domenica 6 novembre 2011

"Levanta la cabeza, eres un libio libre"...

La Comunità nera sfollata prende le strade di Tripoli.
" Siamo arrivati fin qui per dire alla gente che ci trattano come cani. Preferisco che mi uccidano qui, non sarò la prima né l'ultima morta", grida Hamuda Bubakar al suo arrivo alla Piazza dei Martiri, nel centro della capitale libica.

Questa giovane di 23 anni è una dei duecento sfollati arrivati alle caserme di Tarik Matar,alla periferia di Tripoli. Come tutti i suoi compagni/gne, Bubakar è anche nera.
" Abbiamo vissuto più di due mesi in quelle baracche" spiega Aisha che preferisce non dare il suo nome completo. " Martedì notte i ribelli di Misurata hanno portato via sette dei nostri giovani. Non sappiamo più nulla di loro" continua questa donna di 40 anni.

Molte donne degli accampamenti sono state rapite e violentate nelle ultime settimane- ha aggiunto.
Nella piazza il già pesante traffico si congestiona definitivamente, e gli animi dei soldati che custodiscono la piazza si scaldano.
" Dovremmo ucciderli tutti qui stesso,così come abbiamo fatto a Misurata", esclama un giovane vestito con m
imetica, prima che i suoi compagni lo zittiscano.

Un'ora dopo, la pressione dei miliziani sostenuti da decine di clacson impazienti riesce a sciogliere i manifestanti.

" Ci chiamano gheddafisti, ma ci odiano anche per il colore della nostra pelle. " Tutti i neri della Libia stiamo soffrendo per questa ragione" si lamenta Rahman Abdulkarim mentre si appresta a ripercorrere il lungo cammino. Rivedrà tra poco, gli immensi quartieri di cemento a sud di Tripoli. Le baracche sono oggi le case di mille sfollati bastioni gheddafisti come Bani Walid a 150 km. a sud-est di Tripoli - Tawergha o anche di Abu Salim, l'ultimo distretto nella capitale libica a cadere nelle mani dei ribelli.

(...)
" Molti arrivano dopo aver trascorso giorni vivendo in spiaggia, la maggior parte ha paura di camminare per la strada, racconta il volontario Abudheer, che riferisce siano 27.000 il numero dei tawerghesi sfollati principalmente tra Tripoli e Bengasi, la seconda città della Libia.
Lo scenario di persone assemblata nella baracche circondate da filo spinato sul quale stendono i vestiti si ripete a Tarik Matar.
Nella stanza che divide con altri otto membri della sua famiglia Azma mostra una foto di chi manca. Il 13 settembre suo fratello Abdulah fu fatto uscire dalla macchina nella quale viaggiva con i suoi tre figli e la sorella in un posto di blocco alla periferia di Tripoli.
L'ultima cosa che abbiamo saputo di lui ce l'ha detta l'autopsia : Lesioni multiple causate da oggetti solidi e flessibili in tutto il corpo, in particolare, testa e torace"
Di fronte a questo antecedente,i familiari dei sette giovani rapiti martedi scorso, temono uguale destino.
Mabrouk Mohammad, anch'egli sfollato nel campo di Tarik Matar, dedica ora la sua vita per coordinare l'ingresso di cibo e rifornimenti per il plesso, molti delle quali arriva attraverso iniziative private.
" Abbiamo bisogno di sicurezza nel luogo dove siamo oggi e che quelli di Misurata ci facciano tornare nelle nostre case, senza paura di ritorsioni" dichiara davanti alla porta della caserma- supermercato un ex professore di educazione fisica.

Ma tornare alla natale Tawergha è un sogno che, la maggior parte, ha smesso di accarezzare.
Non riescono neppure a garantire la loro permanenza in un posto tanto precario come questo.
(...)
Web Islam






(traduzione di Anita Lia Di Peri Silviano)

 

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