mercoledì 4 aprile 2012

Allarme per la criminalizzazione del movimento indigeno in America Latina

Golpisti, terroristi, dissidenti e sabotatori, questi ed altri aggettivi sono stati usati dai governi negli ultimi anni per qualificare le azioni del movimento indigeno in Sudamerica:   leaders indigeni/ne, attiviste/ti e organizzazioni in difesa del movimento hanno denunciato di essere vittime di persecuzione politica e giudiziaria, a tal punto che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ( (CIDH) ha fatto una menzione speciale sulla situazione di rischio dei /delle leaders indigen* e ha reso pubblica la sua preoccupazione per i sistematici attacchi, minacce e molestie.

Le cifre dimostrano la gravità di queste affermazioni: organizzazioni indigene dell'Ecuador denunciano la messa sotto accusa di 194 indigeni per sabotaggio e terrorismo; mentre in Bolivia 24 dirigent* indigeni e non  - che avevano partecipato ad una marcia nel 2011 - sono indagat* per i reati di sequestro di persona e tentato omicidio.

A tutto ciò si aggiungono altre gravi situazioni come quella peruviana: negli ultimi dieci anni sono stati aperti procedimenti penali contro decine di dirigenti e contadini peruviani per il reato di sequestro, lesioni e danni alla proprietà provocate durante manifestazioni contro imprese private; per lo stesso motivo in Cile più di un centinaio di Mapuche sono stati messi sotto accusa dalla Legge Antiterrorista e sono stati avviati procedimenti contro il popolo Nui.
In questo contesto non suona per nulla strano la posizione pubblica della Coordinazione Andina delle Organizzazioni Indigene ( CAO), che riunisce Bolivia, Ecuador, Colombia e Perù e che ha richiesto pubblicamente il 15 marzo passato la fine della criminalizzazione e persecuzione delle/degli indigen* l'annullamento dei processi e la prestazioni di garanzie per l'esercizio dei loro diritti,compreso il diritto alla protesta. Per la Commissione dei Diriti Umani " la persistenza degli attacchi cercano di ridurre le attività di difesa e protezione dei territori e risorse naturali, così come la difesa del diritto all'autonomia e identità culturale" dei popoli indigeni, aggressioni che si danno mediante la criminalizzazione, l'intimidazione e la stigmatizzazione.

Interessi di sinistra, di destra e delle multinazionali.

Nel corso del tempo è diventato evidente la rottura del patto politico e le alleanze tra il movimento indigeno e i governi come quello boliviano, ecuadoregno, brasiliano e peruviano, i quattro paesi della grande popolazione indigena.
Di fatto presidenti come Evo Morales (Bolivia) e Rafael Correa ( Ecuador) si sono appoggiati a questi movimenti per le elezioni e discorsivamente impegnati nei processi costitutivi, affermando il rispetto dei loro diritti collettivi, però sono stati i primi a porre limiti alle prerogative indigene a beneficio dei progetti di investimento straniero nei loro territori.

In altre parole, non si è modificata la logica di contrapporre gli interessi privati a scapito dei diritti collettivi. In questo senso, il movimento indigeno si scontra con i milionari progetti di infrastruttura, privatizzazione dell'acqua, concessioni petrolifere, del gas, minerarie e forestali, comprese le questioni del possesso e distribuzione della terra: in Bolivia si oppongono al progetto della superstrada di 400 milioni di dollari che attraversa il territorio indigeno TIPNIS; in Perù si scontrano contro lo sfruttamento dell'oro della miniera Yanacocha che investirà 4.800 milioni a Cajamarca e in Brasile tentano di evitare la costruzione di una centrale idroelettrica che costerà 11.000 milioni di dollari.

Per la Commissione è sintomatico che le violazioni dei diritti umani, molestie, attacchi e aggressioni siano in aumento via via che si accrescono i conflitti con " settori di grande potere economico, come le imprese propulsore di progetti minerari" tant'è che la CIDH ha posto i conflitti sui megaprogetti nella stessa categoria dei paesi con ritardi democratici, conflitti armati interni o di scontro con la criminalità organizzata.

Allo stesso tempo, questa situazione di vulnerabilità viene incrementata con la graduale militarizzazione dei territori indigeni e la violenza politica come si nota nei casi del Cile, Bolivia, e Colombia. In Bolivia il territorio indigeno del TIPNIS ha denunciato l'invasione della Marina per intimidire e, per  perseguitare i/le leaders indigen*: " Adesso sono venuti a militarizzare il TIPNIS, per mettere paura a gente povera come noi" denuncia la dirigente Miriam Yubanore. Mentre in Cile, il 23 marzo scorso,30 poliziotti e 15 funzionari comunali sfrattavano " in modo molto violento" un membro della comunità di Tekel Mapu, ma questi casi di violenza poliziesca sono frequenti per i mapuche e le organizzazioni che difendono i loro diritti : " è una triste e vergognosa problematica per la società cilena" ha dichiarato la Ong, Commissione Etica contro la Tortura, dato che nel 2010 è accaduta un'altra violenta repressione contro il popolo Rapa nui. In Colombia la situazione del conflitto armato e la militarizzazione delle zone rurali ha provocato morte e sfollamento delle comunità indigene.

Ecuador e Bolivia: due Marce nazionali denunciano la persecuzione.

Le ultime accuse in Ecuador si sono avute in occasione della Marcia per la Vita, l'Acqua e la Dignità dei Popoli, svoltasi a Quito il 22 marzo scorso. nelle operazioni compiute giorni prima
della marcia, il Governo ha arrestato una decina di giovani ( studenti ed attivist*) e li ha accusati di atti sediziosi e di appartenere a gruppi sovversivi irregolari. A loro difesa i detenuti hanno dichiarato che sono simpatizzanti e militanti del Partito Marxista leninista Ecuatoriano ( PMLE), collegato al partito Movimento Popolare Democratico (MPD) come ha dichiarato il dirigente di questo partito,  Luis Villacís.

Non sono solamente le organizzazioni politiche che appoggiano il movimento indigeno ad essere accusate, Humberto Cholando,leader della Confederazione della nazionalità Indigena dell'Ecuador (CONAIE) ha dichiarato che una delle richieste della marcia è il mettere fine alla criminalizzazione e repressione di 194 indigeni, rilevando che il governo invece di ascoltare  le loro richieste " si è affrettato a qualificarli come golpisti,con lo scopo di destabilizzare il regime e la democrazia". Le stesse lamentele sono state sollevate davanti  alla Sorveglianza internazionale del giudice  Baltazar Garzón da parte delle organizzazioni indigene CONAIE,Ecuarunari e  Pachakutik che rappresentano i popoli indigeni amazzonici della costa e della montagna.

Nella stessa situazione in Bolivia in questo momento  si trovano 24 dirigenti donne e uomini indigeni del popolo mojeño, yuracaré, chimán, quechua, aymara, guaraní,più la fondatora dell'Assemblea Permanente dei Diritti Umani di Bolivia  (APDHB) ed altre/altri difensor* e attivist* dei diritti indigeni, che sono sotto accusa per il reato di "tentato omicidio" e per "lesioni gravi e lievi". Queste accuse si basano sui fatti accaduti il 24/25 settembre del 2011, mentre si elaborava la VII Marcia del Territorio Indigeno  e del Parco Nazionale Isiboro Sécure( TIPNIS) e veniva approvata una legge che proibisce la costruzione della milionaria superstrada che avrebbe attraversato il territorio e distrutto l'habitat; progetto finanziato dal Brasile e svoltodall'impresa brasiliana OAS. Mentre il governo accusa gli indigeni, gli indigeni accusano il governo boliviano della violenta repressione poliziesca del 25 settembre, nella quale 600 poliziotti gasarono, torturarono, aggredirono e sequestrarono più di 800 leader e manifestanti.

Organizzazioni come la Central de Pueblos Étnicos Moxeños del Beni (CPEMB) y la Confederación de Pueblos Indígenas de Bolivia (CIDOB)  hanno denunciato risoluzioni le " azioni di intimidazioni e persecuzione della Procura " contro gli indigeni" "per crimini mai commessi, né verificatesi nella realtà". L'ex dirigente dell'Assemblea del Popolo Guaraní (APG), Celso Padilla, ha riferito molestie e persecuzione politica al Consiglio Continentale del Popolo Guaraní che raggruppa il Brasile, Argentina, Paraguay e Bolivia " La Bolivia ha una situazione di repressione nei confronti dei principali leader e chi vi parla è stato fatto segno dal governo" ha dichiarato.

Perù e Cile: le lotte contro gli interessi privati.

La CAOI ha anche denunciato che vi sono decine di dirigenti e membri delle comunità peruviane vittime di persecuzione poliziesca e sottoposti a procedimenti penali, per aver partecipato a manifestazioni anti-miniere. Tra il dicembre del 2011 e marzo di quest'anno sono stati arrestati leaders del Fronte di Difesa Ambientale di Cajamarca e della Piattaforma Istituzionale di Celendinviii, accusati di " attentare contro i pubblici servizi, prodotto della protesta sociale" nei confronti del progetto minerario Conga dell'impresa Yanacocha,che prevede di prosciugare quattro lagune. Il presidente del Consiglio Regionale, Elzer Elera López ha riferito di un piano per arrestare persone, autorità e leader sociali.

Prima di questi nuovi conflitti, la Confederazione nazionale delle Comunità del Perù Colpite dalle Miniere ( CONACAMI) aveva ribadito la sua preoccupazione per il procedimento contro 17 contadini per aver partecipato ad una mobilitazione in difesa di più di 80 sorgenti di acqua a Condorhuain nel 2008, durante il governo di Alan Garcia. La dichiarazione delle organizzazioni sostiene che " come rappresaglia per la nostra difesa dell'acqua, adesso siamo vittime di persecuzione penale. Ci accusano di sequestro, lesioni, danni alla proprietà ed altri crimini, pretendendo di imporci 30 anni di carcere".

Il problema della criminalizzazione  e repressione in Cile è acuito al contrario,dagli abusi subiti dalle comunità indigene mapuche: retate poliziesche,perquisizioni e repressioni con l'uso di lacrimogeni e gas. A ciò si aggiunge l'applicazione della legge Antiterrorismo, norma per la quale vengono avviati gran parte dei procedimenti penali contro i mapuche per reati comuni e che invece vengono trattati giudiziariamente come terroristi - ha riferito la Ong, Human Rights Watch.
Uno di questi casi è quello che nel 2008 coinvolse 17 mapuches di una comunità vicina al lago Lleulleu nella regione di Bio Bio per la rivendicazione delle terre che essi considerano come proprietà ancestrale. Casi similari sono la condanna contro un dirigente in conflitto con la chiusa idroelettrica Ralco nell'Alto Bio Bio e del portavoce della comunità  Huilliche Pepiukelen, in conflitto con l'impresa del salmone Los Fiordos,accusata di contaminare fiumi e laghi. Questa settimana 10 mapuche (di cui due minorenni) saranno giudicati per " rapina di natura terroristica, incendio terrorista e associazione illecita terrorista" a Victoria e se verrano condannati  rischiano 25 anni di carcere.

La Commissione dei Diritti Umani ha denunciato il caso verificatosi nel 2010, quando circa 70 persone del popolo Rapa nui - che occupavano la piazza Riro Kainga, come atto di protesta per i diritti ancestrali del territorio - furono sfrattati da un centinaio di poliziotti armati, donne e bambini picchiati. In questo caso la Commissione ha concesso misure protettive per i Rapa nui e ha ordinato al governo cileno di porre fine alla violenza armata, ai procedimenti penali e agli sfratti.

Brasile e Colombia: altre forme di violenza contro gli indigeni.

In questi due paesi vi è una situazione di abusi dei diritti umani da parte di terzi. In Colombia è persistente la minaccia di esecuzioni,uccisioni di civili ( contadini e indigeni) dai militari che utilizzano i "falsi positivi" facendoli passare per insorti o guerriglieri e ottenendo ricavi e benefici: i casi più noti sono gli omicidi degli indigeni wayúu, anche se per tutto il 2010 la CIDH ha denunciato casi di uccisioni di dirigenti dei popoli nasa, wayúu, sikuani, pasto, embera-chamí e la dirigenta del pueblo u’wa.
Nel mese di marzo, la Corte Costituzionale e la Commissione dei Diritti Umani hanno ordinato allo Stato colombiano di proteggere agli indigeni awá minacciati dai gruppi armati in conflitto nella guerra in Nariño, scontro che quest'anno ha portato a diverse sparizioni e uccisioni e allo sfollamento di più di 800 persone. Ma anche se la risposta del governo è stata la crescita della militarizzazione, gli indigeni la respingono: " Si crede che la soluzione sia militarizzare il territorio, ma ciò invece di darci sicurezza,ci espone ancor di più al pericolo del conflitto" ha dichiarato il leader Alex Guangaxii.

In Brasile il leader dei guaraní-kaiowá nello Stato del Mato Grosso do Sul fu assassinato nel 2003 e quest'anno il giudice ha assolto i presunti assassini accusati di tortura di altri sei dirigenti. La morte si è verificata quando circa 40 uomini armati colpirono diversi dirigenti indigeni che reclamavano le terre di un proprietario terriero, situazione ricorrente in questa regione, . Ma gli indigeni non solo si scontrano con i proprietari terrieri e i gruppi armati mercenari, recentemente gli indigeni kayapó e altre comunità si sono scontrati con il governo brasiliano per fermare la costruzione della centrale idroelettrica Belo Montexiii che compromette il loro habitat, che inonderà un'area, che col tempo, li costringerà ad un massiccio esodo.
La portavoce indigena Vera Glass ha dichiarato: La centrale causerà un danno culturale, sociale e ambientale irreversibile. Siamo trattati come animali". La OIT ( Organizzazione internazionale del Lavoro) ha affermato che il governo ha violato la Convenzione 169 perché i nativi non sono stati consultati su questa costruzione e la lotta continua.

Verso il Movimento Internazionalista Indigeno?

Questi conflitti e la nuova situazione politica nella regione stanno significativamente dimostrando la sfida per l'internazionalizzazione  e l'indipendenza del movimento indigeno in America del Sud e il rafforzamento delle alleanze, come ad esempio, il Coordinamento dell'Organizzazione Indigene Andine ( formato da quattro paesi) il Consiglio Continentale del Popolo Guaran ( quattro paesi) e il Coordinamento dell'Organizzazione Indigene del Bacino Amazzonico (nove paesi) che hanno cominciato a rafforzare legami di solidarietà con attivist* artisti/ste, intellettuali ed istituzioni, firmando petizioni, organizzando azioni, ecc...
Allo stesso tempo, gran parte dei conflitti stanno ponendo il movimento indigeno in un contesto non solo di legittima difesa dei loro diritti politici e culturali, dell'etica ambientale,della messa in discussione dei modi di sviluppo sostenibile,ma i popoli indigeni stanno diventando attori fondamentali per " il consolidamento dello Stato di Diritto e per il rafforzamento della democrazia" come ha sostenuto la Commissione dei Diritti Umani (CIDH).

Il movimento indigeno è in un momento decisivo per dimostrare  che è capace di costruire la propria agenda di contro-potere, sapendo che i suoi precedenti alleati, i governi progressisti, non gli permettono di rafforzare le loro rivendicazioni storiche della terra, del territorio, sovranità e auto-governo, ma che sono governi di continuità con l'asservimento all'estrattivismo neoliberale a favore delle multinazionali e potenze internazionali, come denunciano quotidianamente i popoli quechuas, guaraníes, aymaras, mapuches, awás, wayús, moxeños, yuracarés o kayapós.

Rebelion


(traduzione di Lia Di Peri)