domenica 26 gennaio 2014

MINERITA. La montagna che divora le donne

Abigail nella  miniera di Cerro Rico.



“La chiamano la montagna che divora gli uomini, ma è piuttosto la montagna che divora le donne”. Raúl de la 
Fuente è il regista di Minerita, breve documentario candidato al Goya (il più importante riconoscimento cinematografico spagnolo), che racconta la violenza contro le donne e le bambine nelle vicinanze della miniera di Cerro Rico (Bolivia), a 4.700 metri di altezza, da uomini che, consapevoli della loro condanna a morte a causa delle estreme condizioni di lavoro (la loro aspettativa di vita è inferiore a 45 anni), le aggrediscono e le stuprano nella più totale impunità. " Di tutti i posti in cui sono stato, questo è il meno adatto per la vita ", dice il regista.
Lucia, 40 anni, Ivone, 16, e Abigail, 17, sono le protagoniste di un angoscioso racconto ai piedi di una miniera che uccide le giovani dentro e strangola le donne fuori. Ognuna che sopravvive scappa come può, abbandonata alla sua disgrazia. Le tre donne vivono all’ingresso della miniera, in una casetta con piccole cose e, in alcuni casi, bevono acqua contaminata che esce dai tunnel.
La più grande, Lucia, si occupa di spaventare gli aggressori facendo esplodere dinamite, scappando dalla strada, anche se afferma di non avere paura. Tutto il contrario di Ivone che, oltre a scappare dai minatori, deve fuggire anche dal padre alcolista. “ Quando lui è a casa, io me ne vado. Picchia anche a mia madre. Lo odio”, confessa nel film. "E ' una ragazza forte, con molto carattere, che vive nella costante paura. Nella registrazione ha pronunciato almeno 20 volte, la parola paura. Lei rimane lì per la madre, che è zoppa da un piede e per le sorelle, ma le piacerebbe andare in Brasile” spiega De la Fuente. Non manca mai nella sua tasca una pietra con la quale difendersi.
La strategia di Abigail è di mimetizzarsi con i minatori. Come le due precedenti protagoniste, si guadagna la vita, sorvegliando il materiale dei lavoratori, però anche lei entra nella miniera di notte per dodici ore (ci sono circa 13.000 bambini minatori in tutta Bolivia, secondo l’ONG CEPROMIN). Prima lo faceva abbastanza frequentemente, adesso soltanto sporadicamente, quando ha bisogno di qualche soldo in più, alle spalle dell’organizzazione con la quale passa il resto del giorno studiando, intercalando la miniera con i libri nelle interminabili giornate che quasi s’incontrano tra di loro. Il suo salario però è cinque volte inferiore a quello di un lavoratore, ma è lo stesso contenta potendo adesso guadagnare. In passato, un debito verso i proprietari delle miniere per il furto di materiali che la famiglia di Abigail custodiva l’ha costretta a lavorare gratis per una stagione.
Raúl de la Fuente e Axel O'Mill, responsabile del suono, si sono uniti a lei, per filmare il momento più struggente del documentario dentro le gallerie fatiscenti, fangose, puzzolenti, completamente buie, illuminate appena da una piccola lampadina appesa al casco della giovane, che carica centinaia di chili di pietre nel suo carrello . “ Entrammo la notte successiva alla morte di due giovani per una fuga di gas. Le gallerie sono piene di liquido e fango e alcune gallerie sono molto strette, per questo fanno entrare i bambini. Le misure di sicurezza sono pari a zero. Siamo stati dentro, due o tre ore, non saprei dire con certezza. In realtà si perde la nozione del tempo. Mi ero concentrato sugli aspetti tecnici della registrazione, astraendomi dal posto, quando lei a un certo punto disse: “ Non toccate, qui, può crollare tutto”. Quella frase fu come uno schiaffo della realtà. Così decidemmo di uscire il più rapidamente possibile. Se fosse crollata, saremmo morti” ricorda il regista di Minerita.
L’idea iniziale era quella di accedere alla miniera anche con i lavoratori, però la diffidenza che generò in loro lo convinse a desistere. “ le donne ci hanno ricevuto con prudenza. Erano grate che raccontassimo la loro storia, ma sapevano anche che stavano correndo un grosso rischio. Registrammo con cura per non metterle ancora più in pericolo, stando attenti a che i minatori non fossero nelle vicinanze. Ma anche così la tensione era palpabile. Avevamo programmato di restare tre settimane ma alla fine abbiamo lasciato un po' prima ", racconta De la Fuente.
Questa storia cinematografica trova ispirazione e prologo da un reportage di quattro anni fa, scritto (con foto e audio) da Dani Burgui e Ander Izagirre sui bambini minatori del Cerro Rico, nel quale appariva già, all’interno della montagna, Abigail, premiato nel 2010, come la migliore informazione dell’anno sui paesi del Sud. Il reportage “ aveva scritto molto sul super-macho minatore che rischia la vita, ma poco si era detto sulla situazione di molte donne: violentate e aggredite e sull’incesto. Sono vittime ma hanno una grande determinazione a uscirne con successo e non si aspettano nulla da parte delle autorità o dall'Europa”, conclude Burgui.
In un futuro non troppo lontano, Raul de la Fuente vorrebbe organizzare a Potosí, la città ai piedi del Cerro Rico, una proiezione privata per Lucia, Ivone e Abigail, le tre eroine Minerita. Magari in compagnia di un Goya.



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