lunedì 12 agosto 2013

L’economia della cura contro il martello patriarcale e la chimera della crescita.

Enric Llopis



Uno dei grandi scopi che dovrebbe soddisfare qualsiasi sistema economico è la riproduzione della vita. Garantire e fornire i mezzi per riprodurre la popolazione, i suoi mezzi di produzione e, soprattutto, rispettare i cicli della natura.
E’ in questo contesto che acquista somma rilevanza, l’economia della cura e il lavoro domestico, che l’ortodossia economica e le scienze sociali lasciano da parte.

Contro l’egemonia del patriarcato e l’ossessione per la crescita, l’economista cilena, Cristina Carrasco,  ha  difeso all’Università estiva del Socialismo, tenutasi a Valencia, la necessità di riorganizzare il sistema economico annesso alla prospettiva femminista ed ecologista. Il nodo centrale ignorato dalla società capitalista e patriarcale.
Ogni essere umano nasce da una donna, cresce, acquisisce un’identità, si sviluppa e si abilita alla vita adulta e arriva poi, alla vecchiaia. Tutte queste fasi sono direttamente condizionate dalle cure prestate in casa.
“La civiltà umana si è mantenuta generazione dopo generazione, grazie al lavoro di cura; per la grande quantità di tempo ed energia nei compiti domestici, per le  attività giornaliere e silenziose, che hanno svolto milioni di donne e oggi, per fortuna, alcuni uomini "spiega Cristina Carraio.
 Dove è il paradosso? "Le scienze sociali ed economiche non tengono conto di questo, " aggiunge.

Ci piaccia o no, c’è una realtà che s’impone: ciascuna persona è dipendente nella vita; questa vulnerabilità umana comporta, tra le altre cose, l’interdipendenza e  vivere in comunità.
Secondo l’economista “ accettare che tutti siamo vulnerabili e dipendenti implica che abbiamo bisogno di cure e, quindi, queste dovrebbero essere una priorità politica e sociale."

Rivendicare l’economia di cura significa anche rifiutare alcuni miti.  Ad esempio, l’"homo economicus" (l'archetipo usato nelle scienze economiche), un individuo egoista, isolato, completamente indipendente, che non si ammala, né invecchia.  D'altra parte, rileva l'economista cilena, “ dobbiamo controbattere alla mistica religiosa di cura favorita dal patriarcato, che considera le donne con un’innata capacità per il sacrificio e di lavorare a casa per amore." Deve criticarsi, in breve “ che i compiti di cura siano divisi per sesso e razza, svalutati e collegati a gruppi sociali che la società reputa inferiori”.

L'economia di mercato capitalistica (comunemente chiamata "economia reale") nega il valore della cura, a tal punto da non includerla nella sua misura ‘regina’: il PIL. Secondo Cristina Carrasco, però "le cose devono essere considerate per il loro valore sociale e non necessariamente tradotte in valore monetario."
L’econometria ufficiale porta a paradossi come quello per cui il cibo preparato da un cuoco si contabilizza, dato che dà luogo a inter-scambi economici in termini di PIL, mentre questo non è vero se il piatto è sviluppato da una donna nella cucina di casa sua. E’ questa l’economia  capitalista di mercato onnicomprensiva e dalla quale è difficile sottrarsi, vivere senza soldi. Si cerca solo di massimizzare il profitto, sottolinea Cristina Carrasco, e-di conseguenza - il lavoro di cura è valutato come mera " esternalità” . Né gli ossessivi e utopici discorsi sulla “crescita” e la necessità di uscire dalla crisi, contribuiscono al riconoscimento delle cure. Neppure per estensione, l’utilizzo rispettoso delle risorse naturali. Bisogna pertanto rilevare il ruolo delle cure per il suo valore sociale, senza dover tradurle in valore economico o commerciale. Si tratta di lottare per una società in cui queste possono essere organizzati e gestite correttamente, per esempio, aumentando il tempo libero. La critica femminista smantella molti dogmi dell'economia ufficiale e, per alcuni aspetti, completa la critica delle economiste marxiste. Teoricamente, il salario deve consentire almeno la riproduzione della forza lavoro. Tuttavia, spiega Cristina Carrasco " quando un bambino nasce, richiede molta cura, educazione, socializzazione nei primi anni di vita e, in ultima analisi, una grande quantità di tempo, tutto ciò non è remunerato dal salario dell’impresa, vale a dire, il valore reale della forza lavoro dovrebbe includere quanto realmente costa rigenerarla e riprodurla: fare il bucato, stirare, pulire la casa, e molte altre attività di base non incluse nel salario”. Così l’economia capitalista si riproduce attraverso differenti forme di sfruttamento della manodopera (il plusvalore marxista) delle cure e della natura.
Il fatto che le donne siano quelle che assorbono per la maggior parte i compiti domestici e di cura, indica il loro impoverimento, per un fatto ovvio: il più difficile accesso al mercato del lavoro ("Le esigenze dell'economia di cura sono difficili da conciliare con l’attività lavorativa, è la contraddizione tra capitale e vita”). “L’efficacia – sottolinea Cristina Carrasco - delle politiche di uguaglianza è stata per lo più simbolica”.
Se si approfondisce il problema, ciò che realmente si chiede è “che la donna sia equiparata all’uomo nella sfera pubblica, ma in un mondo maschile, per questo si fanno costanti riferimenti alle donne che occupano incarichi politici o esercitano direttive d’impresa”. Viceversa non si conoscono statistiche che valutino la percentuale di uomini che curino le loro suocere o stirino i vestiti delle donne.
L’approfondita analisi delle cure offre moltissimi spigoli. In paesi come la Spagna, con tassi molto bassi di fecondità, nel 2000 ebbero un incremento grazie alle donne migranti. A questo si aggiunse l’invecchiamento demografico. Queste nuove esigenze di cura furono risolte dalle donne migranti e povere, che curavano gli anziani, i loro nipoti ed eseguivano i lavori  domestici nelle case nazionali. Si tratta, inoltre, di fenomeni nei quali si zittisce un fatto essenziale: "Il danno che avviene nei paesi di origine, che preparano e formano persone che poi migrano", spiega l'economista.

Un’altra questione è l’interiorizzazione dei compiti di cura per determinati gruppi e la repressione che ne consegue. “Perché – rileva Cristina Carrasco - vi è un obbligo morale imposto dal patriarcato che corrisponde al come devono essere le donne che s’incaricano delle cure, non eseguirlo comporta, in molti casi, profondi sensi di colpa”. Una repressione psicologica alla base di un dato di fatto “ Se non fosse stato per il lavoro delle donne, da molti anni l'umanità sarebbe scomparsa."
“Che cosa succederebbe – si domanda l’economista – se sparissero il mercato capitalista e il sistema finanziario?" “Senza dubbio continueremmo ad esistere, ma non potremmo farlo senza risorse naturali né cure” risponde.  Ciò che succede è che l'accademia e il paradigma dominante riconoscono soltanto gli strati “superiori”, cioè, il mercato capitalista e i servizi pubblici offerti dallo Stato, mentre ignorano la “base”: l'ecologia, il benessere e la cura.
E’ l’economia “iceberg”.

* Cristina 
Carrasco è un'economista cilena, docente di Teoria Economica dell'Università di Barcellona.


Rebelion

(libera traduzione di Lia Di Peri)