giovedì 23 giugno 2016

Dove è Ana Mendieta?





 
 


Ana Mendieta è stata una delle prime artiste a sperimentare con le sue performance, il Body-art e land-art. E’ morta o, forse, è stata assassinata – cadendo da una delle finestre del suo appartamento dopo aver litigato con il marito.
La scorsa settimana, circa 200 persone si sono radunate davanti alla recente rappresentazione del museo Tate Modern a Londra per protestare contro l'esclusione dell'artista Ana Mendieta e l'inclusione di suo marito, lo scultore Carl Andre e presunto assassino della stessa artista.
Ana Mendieta nacque all’Avana nel 1948, all'interno di una famiglia aristocratica di origine europea. Nel 1961, quando aveva 12 anni, fu chiamata a fare parte della Operazione Peter Pan. Guidata dal governo degli Stati Uniti e dalla Chiesa Cattolica – oltre all’appoggio degli esuli cubani – aveva lo scopo di portare negli States i bambini di età compresa tra i 6 e i 16 anni, figli di quei cubani che temevano lo "indottrinamento comunista" del governo cubano.
Ana fu invitata con la sorella Rachel in Iowa, dove dovettero vivere in orfanotrofi e case famiglia. La sua posizione sociale ed economica peggiorò ma soprattutto cambiò la percezione della sua identità, qualcosa che avrebbe segnato la vita di Ana e più tardi il suo lavoro. Negli Stati Uniti fu vittima del razzismo, comprendendo che era una persona di etnia differente, per questo si è sempre definita donna e artista “ di colore” o non bianca. Ana si sentiva doppiamente respinta, per essere straniera e per essere donna, si sentiva ai margini della società istituzionalizzata.
Studiò Belle Arti presso la University of Iowa, dove conobbe il pittore e docente di origine tedesca Hans Breder, con il quale ebbe una relazione sentimentale. Fu anche una delle persone più influenti nella sua formazione di artista, mettendola in contatto con i movimenti artistici più all'avanguardia. Ana è stata tra i primi artisti a sperimentare le performance di body art e land art. Definì la sua opera come un nuovo genere artistico, che chiamò sculture terra-corpo, che comportava l’uso del suo corpo come un materiale con cui creare il lavoro. Scelse questo nuovo linguaggio artistico per esprimere la sua posizione ideologica sulle questioni etniche o di genere, così come il suo interesse per l'antropologia, la sociologia e la conoscenza della natura.


Dal 1973-1980 Hans e Anna viaggiarono tutte le estati in Messico, ove lui teneva dei corsi universitari. Lei non poteva andare a Cuba a causa delle tensioni politiche con l'amministrazione Kennedy, così che in Messico riusciva a prendere contatto con il suo lato latinoamericano, trovandolo un paese simile al suo, dove si sentiva integrata, etnicamente identificata, parlando la sua lingua materna. Era affascinata dalla dualità della sua cultura: da un lato, il mondo cattolico e dall’altro, il pre-colombiano con i suoi meravigliosi reperti archeologici.Fu in quegli anni che realizzò il suo lavoro Silhouette. L'artista formava silhouette femminile su diversi paesaggi naturali. La silhouette è la testimonianza di un corpo che è stato e non è più, si tratta di un'immagine fugace, tendente alla scomparsa, che ricorda l'idea ciclica della morte, importantissima nell'iconografia artistica di Ana. Per lei, la morte è parte della vita, un transito, qualcosa di provvisorio, come l'immagine della silhouette che si sbriciola ritornando alla terra, come i nostri corpi. Nella cultura messicana, morte e resurrezione sono tappe di un infinito processo.
La presenza del corpo della donna e della terra, sono temi ricorrenti nel lavoro dell’artista, che vuole unire le due immagini, rivendicando il legame esistente tra di loro. Ana comincia a cercare le sue radici culturali, la sua identità, come donna latinoamericana. Riprende un'associazione culturale universale, l'attività creativa della donna e la terra: entrambi fonti di vita. Il libro “ Il labirinto della solitudine”, di Octavio Paz, avrà influenzato l’artista, quando analizza il ruolo della donna nella cultura messicana, dove è presentata come un motivo di culto, legata al sacro.





Nel decennio degli anni ’70, decennio di grande attività femminista negli Stati Uniti, Ana Mendieta denuncia con le sue opere, in modo diretto e violento, l'inferiorità sociale della donna e la violenza di genere. Nella sua opera Glass on body (1972), possiamo notare il corpo nudo dell'artista, sul quale lei stessa preme una lastra di vetro, offrendo una un'immagine distorta del corpo femminile, completamente lontano  dal simmetrico e armonioso canone classico della bellezza.  Attacca l’immaginario culturale collettivo della sessualità ed erotismo femminile, combatte lo sguardo maschile imposto a tutta la società, il prisma attraverso il quale ci è stato insegnato a guardare sia gli uomini sia le donne, che presenta il corpo femminile come un oggetto passivo, feticista, oggettivato. Ana Mendieta presenta il suo corpo, un modo “ anti-estetico”, per rompere gli stereotipi del nudo femminile.



Un altro dei suoi tentativi di combattere il canone al quale la donna è sottomessa è stata la serie fotografica chiamata Facial Hair Transplant (1972), che fu il progetto della sua tesi universitaria. L'artista chiese al suo amico Morty Sklar di tagliarsi i baffi e la barba mentre lo fotografava per incollarli dopo sul suo volto, diventando una donna barbuta, giocando con l'ambiguità di genere, spogliandolo della sua femminilità per conferirsi attributi chiaramente identificativi del sesso maschile. Il pelo sul corpo dell'uomo è sempre stato un simbolo di virilità, forza e potenza, mentre sul corpo femminile è qualcosa di stigmatizzato e “proibito”.

Nel 1973, Sara Ann Otten, una studentessa dell’Università di Iowa, fu stuprata e uccisa. Le autorità si rifiutarono di confermare l’aggressione sessuale. Ana ne rimase sconvolta e per mostrare la sua repulsione per questa aggressione realizzò la performance Rape Scene, una critica brutale e schietta sulla violenza di genere. Volle denunciare l’insicurezza che sentono le donne a causa del trattamento che ricevono da parte degli uomini, che vedono la donna unicamente come oggetto sessuale, che possono possedere in modo violento e senza consenso. L'artista ricreò con crudezza nel suo appartamento quel terribile atto, invitò amici e colleghi nella propria abitazione, a una data ora e questi si trovarono davanti a una scenografia: l'appartamento era buio, tutto confuso e improvvisamente lei con le mani legate dietro, riversa su un tavolo, nuda dalla vita in giù e le gambe coperte di sangue.
Infine nel 1981, Ana poté ritornare a Cuba, dove, realizzò le Sculture Rupestri nel Parco Nazionale del Jaruco, vicino all’Avana. A differenza dei suoi lavori precedenti questo era di carattere permanente, perché consisteva da sculture intagliate e dipinte in pietra calcare di dieci figure femminili che rappresentano diverse divinità della cultura Taina, scomparsa a causa della colonizzazione. Per questo lavoro l'artista iniziò scrivere anche un libro dal titolo Sculture Rupestri, in cui raccontava dodici miti di questa cultura accompagnati da disegni fatti da lei.
Con questa opera crea un parallelismo tra il suo sradicamento culturale a causa del suo esilio e quello degli indigeni colonizzati. L’artista vuole riparare a quel dolore e rivendica il rispetto della diversità culturale, che è essenziale per eseguire un cambiamento politico e sociale; usa la cultura preispanica, per rilevare la emarginazione sociale che soffrono i differenti gruppi etnici negli Stati Uniti, così come le donne. L’artista si appoggia alla mitologia popolare per rivendicare il ruolo delle donne nella religione e nella cultura, scavando ancora una volta in senso antropologico del genere femminile, la fertilità, le mestruazioni e la creazione della vita.

Una notte di settembre del 1985 Ana Mendieta "cadde" nel vuoto dalla finestra del suo appartamento a New York.  A quanto pare lei e il marito Carl Andre ebbero una dura discussione che si sarebbe terminata con il presunto suicidio di Ana, ma purtroppo non ci furono testimoni. Lo scultore diede differenti versioni al 911 e, dopo, davanti dalla polizia pronunciò frasi arroganti e sessiste: “Sono un artista molto famoso e lei non lo era. Forse, in questo senso, ho potuto ucciderla”. In più, mostrava graffi recenti sul volto.
Ancora più spregevole fu la strategia difensiva dell’avvocato di Andre, che presentò Ana come una persona con tendenze suicida e uno stato mentale preoccupante, arrivando a puntare il dito circa lo interesse dell’artista per i rituali o sulle sue amicizie omosessuali. L’ipotesi del suicidio fu sempre respinta dalla famiglia e gli amici di Ana. Dopo tre anni di giudizio Andre fu assolto, ma dovette pagare un deposito di un quarto di milione di dollari.

Nel 1992, si inaugurò l'espansione del Guggenheim Museum di New York, con una mostra collettiva di artisti come Brancusi, Kandinsky, Beuys e Carl Andre, tutti uomini, ma all'ultimo momento si decise di includere una donna: Louise Bourgeois.  Questo piccolo contributo femminile non fu sufficiente per le  Women's Action Coalition e le Guerrilla Girl, che manifestarono, domandano una maggiore presenza delle donne nei musei e nell'industria dell'arte in generale. Portavano striscioni con slogan di protesta, o le famose maschere gorilla, ma c'era un tema che in particolare richiamava l’attenzione: "Carl Andre è al Guggenheim.  Dove si trova Ana Mendieta?"
Il settore dell'arte femminista esigeva che si chiarissero le circostanze della morte di Ana, poiché  l’establishment artistico appoggiò fin dall'inizio lo scultore.
Inoltre, rivendicavano  che le opere di Ana meritassero di essere esposto in un museo, uguale o superiore a quella di suo marito e di altri artisti di sesso maschile.


traduzione di Lia Di Peri


Broadly.