attorno alla quale ci costruiamo, questo sarebbe a sua volta, un'indicazione del fatto che non siamo più quel tipo di soggetto.

(...) Non si tratta solo di essere qualcuno o di fare qualcosa, ma di performare ciò che facciamo e ciò che siamo. Ovviamente il contatto con gli altri è importante ancora oggi, siamo esseri sociali, perché questo fa parte della definizione antropologica dell'essere umano, tuttavia l'io del soggetto moderno è così grande, così gonfiato, così in un certo senso, mostruoso che si poteva sopravvivere anche se avevi il mondo contro e nessuno lo guardava; oggi, lo sguardo dell'altro è importante per assicurarmi che esisto: la visibilità è diventata un requisito per l'esistenza. L' altro deve sostenermi con il suo commento, con il suo " mi piace" col diventare un fan,col seguirmi in Twitter. In questo senso i social network sarebbero un indizio di questo cambiamento.


 - E' sintomatico che ci sia solamente la possibilità,almeno su Facebook, di dire: mi piace e non poter dire,non mi piace. Ha fatto una riflessione su questo?

 - Del pulsante " mi piace" si può fare un'intera filosofia,perché è anche quantitativo, quante volte si può premere il pulsante mi piace, a quanta gente è piaciuto, che è la cosa più importante, molto simile al rating.Non c'è alcuna precisazione: mi piace per questo, per l'altro,mi piace di meno, di più: è rating. Twitter in questo senso è meno cinico di Facebook. In Facebook sono amici, in Twitter sono seguaci, chiaramente è un pubblico, un audience.
C'è un concetto che uso in L'intimità come spettacolo che è l'idea del personaggio che si costruisce nelle reti sociali, anche nei reality show - perché ovviamente è questa logica che passa su Internet. Internet è chiuso, ma è diventato parte delle regole di gioco nella quotidianità: è un personaggio.Questa è l'idea del profilo:il personaggio di sé. - Una finzione dell'io?
 - Non attraverso la differenza tra realtà e finzione, tra maschera e realtà, tra vero o falso. Molto spesso si pongono queste differenze, si dice su Internet si mente, si costruisce un personaggio che non è reale, però io non credo che sia così, non mi pare interessante seguire questa linea, tanto più che l'idea del reality esplora  questo : è realtà e show allo stesso tempo. L'idea del personaggio invece si riferisce a qualcuno che è sempre in vista, ha molto pubblico, ha molti lettori/lettrici, è necessario avere sempre qualcuno che guardi  perché nel momento in cui  nessuno più guarda il personaggio cessa di esistere, allora esiste solo quando è guardato. Quando mi avete rivolto la prima domanda in cosa ci stiamo trasformando, probabilmente in questo, in personaggi e personaggi audiovisivi, non siamo personaggi da romanzo, di romanzo ottocentesco, che parla dell'interiorità, un romanzo psicologico, di sentimenti, di sensazioni, di emozioni, in questo caso no: il personaggio  visibile è un personaggio cinematografico.

- L'essenziale non è più invisibile agli occhi?

 - Uno dei fattori costitutivi  della soggettività che si si è destabilizzata è l'equilibrio  tra essenza ed apparenza. L'idea che ci sia una bellezza interiore,che l'apparenza inganna, ecc.. tutto questo sarebbe obsoleto e formerebbe parte di quel paradigma che stiamo abbandonando. Che autenticità è questa che è così diffusa  in questi giorni?  Anche nel reality show vince il più autentico.
(...) Mi pare sia utile pensare l'idea di autenticità legata alla differenza  che abbiamo in castigliano tra essere e stare. Forse,  questa autenticità nuova, dei reality show, della quotidianità e le reti sociali, non è un'autenticità dell'essenza, dell'essere, ma dello stare e lo stare è più legato alla performativa:  in questo momento io sto con questa intervista giornalistica e abbiamo viaggiato con molta più facilità tra le differenti piattaforme di vita, siamo trans-mediatici perché stiamo su facebook, su Twitter. Penso che la filosofia del Xxi secolo abbia necessità di questa differenza  tra l'essere e lo stare.
E' molto strano, perché il tedesco non ha questa differenza, il francese e l'inglese  lo stesso e tutta la filosofia moderna è iniziata senza questa differenza tra l'essere e lo stare, solo pura essenza.


 - In più di un'occasione ha parlato degli anni '60 come punto di partenza  dei cambiamenti nella soggettività. Perché?

Perché è allora che si comincia a vedere il valore e la possibilità di cambiare, questa stabilità che ha il soggetto moderno di essere fedele a se stesso per tutta la vita, che non può mentire, né può fingere. Fingere non è visto di buon occhio,  compreso il trucco, il simulare. C'era una convinzione nel valore dell'essenza. Ora, negli ultimi tempi,la nostra morale è cambiata molto in questo senso; non solo possiamo cambiare ma siamo obbligati a cambiare tutto il tempo, c'è da aggiornarsi, riciclarsi.
Questi cambiamenti sarebbero considerati non solo tecnicamente impossibili nell'era moderna, ma moralmente impossibili, per esempio, il cambiamento di sesso. Non sto parlando di cambiamento del sesso  nel senso di passare dall'uno all'altro. Parlo della chirurgia plastica,cambiare anche il colore dei capelli e non solo di modifiche fisiche. In breve una serie di modifiche possibili, che hanno plasmato, per tutto il tempo il dover cambiare.

(...)
Bisogna far finta, tra virgolette, abbastanza bene ciò che si sta facendo in quel momento; non è una menzogna vera e propria è un'autenticità di quel momento,di continuare ad essere, che non attiene ad una verità,ma a ciò che sto inventando per continuare ad essere.

Non trova angosciante questa pressione?

Ah, bhe, questa è un'altra cosa (ride). L'essenza genera sempe disagio,talvolta disagio è più collegato con l'essenza che con l'essere; l'essere non genera esattamente disagio, ma ansietà. L'ansia è una condizione più contemporanea del disagio, perché è un peso enorme, bisogna essere performati per tutto il tempo,sul lavoro,nell'aspetto fisico, negli affetti chiedendoti se stai scegliendo ciò che ti rende felice, cose che prima non erano necessarie. (...)

 - E' una enorme offerta del mercato.

  - Infatti, ora si può acquistare un kit completo di un modo di essere. Essere come questo o come quello. Le tribù urbane per esempio, comprano un modo di essere,interiorizzato, romantico,ma nel giro di sei mesi possono acquistarne un altro.

- Ma ci sono tuttavia, forti movimenti identitari: popoli indigeni,minoranza sessuali, nazionalismi e così via.


  - C'è un'autora brasiliana che si chiama Suely Rolnik che ha fatto un articolo molto interessante su questo e che si intitola I farmaci dell'identità. Ciò che spiega è che l'idea di identità, il desiderio e la domanda di identità si sono polverizzati: sono in crisi da tempo. Tuttavia, persiste questa illusione di identità,alla quale ci aggrappiamo, ci afferriamo dinnanzi all'abisso della libertà. L'autora parla di Kit di un profilo modello, come kit di identità prêt-à-porter, pronto all'uso, si compra questa identità e la si indossa come un vestito, per cui è fragile, non assolve alla stessa funzione che svolge l'identità nel soggetto moderno. Ecco perché il mercato sembra sempre pronto con una lista di tutti i tipi da usare; ho fatto l'esempio, piuttosto grossolano delle 'tribù urbane, ma possiamo pensare alle droghe, non soltanto quelle illecite, ma agli psicofarmaci al Rivotril, alle droghe per calmare o eccitare, per dormire o non dormire, per studiare,che appaiono come protesi, come un salva-vita.

- Ed anche come meccanismi di controllo...

  - Esattamente, perché mettono in sintonia con il mondo, non sono droghe per disattivare o per liberare o aprire le porte della percezione,ma per porre all'altezza delle esigenze contemporanee,in definitiva perfomative.


- Avverti una qualche forma di resistenza a questo cambio di asse,di fronte alla fine della privacy?

Vi sono resistenze conservatrici che hanno a che fare con il non connettersi ad Internet. Però mi risultano banali e non durature. Si tratta di individuare forza più complesse che stanno agendo qui, costruendo significati che sono una forma di resistenza. Non si tratta solo di tutelare la privacy, ma anche di come influenzano il poter essere le conquiste sociali: i progressi tecnologici, le conquiste di valori politici, sociali, dentro le quali il più importante è il valore della donna; credo che questo sia innegabile, la situazione della donna prima degli anni '60 e la sua condizione di adesso, al livello di libertà individuale e dei risultati è ovvia, penso che nessuno avrebbe scelto l'homo psicologicus' perché ne siamo state escluse.
Cito Una stanza  tutta per sé di Virgina Woolf proprio per cercare di capire ciò che accade adesso.
Negli anni '20 la Woolf difese il diritto ad una propria stanza o alla privacy, per poter essere qualcuna, che le donne avevano diritto alla soggettività per poter essere un soggetto moderno. Un soggetto dotato di interiorità, costitutiva della sua essenza, che necessita pertanto, di silenzio e solitudine per poter interpretarsi, elaborarsi,in ultima analisi, costruire un'opera, ma anche essere qualcuna, avere il diritto alla soggettività. Oggi, se ci pensiamo in questi termini, almeno la maggior parte delle donne,abbiamo già il diritto ad una stanza per sé, non dobbiamo lottare per essa. Quale sarebbe la domanda paragonabile a questa, oggi? Nei primi anni del XXI secolo, per poter essere qualcuno non occorrono mura,silenzio, solitudine, chiusura. Credo che oggi questa domanda riguardi l'accesso ad Internet, in senso ampio,non solamente accesso fisico.

- Abbiamo iniziato chiedendo cosa stiamo diventando, ma di chi parliamo al plurale?

Della classe medio-alta dei centri urbani, alcuni più degli altri. Pensando alle rivolte e rivoluzioni, per esempio,come nel caso di Londra,in buona parte questa protesta è stata per non poter far parte di ciò,non poter far parte di questo mondo variopinto, delle meraviglie del mercato, come disse Deleuze,che si offre a tutti, ma ovviamente al consumatore e non al cittadino.

- Hai un blog?
- No.

- Utilizzi i social network?
 - No (ride). Ovviamente questa è la resistenza retrograda alla quale mi riferivo prima. Ma ho svariati motivi. Uno di essi, il più importante è il tempo, non ho tempo per la posta.


- Il tuo primo libro, L'uomo post-organico...parla del corpo virtualizzato, di una tendenza a pensare che si possa fare a meno. Com'è che questa volta il tuo lavoro si rivolge al culto del corpo?


L'ipotesi sulla quale lavoro ora è che in realtà questo culto del corpo non è un culto della materialità carnale,ma dell'immagine. Un culto all'immagine del corpo che diventa ogni volta più stilizzata e sempre più eterea
(...)

 - Fotoshop...

Sempre più naturalizzato. Adesso le foto non sono più stampate e chiunque può lavorare sulle sue foto e costruirsene su facebook. (...) Nel momento in cui un corpo mostra la sua coerenza e viscosità organica,  sia per i segni di invecchiamento, che per le rughe o i depositi di grasso è un corpo censurato.
(...) Ci sono molti paradossi: c'è una stimolazione all'erotismo post anni sessanta e, tuttavia, si mostra un corpo d-erotizzato, perché un un corpo bi-dimensionalizzato da consumare visivamente e lo sguardo è nel senso di richiedere più distanza.
Quindi per molti versi non è un corpo erotizzato.  



(traduzione di Anita  Lia Di Peri Silviano)














venerdì 25 novembre 2011

Violenza sulle donne / Appello per Adama: una storia, molte violenze

da Vincenza Perilli

In occasione del 25 novembre le iniziative di denuncia delle violenze contro le donne si moltiplicano, ottenendo un'effimera - quanto inutile - visibilità anche su quei mezzi di informazione ordinariamente silenziosi su queste questioni (tranne, beninteso, quando la "notizia" può essere proficuamente strumentalizzata e messa al servizio di politiche razziste e sessiste, sicuritarie e di controllo). Per questo, forse, avremmo evitato in questa giornata di scriverne se non ci fosse giunto da Paola Rudan - che ringraziamo - l'invito a far circolare l'appello di Migranda / Trama di Terre per Adama, donna migrante rinchiusa da fine agosto nel CIE di Bologna: aveva chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. L’unica risposta che Adama ha ricevuto è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. E la storia di Adama non è una storia isolata: il 13 dicembre, a Bruxelles, si svolgerà un convegno internazionale del Picum - un organismo che si occupa di migranti "senza documenti"* - sulla situazione difficilissima vissuta dalle donne migranti considerate "clandestine" in Europa. Chi mi ha inoltrato l'appello per Adama scrive qualcosa che condivido pienamente: "Non vogliamo essere le rappresentanti o le tutrici di una vittima, ma l'amplificatore di una donna che sta lottando e che non ha altro modo di far sentire la sua voce". Vi invitiamo dunque a firmare e far circolare l'appello che trovate nel sito di Migranda, affinché Adama possa "riprendere in mano la propria vita" e noi tutte la nostra.

Marginalia

APPELLO PER ADAMA: UNA STORIA, MOLTE VIOLENZE

Le adesioni all’appello arrivano più veloci dei nostri aggiornamenti, ma continueremo a pubblicarle. In questa pagina (Appello per Adama) pubblichiamo anche le tante parole di sostegno per Adama, che arrivano con le ancora più numerose adesioni all’appello che chiede la sua immediata liberazione dal CIE di Bologna. Cercheremo di aggiornare questa pagina continuamente, perché la voce di Adama sia amplificata in ogni momento.
Pubblichiamo questo appello in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Per adesioni scrivete a migranda2011@gmail.com
Adama è una donna e una migrante. Mentre scriviamo, Adama è rinchiusa nel CIE di Bologna. È rinchiusa in via Mattei dal 26 agosto, quando ha chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. Le istituzioni hanno risposto alla sua richiesta di aiuto con la detenzione amministrativa riservata ai migranti che non hanno un regolare permesso di soggiorno. La sua storia non ha avuto alcuna importanza per loro. La sua storia – che racconta di una doppia violenza subita come donna e come migrante – ha molta importanza per noi.
Secondo la legge Bossi-Fini Adama è arrivata in Italia illegalmente. Per noi è arrivata in Italia coraggiosamente, per dare ai propri figli rimasti in Senegal una vita più dignitosa. Ha trovato lavoro e una casa tramite lo stesso uomo che prima l’ha aiutata e protetta, diventando il suo compagno, e si è poi trasformato in un aguzzino. Un uomo abile a usare la legge Bossi-Fini come ricatto. Per quattro anni, quest’uomo ha minacciato Adama di denunciarla e farla espellere dal paese se lei non avesse accettato ogni suo arbitrio. Per quattro anni l’ha derubata di parte del suo salario, usando la clandestinità di Adama come arma in suo potere.
Quando Adama ha dovuto rivolgersi alle forze dell’ordine, l’unica risposta è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. L’avvocato di Adama ha presentato il 16 settembre una richiesta di entrare nel CIE accompagnato da medici e da un interprete, affinché le sue condizioni di salute fossero accertate e la sua denuncia per la violenza subita fosse raccolta. La Prefettura di Bologna ha autorizzato l’ingresso dei medici e dell’interprete il 25 ottobre. È trascorso più di un mese prima che Adama potesse finalmente denunciare il suo aggressore, e non sappiamo quanto tempo occorrerà perché possa riottenere la libertà.
Sappiamo però che ogni giorno è un giorno di troppo. Sappiamo che la violenza che Adama ha subito, come donna e come migrante, riguarda tutte le donne e non è perciò possibile lasciar trascorrere un momento di più. Il CIE è solo l’espressione più feroce e violenta di una legge, la Bossi-Fini, che impone il silenzio e che trasforma donne coraggiose in vittime impotenti.
Noi donne non possiamo tacere mentre Adama sta portando avanti questa battaglia. Per questo facciamo appello a tutti i collettivi, le associazioni, le istituzioni, affinché chiedano la sua immediata liberazione dal CIE e la concessione di un permesso di soggiorno che le consenta di riprendere in mano la propria vita.




mercoledì 23 novembre 2011

Dal Sito dell'amica Vincenza Perilli:


Facciamo Breccia pubblica la traduzione di un appello di Palestinian Queers for Boycott, Divestment & Sanctions, in cui si chiede all'IGLYO - uno dei principali network di associazioni GLBT internazionali - di non essere complice delle politiche di pinkwashing israeliane svolgendo - senza prendere in questo modo posizione - la propria assemblea generale, prevista per dicembre, a Tel Aviv. L'invito, sempre sottinteso quando si pubblicano appelli di questo tipo, è di far circolare il più largamente possibile.

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Chiamata all’azione: Di’ all’IGLYO di stare fuori da Israele

Pubblichiamo questo appello di attivisti e attiviste queer palestinesi che chiede all'IGLYO di non essere complice delle politiche di pinkwashing israeliane.

Cari gruppi, collettivi, attiviste e attivisti LGBTQ,
Come queer palestinesi appartenenti a diversi collettivi - alQaws for  Sexual & Gender Diversity in Palestinian society, Aswat — Palestinian  Gay Women, and PQBDS (Palestinian Queers for Boycott Divestment and  Sanctions) - vi scriviamo per esprimere il nostro sconforto per la  decisione dall’ International Gay and Lesbian Youth Organization[IGLYO]  di organizzare l’Assemblea Generale per Dicembre 2011 a Tel Avivin  Israel. Anche dopo averci contattati e dopo aver espresso la nostra più  profonda preoccupazione rispetto alle implicazioni problematiche e  politiche dell’organizzazione di questa conferenza, IGLYO ha pubblicato  un “lettera aperta – 2011 GA” dove viene sottolineato che non sono per  nulla contenti di rimettere in discussione la loro decisione e che anzi  difendono le loro posizioni;  ingannando, quindi, i membri dei gruppi  LGBT all’interno di un processo di normalizzazione e provvedendoa  coprire l’apartheid di Israele e l’oppressione della popolazione  Palestinese.  IGLYO non ha solo deciso di tenere la loro General  
Assembly conference in Tel Aviv, ma ha accettato i soldi del governo  israeliano partecipando in una più ampia campagna nel dare una nuova  immagine ad Israele “brand Israel” e nel crimine del pinkwashing .   Stiamo perciò chiedendo supporto nel comunicare a IGLYO perchéla loro  azione è iniqua e indecente, per un’organizzazione come la loro che  dovrebbe battersi a fianco delle persone queer o dei diritti umani in  più larga misura. Le politiche di Israele e l’occupazione non distinguono persone queer  da etero. Tutta la popolazione palestinese – queer ed etero – deve  affrontare gli effetti del muro dell’apartheid, dei checkpoint, degli insediamenti illegali e della violenza dei coloni: nessuno menziona che vivere sotto occupazione militare ti toglie qualsiasi diritto come  abitante di quella terra. Tutte le persone a Gaza, inclusi i queer,  vivono sotto un assedio illegale e medievale - e di fatto Gaza non è  altro che una prigione a cielo aperto. E come tutte e tutti le/gli abitanti di Israele, le persone queer sono soggette a discriminazioni di  leggi e di educazione che attraversano tutta la loro vite sia  nell’ambito privato che pubblico.
Nonostante tutta la società civile e le organizzazioni non dovrebbero necessariamente essere responsabili delle azioni dei loro governi, Israeli Gay Youth (IGY), il gruppo che lavora all’organizzazionedella conferenza, è legata direttamente alla propaganda del governo di Israele e alla campagna pinkwashing. Per prima cosa, è una delle più grandi organizzazioni nel paese, IGY lavora a stretto contatto con l’esercito militare israeliano - Israeli Defense Force (IDF) -reclutamdo giovani queer nell’esercito – lo stesso esercito che occupa, isolando e chiudendo con il muro e i checkpoints persone queer e etero senza distinzione sia in West Bank che a Gaza. IGY, quindi, non solo è un’organizzazione gay ma è fautore dell’omonazionalismo e di quelle stesse strutture dello stato di Israele che i/le queer palestinesi combattono. In secondo luogo, IGY è finanziato ufficialmente da 15 differenti comuni, in più viola le indicazioni della campagna BDS e mostra piena complicità con le strutture statali di Isarele.La decisione di IGLYO di tenere l’assemblea generale a Tel Aviv in Israele finanziata dallo stato di Israele non solo viola la chiamata per la campagna di boicottaggio - Boycott, Divestment, and Sanctions - una campagna che ha lo scopo di far pressione ad Israele per la fine dell’occupazione delle terre palestinesi emulando l’efficace tatto anti-apartheid ma partecipando attivamente al pinkwashing di Israele che mira a rappresentare Israele come il paradiso per i queer spostando quindi l’attenzione fuori dai numerosi crimini contro la popolazione palestinese. Con questa campagna multi- millionaria  non si dà altro che un altro “successo”, IGLYO aiuta le violazioni di Israele della legge internazionale e supporta il predominio bianco includendo l’occupazione illegale e la politica razzista.
Come un’organizzazione la cui missione è quella “dicombattere tutte le forme di esclusione, di discriminazione e di persecuzione, è demoralizzante che IGLYO stia ignorando l’oppressione della popolazione palestinese, sia queer che etero, nonostante il fatto che la commissione dell’ IGLYO sia ben consapevole della sofferenza della popolazione palestinese sotto l’occupazione israeliana. Sembra proprio che l’esclusione, la discriminazione e la persecuzione sia accettabile quando va a colpire i corpi della popolazione palestinese.Per questo, noi collettivi queer palestinesi abbiamo l’urgenza che l’IGLYO trasferisca la sua Assemblea Generale fuori dallo stato di Israele.
Perciò chiediamo il vostro supporto alla nostra chiamata sulla questione dell’IGLYO seguendo questi punti:

·        Chiedi a IGLYO di trasferire l’Assemblea Generale fuori da Israele firmando questa lettera o scrivendo una tua lettera alla commissione dei direttori dell’IGLYO. Manda una lettera a: Board@IGLYO.com
·        Supporta la nostra “chiamata all’azione”– manda il nome del tuo collettivo, gruppo organizzazione a: info@pqbds.com
·        Visita il sito della IGLYO e lascia un commento alla loro “Lettera aperta – 2011 GA” ‘Open Letter – 2011 GA‘ . Comunica il perché loro dovrebbero trasferire la conferenza fuori da Israele.
·        Se tu sei una o un giovane europeo e/o uno studente queer, potresti non sapere che sei forse un membro della IGLYO. Visita la nostra pagina facebook e cerca nella lista delle organizzazioni i membri dell’IGLYO. Se trovi che sei membro di un’organizzazione-membro, non esitare ad inviare una lettera in cui si chiede l’urgenza di trasferire la conferenza in un altro luogo.
·        Diffondi il più possibile questo comunicato nel tuo sito / blog e invialo a tutte le persone LGBTQ, collettivi, gruppi.
·        Visita il nostro sito e tieniti aggiornato/a riguardo la campagna, contattaci se hai domande. Scrivici a: info@pqbds.com
Speriamo che con il tuo supporto possiamo far diventare IGLYO veramente un’organizzazione che rispetta i diritti delle persone queer includendo anche le/i palestinesi e fermare questo gioco che la fa diventare una pedina nel tentativo di Israele di promuovere questa finta apertura alle politiche queer ai costi della popolazione palestinese.
Grazie,
Palestinian Queer Groups: alQaws for Sexual & Gender Diversity in Palestinian Society
Aswat – Palestinian Gay Women
Palestinian Queers for BDS


Facciamo Breccia