lunedì 21 luglio 2014

Le figlie rubate del Messico

Jennifer Clement




Lupita ha trent'anni e lavora come lavandaia in diverse case di Città del Messico. Ricorda ancora la prima volta che vide come portarono via una bambina dalla sua città. “Era molto carina” – dice. “ Era lentigginosa". "Aveva 11 anni”.
A quel tempo, Lupita aveva 20 anni. Cinque uomini arrivarono con i loro veicoli in un piccolo quartiere vicino a Dos Bocas, appena fuori il porto di Veracruz.  “ Quando uscirono dal furgoncino, tutto quello che potemmo vedere, furono le mitragliatrici che impugnavano. Volevano sapere, dove era la più bella, la bambina con le lentiggini”. Tutti sapevamo chi fosse. Se la portarono. Lei aveva ancora la sua bambola sottobraccio, quando la caricarono in un furgone come un sacco di mele. Questo è successo più di 12 anni fa. Non abbiamo più saputo nulla di lei”.
Il nome della bambina era Ruth, racconta Lupita. “ E’ stata la prima che hanno rubato. Poi udimmo che questo era successo anche in altre città” aggiunge. Gli uomini che vagavano per i villaggi, lavoravano per i cartelli della droga locali, sequestrando bambine, che diventano vittime della Tratta a scopo di prostituzione. “ Non avevano nelle nostre comunità, nessun luogo dove potersi nascondere”, spiega Lupita. “ Così scavavamo buche nella terra e se sentivamo che i narcos erano vicini, dicevamo alle bambine che entrassero nel buco, che stessero in silenzio, per qualche ora, fino a quando gli uomini si allontanassero”. Ricorda come una madre lasciò carta e penna in un buco per la figlia. “ Questo funzionò per un po’ fino a quando anche i narcos hanno cominciato a trovare le buche”, continua.  Lupita andò via dalla comunità, dirigendosi a Città del Messico in cerca di lavoro.
Negli elenchi preparati dalle agenzie governative e dalle Ong, sulle bambine scomparse in Messico, si possono leggere cose come queste:

Karen Juarez Fuentes, 10 anni. Sesso femminile. Scomparsa mentre andava a scuola ad Acapulco. Pelle bruna. Capelli castani. Occhi marrone.

Morena-Ixel Rivas, 13anni.  Sesso femminile. Scomparsa in Xalapa. Un metro e mezzo di altezza.  Peso, 50 chili.  Bruna. Viso ovale. Lacerato il lobo dell’orecchio sinistro.

Rosa Mendoza-Jimenez, 14 anni.  Sesso femminile. Scomparsa. Magra. Pelle scura. Capelli castani scuri. Non ci sono altri dati.

Le liste si sommano e continuano. Secondo le cifre ufficiali, i rapimenti sono aumentati nel paese del 31% rispetto allo scorso anno. Queste statistiche si riferiscono alle vittime che sono stati rapite in cambio di un riscatto, poiché la gente è più propensa a denunciare il reato quando è richiesto il denaro.
Tuttavia, c’è un altro tipo di violenza che non si denuncia. Quando una bambina è oggetto di “furto”. Così è chiamato questo tipo di sequestro; la catturano in strada, quando si dirige a scuola, quando esce dal cinema, ma anche nella propria casa. Nessuna richiesta di riscatto per lei. Quello che i delinquenti vogliono è il suo corpo. I cartelli della droga sanno che mentre possono vendere un sacchetto di droga solamente una volta, possono invece prostituire una bambina più volte in un solo giorno.

Per ingannare i trafficanti, le famiglie stanno ricorrendo a misure estreme. Alcune donne si nascondono in rifugi e case segrete e mascherano le facciate degli edifici perché somiglino a vetrine di un negozio.  Molte famiglie di contadini poveri hanno nelle loro capanne nascondigli segreti, dove occultare le sorelle e le figlie dalle costanti incursioni dei trafficanti. Una donna che vende collane di perline sulla spiaggia di Acapulco mi racconta di come i suoi genitori siano riusciti ad allargare un piccolo angolo, che esisteva tra la parete e il frigorifero di casa, dove avevano pensato di nasconderla, qualora i trafficanti avessero battuto la zona con i loro enormi SUV o moto. “ Ci sono state sparatorie e rapimenti, per tutto il tempo”- dichiara.  “ Non viviamo più là. Nessuno può vivere in questo paese”- finisce.
Un altro modo che hanno le donne di evitare l’attenzione dei narcos è di essere poco attraenti. Più volte ho udito madri che spiegano perché non permettano alle loro figlie di acconciarsi, truccarsi o profumarsi. Alcune aree rurali che ho conosciute durante manifestazioni e proteste a Città del Messico, deformano le loro figlie tagliandole i capelli o travestendole da maschietto.

“ Avevo detto a mi figlia, di non uscire molto”- mi racconta Sarita, di Chilpancingo, una grande città nello Stato di Guerrero “ mi ha ignorata”. Le lacrime rotolano giù per le guance di Sarita e le pulisce come se volesse cacciarle indietro. “ Abbiamo combattuto tutto il tempo, perché non si truccasse le labbra” “ Non so se sia scappata da casa volontariamente con un uomo o se l’hanno rubata". Non lo so. Andò a scuola una mattina e non è più tornata”, dice singhiozzando.

In una città del sud del paese, visito un convento del XVII secolo, dove si è stabilito uno dei pochi gruppi esistenti nel paese, che lavora in segreto per aiutare le donne a uscire da situazioni pericolose. Qui, le suore, quasi tutte settantacinquenni, tengono nascoste 20 donne con i loro figli scappate dai mariti e fidanzati.
Domando alle religiose, cosa succederebbe se qualcuno di questi uomini apparisse alla porta, con la loro banda, imbracciando fucili d'assalto AK-47. Mi rispondono senza esitazione che, tutte insieme, con i loro corpi formerebbero un muro e che morirebbero per le donne e i bambini che proteggono.
Nel monastero c'è una ragazza abbastanza sottile con i capelli castani, deve avere circa 18 anni, non di più. Il suo nome è Maria e vive lì da più di un anno. Il marito la stuprò, la prima volta, a una festa. “Rimase a guardarmi e, allora, capì che ero perduta”, racconta Maria. “ Mi nascosi in bagno per tutta la notte, mentre lui restò in piedi dietro la porta per ore e ore… Una donna non può dire di no. Infine, lasciai il bagno e lui era lì. Mi ha violentata per diversi giorni”.

Maria spiega come riuscì a scivolare attraverso una finestra mentre l'uomo dormiva e tornare a casa dalla famiglia. “ Quando mia madre mi vide entrare dalla porta, ho pensato che venisse ad abbracciarmi, invece ha preso il telefono e ha chiamato l’uomo per rivelargli dove mi trovavo. Mi ha detto che non voleva morire per causa mia. Quando, lui venne a prendermi mi picchiò selvaggiamente. Mesi dopo, una notte, mi portò nel bosco, perché lo aiutassi a disfarsi di un barile di acido cloridrico, dove era stato sciolto un corpo umano. Voleva essere sicuro che fossi sua complice”.

Non ci sono cifre esatte sul numero di donne e ragazze rubate e vittime della tratta in Messico. Nelle zone rurali, pochi confidano nella polizia, poiché spesso sono in combutta con le mafie locali, per questo molti casi di sparizione non sono registrati.
Una cosa su cui tutti concordano, organismi governativi e Ong, è che i casi di lavoro forzato, schiavitù per debiti e traffico sessuale, stanno crescendo a ritmi allarmanti. Il Governo si è impegnato a trovare metodi più efficaci contro la violenza (lo scontro diretto con i cartelli della droga, ha provocato la morte di 70.000 negli ultimi sei anni), ma deve ancora presentare un piano, qualunque sia, in questa direzione.
Lo scorso novembre, il presidente Enrique Peña Prieto ha accompagnato Rosario Robles, Ministro dello Sviluppo Sociale, in occasione dell'apertura di un centro per donne nella remota e poverissima comunità di Tlapa de Comonfort (Guerrero). “ In Messico, nel XXI secolo la peggiore espressione di discriminazione contro le donne è la violenza” ha affermato Rombles. "In questo moderno Messico ci sono tuttavia Stati dove il castigo è maggiore per aver rubato una mucca, che per aver rubato una donna”.

Nel frattempo, le famiglie continuano a chiedere giustizia con tutti i mezzi disponibili. Nella cattedrale di Xalapa, Veracruz, hanno organizzato lo scorso anno, proteste nella Giornata Internazionale della Donna. Una delle azioni è stato quella di mettere sui gradini della Cattedrale le scarpe delle scomparse con scritto i loro nomi. Accanto a un paio di sandali, 35 di piede, si poteva leggere” ce l’avete levata in vita, la rivogliamo in vita”.

“ Abbiamo smesso di portare le nostre figlie al mercato” mi dice una madre. “ Era troppo pericoloso. Lasci  un attimo la mano di tua figlia per prendere una papaya e, in un secondo, lei svanisce”. “ E’ successo a mia cugina. Si sono portati via la figlia. Ha sentito un movimento, una spinta ed è caduta a terra. L’hanno allontanata con uno spintone e hanno afferrato la bambina. Non aveva più di sette anni. Quando mia cugina ha parlato con la polizia, che si presume, dovrebbe tutelarci, un agente le disse che solo a un idiota potrebbe succedere che si portino via la figlia così”. “ Puoi averne un’altra, sei ancora giovane”.

 Nel carcere femminile di Città del Messico, Santa Marta Acatitla, le carcerate vanno vestite con uno di questi due colori: quelle già condannate di celeste, quelle in attesa di giudizio di beige. Il penitenziario si trova di fronte a quello degli uomini e i prigionieri si vedono attraverso le fessure delle pareti di cemento. Intravedono un pezzo di pelle, l’ombra di un volto, un bacio che vola attraverso un cortile di cemento e filo spinato. Agitano fazzoletti per salutarsi.

L'artista Luis Manuel Serrano organizza da oltre dieci anni, seminari di collage in carcere, aiutando le donne a raccontare le loro storie sulla base d’immagini ritagliate dalle riviste e incollarle su grandi pezzi di cartone. Serrano, spiega che la tecnica permette di esprimersi senza bisogno di  specifiche conoscenze. Le opere narrano una straordinaria quantità di racconti di donne che furono rubate e, successivamente, usate o vendute come prostitute e infine incarcerate per questo.
Racconta Serrano che il collage più spaventoso che avesse mai visto era di una giovane donna chiamata Marcela. Questa donna era di Tijuana e stava camminando dalla scuola alla fermata dell’autobus per tornare a casa, quando fu catturata e gettata dentro una macchina. Aveva 14 anni. Divenne una “ paradità” (prostituta di strada, letteralmente, colei che sta in piedi), in una rinomata zona di Tijuana, chiamata Callejón de Coahuila, dove le donne aspettano i clienti appoggiate alle pareti.

 “ Eravamo tutte piccoline”, raccontò a Serrano. “ Come lo sapevamo?” “ Bastava che ci guardassimo le une con le altre, minuscole, minuscoli seni”. Serrano mi spiega che il collage di quella donna era in bianco e nero ed era pieno di teschi. “ E’ stata l’unica volta che uno di questi lavori, mi ha messo paura”, conclude.

Quasi tutte le donne che hanno la possibilità di parlare in carcere testimoniano che la vita qui è migliore di quanto non fosse fuori. Prova di ciò è che le autorità carcerarie non rivelano alle internate quando usciranno.  (…) Serrano mi dice che le donne rimesse in libertà, spesso commettono reati per rientrare in carcere. "Qui, per la prima volta nella loro vita, molti si sentono sicure e assistite."


“L’attività principale in carcere è di farsi belle. A volte sembra quasi il maggiore salone di bellezza in Messico” aggiunge. “ Lì dentro senti l’odore della lacca, quello del solvente per le unghie e profumi; le prigioniere passano la maggior parte del tempo laccandosi le unghie, tingendosi i capelli con ogni tipo di colore e mettendosi ciglia finte.  Un paio di anni fa, alcuni membri del personale furono licenziati per avere organizzato una festa di botox in infermeria. Forse, essere belle in carcere, sembra abbastanza sicuro per le donne”.

El Mundo.es

( traduzione Lia Di Peri)