giovedì 9 marzo 2017

I malati non sono lottatori.




E’ diventata una moda trasformare i malati in gladiatori. Una specie di atleti olimpionici dai quali si pretende che lottino per curarsi. Questa moda che è pura ideologia neo-liberista portata nel mondo della salute, è trasferita alla filosofia da mercatino di Paulo Coelho riguardo alla malattia. Si vede che il mondo imprenditoriale non riesce a dare di più che questa filosofia che vede la vita divisa tra vincitori e vinti. Paolo Raez non era un combattente perché era un paziente, una vittima arbitraria di qualcosa di ingiusto come soffrire di leucemia.

Trasformandolo in lottatore cade su di lui tutta la responsabilità di guarire, nascondendo che per curarsi da una malattia nulla è più efficace dell’investimento pubblico nella ricerca medica e nella qualità del sistema pubblico sanitario. E, come se non fosse sufficiente, quando la persona ammalata muore, la perversione consiste nel dire che non si è curato che, nel linguaggio neo-liberista, vuole dire che non ha lottato abbastanza: il responsabile di aver perso la battaglia diventa il malato. Una perversione mostruosa.

Una malattia come la leucemia è arbitraria, nessuno la sceglie, è disgraziatamente aleatoria. Pertanto, nessuno sceglie di combattere la leucemia o qualsiasi altra malattia. Gli ammalati sono dei pazienti, vittime che soffrono e il successo della guarigione dipende da una diagnosi tempestiva, da un buon trattamento, dall’investimento del denaro pubblico nella ricerca e che siano attenzionati da una buona equipe medica.

Questo sistema ossessionato dal trasformare tutto in successo/fallimento che converte gli imprenditori in una sorta di eroi che lottano per uscire dalla disoccupazione da soli, senza dire che la cosa più importante perché un imprenditore abbia successo è il denaro di partenza che gli prestano i suoi famigliari per iniziare, così ora si lancia anche l’idea di isolare la malattia e a convincere che lottare è sufficiente per guarire. Ugualmente se si vive in Senegal o in Svezia, che si lotti in una baracca o in uno chalet della Moraleja, che si abbia accesso alla salute pubblica di qualità o che chiedano la carta di credito se si entra in un ospedale.

Nessuna questione importante si risolve combattendo in solitudine né citando frasi celebri di Paulo Coelho. Nessuno esce indenne da un cancro combattendo come un atleta olimpico. Nessuno diventa un imprenditore di successo solo possedendo una buona idea di business. Nessuno ottiene i suoi obiettivi soli sognandoli. Nessuno lascia l'esclusione sociale solo ridendo alla vita. Nulla assolutamente nulla si risolve con una frase zuccherosa.
Questo è sufficiente per trasformare qualsiasi aspetto della nostra vita in un fatto individuale, dipendendo solo da noi stessi. Nessuno si fa da se stesso che è la tipica frase di assenza di solidarietà dell’individualismo e la mancanza di empatia. Ci realizziamo gli uni con gli altri in salute e nella malattia. Invece di richiedere alle persone malate di lottare, sarebbe più utile che lottassimo noi per loro, per noi stessi e per tutti e che almeno smettessimo di votare opzioni politiche che tagliano in modo criminale la ricerca scientifica e il sistema di salute pubblica.

(traduzione di Lia Di Peri)