sabato 27 luglio 2013

Il femminismo decoloniale. Una breve introduzione

di Nathalia Jaramillo.*






E’difficile se non impossibile valutare qual è la posizione del movimento femminista oggi. Dai primi decenni della lotta delle donne nella sfera pubblica, il femminismo si è evoluto in direzioni diverse. Ha avuto una prima, seconda e terza "onda". E’ passato per varie fasi: radicale, socialista, contro culturale e militante. Le cosiddette donne di colore del terzo mondo hanno rotto l'egemonia di orientamento bianco, nelle correnti liberali progressiste del femminismo e hanno dimostrato le intersezioni tra l'oppressione di genere e di razza, etnia, classe e geopolitica. Alcuni gruppi femministi sono stati separatisti, qualificando il dominio strutturale delle donne, come la principale forma di oppressione della società, mentre altri gruppi hanno esaminato lo sfruttamento delle donne e degli uomini storicamente e in relazione a sistemi più ampi di dominazione. L'occupazione da parte degli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan, in parte "combattuta" in nome della lotta contro l'oppressione delle donne (almeno questo è quello che la manipolazione mediatica indica), ha ulteriormente complicato il progetto femminista. Come può considerarsi l’aggressione contro le migliaia di donne, bambini e uomini innocenti un atto a favore del femminismo? Contraddicendo la nozione di un’occupazione "femminista", attualmente nell'esercito degli Stati Uniti si registra un aumento della violenza sessuale contro le donne nelle loro truppe. Nel 2012 furono denunciati un totale di 26.000 casi (Usborne, 2013). A questo proposito, possiamo considerare la nozione di Iris Young (2003) sullo stato di protezione maschilista sottostante la costruzione d’imperio come nelle occupazioni di Iraq e Afghanistan, dove il discorso delle funzioni "di emergenza protettiva" funziona per razionalizzare l'intensificazione di uno “Stato di sicurezza e la sua accettazione da parte di chi vive sotto il suo regno" (Young, 2003, p. 16). In questo caso la logica maschilista di protezione funziona come uno stratagemma per motivi politici ed economici della guerra, ottenendo l'approvazione pubblica della violenza tra il velo di democrazie e liberazione.
Mentre una generazione di giovani cresce in un mondo caratterizzato da militarismo avanzato, guerra culturale e sfruttamento sessuale, ci fa obbligo riflettere sul significato di un progetto femminista in generale. Sommando alle crisi economiche che affliggono milioni di uomini, donne e giovani di tutto il mondo, il costante sfruttamento delle e dei lavorator* dimostrato dal crollo della fabbrica in Bangladesh, e il numero senza precedenti di fenomeni causati dai cambiamenti climatici e disastri ambientali, pensiamo che il femminismo necessiti una re-concettualizzazione.  La donna, l'oppressa tra gli oppressi, soffre le calamità più profondamente. La teoria e la pratica femminista dovrebbero essere in grado di occuparsi della complessa dinamica che perpetua la violenza militare, strutturale, culturale, sessuale ed economica contro le donne.

Il progetto femminista occidentale si fonda sia filosoficamente sia sociologicamente nelle correnti del pensiero liberale progressista. Di per sé questo non è non è un difetto irrimediabile. Il potenziale di liberazione del femminismo occidentale però si salda all’interno di una comprensione e registro concettuale del sociale, già limitato dalla sua stessa struttura. Il femminismo occidentale ha operato dentro un paradigma binario maschile/femminile, privilegiando il dominio patriarcale come fonte di oppressione delle donne.  Più riformista che rivoluzionario, ha combattuto per le politiche, lasciando la struttura sociale e politica dominante relativamente intatta. Non si può smantellare il patriarcato solamente con le politiche riformiste. Le politiche basate su una misura di parità tra donne e uomini sono importanti e necessarie, ma non forniscono una risoluzione alle relazioni complesse e polivalenti che creano l’oppressione sessuale e di genere.

Il femminismo de coloniale è un movimento teorico e socio-politico in evoluzione. Ogni lavoro esprime il femminismo de coloniale da un particolare contesto, ma ha aspetti importanti in comune. La conquista e la colonizzazione di terre, corpi e tracce di pensiero continuano a influenzare l’identità sociale, politica, lo sfruttamento capitalista e la nostra capacità di comprensione collettiva.
La mia applicazione di femminismo de coloniale si esercita sulla cosiddetta “colonialità di genere".
La colonialità di genere interpreta il “genere” e i suoi sistemi collegati al dominio attraverso la conquista delle Americhe.  Dal lavoro dei pensatori latinoamericani, la colonialità di genere, è strettamente legata con ciò che Aníbal Quinajo (2000) descrive come la colonialità del potere. In poche parole, il sistema globale perpetua di giorno in giorno, un retaggio coloniale. La conquista delle Americhe, nel XV secolo, mise in moto un sistema mondiale gerarchico e razzializzato basato sulla differenziazione maschio /femmina, nobile/ selvaggio, terra/ spirito, corpo/mente.

Il femminismo de coloniale è un modo di capire come l’oppressione sessualizzata e di genere è usuale nella società di oggi, come un artefatto dell’eredità duratura della colonizzazione, un sottoprodotto del capitale neoliberista, la manifestazione di un sistema globale caratterizzato da una gerarchia razzializzata e da un sistema di credenze profondamente radicate nel nostro inconscio collettivo.
Il femminismo de coloniale opera all’interno del paradigma femminista, poiché l'urgenza sociale e politica dell’oppressione delle donne (sessuale, economica, intellettuale, culturale) rimane il centro dell’attenzione necessario, fornendo informazioni al nostro modo di pensare la vita di tutti i giorni. E tuttavia, l'oppressione delle donne non è considerata in termini singolari, o omogeneizzanti: storicamente e materialmente, si trova e appartiene alle dimensioni epistemologiche che hanno definito i concetti come maschile e femminile.
Non si può sminuire l'importanza della teoria e pratica femminista de coloniale. Donne povere e di diverse etnie, hanno lottato per avere voce e per intervenire sui miti dominanti sulla storia della capitalizzazione e colonizzazione. Ciò che distingue la donna dall’uomo, nella logica complessiva di dominazione, ha a che fare con una prospettiva critica che non deve essere ricondotta come un nuovo relativismo o solipsismo.

La donna, l'oppressa tra gli oppressi, offre uno sguardo unico sulla macchinazione della colonizzazione che colpisce la formazione personale della "mascolinità" e "femminilità". Rappresentando la fonte originaria dell’oggettivazione dell’”umano”, la donna con la sua specificità storica, spirituale e materiale interagisce con le leggi che sono  in atto all'interno delle opposizioni strutturali della società capitalistica. Il suo corpo e la sua sottomissione all'interno di formazioni culturali e organizzazioni sociali, rivelano le connessioni tra i modi in cui ci identifichiamo e il modo in cui conosciamo il mondo. Parlare di femminismo decoloniale non è negare né ridefinire gli antagonismi tra i sessi costruiti socialmente. E’ un tentativo di rivelare le vie intricate e sublimi della colonizzazione interna che prendono forma all'interno delle comunità.
La donna politica, sociale e spiritualmente consapevole vede di là dalle contraddizioni e dei copioni personali incorporati all'interno di forme culturali e sostiene la comprensione di ogni esperienza come una confluenza di campi d’identità sovrapposte.
 Nathalia Jaramillo, docente di Studi Critici dell'Istruzione della Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Auckland, Nuova Zelanda. E' autrice eco-autrice di numerose pubblicazioni sulla pedagogia critica, il pensiero coloniale e ricerca sociale femminista.  Nathalia è di origine colombiana e lavora e risiede in Nuova Zelanda dal 2011.



revista con la A

(libera traduzione di Lia Di Peri)


4 commenti:

  1. comunque una persona, donna o uomo, cisgender o transgender che sia, che vive la femminilità o la mascolinità in un modo più o meno diffuso piuttosto che in un altro non è di per sè meno libero/a o autentico/a

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    1. siamo tutti un mix di natura, cultura e storia ma non ciò non ci rende necessariamente schiavi

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  2. Se non fosse che viviamo sotto il tetto del potere egemonico, patriarcale, capitalista,liberista, che ha orrore e paura delle diversità...

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    1. temo che la paura del diverso sia precedente al capitalismo e al liberismo, c'è ancora da fare a favore della tolleranza e della convivenza ma io voglio essere ottimista

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