venerdì 10 luglio 2015

La libertà è vivere senza paura": Un documentario su Nina Simone



La libertà è vivere senza paura, affermò la cantante e pianista Nina Simone. Paura nella sua vita ne ha avuta in gran quantità e la libertà fu la sua principale destinazione, vivendo sempre alla sua maniera a volte come un’eccentrica milionaria in un palazzo di lusso, un altra come nomade refrattaria a tutta la società stabilita.
Conobbe la miseria, la violenza domestica, l’irragionevolezza, il grado di demenza con cui una persona può fare bene solo una cosa (nel suo caso, suonare il pianoforte meravigliosamente) e male tutte le altre.

Mia madre è stata una delle più grandi artiste della storia. Il problema di Nina Simone è che era Nina Simone 24 ore il giorno, non solo quando era sul palco ", dice guardando la telecamera la bellissima e unica figlia di Eunice Kathleen Waymon, nata nel 1933 a Tryon, North Carolina e morta a Carry-le-Rouet, Francia.

Liz Garbus, nota tra le altre opere, per un documentario intorno all’affascinante figura del giocatore di scacchi Bobby Fischer (1943-2208), è responsabile della direzione che presenta il documentario prodotto dalla rete televisiva streaming Netflix, What Happened, Miss Simone?
A momenti struggente, sempre drammatico e a forti tinte, il documentario rivela aspetti sconosciuti di una artista singolare che ha iniziato a suonare il pianoforte all'età di quattro anni e che durante tutta la sua carriera si è sentita in colpa e frustrata per non essersi dedicata alla musica classica.
La sua passione, la sua musica, sono stati sempre velate da un profondo senso di dolore che si annidava nel seno di una donna difficile da capire persino a se stessa, che sposata con un poliziotto di New York, divenuto poi il suo manager e mentore, conobbe la violenza domestica e la sensazione di essere stata sempre sfruttata dal marito e da un apparato musicale che detestava.

La malinconia, i diritti umani.

Il viaggio di Simone fu una continua ascesa nella storia della musica e un declino inarrestabile verso i bassifondi di un carattere esplosivo e imprevedibile, derivato come seppe in età avanzata, da una disfunzione che, oggi, chiamiamo bipolarità e che fu curata con un rimedio che le toglieva motricità e lucidità che, però, allo stesso tempo le salvò la vita nei suoi ultimi anni.
Registrazioni mai prime ascoltate dalla stessa voce dell’artista, che racconta la sua versione della propria storia personale, rivendicando sia l’attenzione sia la comprensione da un pubblico che la adorava ma che non l’ha mai completamente capita, costituiscono la testimonianza epica di un film alla cui produzione ha contribuito anche Lisa Simone Kelly, la figlia dell'artista.
Voi non mi capite. Sono stanca. Questo è il mio ultimo concerto jazz. ", dice turbata, al pubblico alla Montreal Jazz Festival in Svizzera nel 1976.
Da allora, Nina Simone aveva attraversato innumerevoli vicissitudini, tra cui una vita di povertà, accettando di suonare in uno squallido bar di Parigi o l’allontanamento dalla sua famiglia per dedicarsi alla lotta per i diritti della sua razza, all’epoca del “militante per amore”, Martin Luther King.
Un'infanzia dedicata alla musica l'ha resa un essere profondamente solitario e malinconico. Quando i bambini giocavano in strada, lei si esercitava per 8 ore il giorno.
Quando diventò una professionista cambiò il suo nome perché credeva che, suonare in antri jazz, fosse una vergogna per i genitori, che sognavano, per la figlia una carriera da concertista classica. "I Loves You Porgy" fu un successo soprattutto tra la classe alta e bianca statunitense, che la adottò come una di loro.
Vi fu però un’interruzione professionale e personale, quando Nina Simone scrisse Mississippi Goddam in memoria delle ragazzine uccise durante un bombardamento di una chiesa nera a Birmingham.
Era il 1963, la canzone fu vietata alla radio e l'artista cominciava a sperimentare gli “istinti assassini” contro il razzismo che uccideva e discriminava senza pietà durante la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti.
Non mi parlate di pace, non sono una pacifista”, urla a Martin Luther King, che le rispondeva “ No, sorella, non sei pacifista”. Nei suoi concerti, Nina domandava al pubblico se fosse in grado di uscire a uccidere nel caso in cui fosse necessario.
Vicina di Malcom X (1925-1965) a Mount Vernon, New York, la sua casa servì diverse volte come spazio di discussione, dice nel film la figlia dell'attivista ucciso, Ilyasah Shabazz.
Lascia gli Stati Uniti e si stabilisce prima in Liberia, poi Svizzera, Inghilterra e infine in Francia, suo paese di adozione Nei primi anni ’90, le è diagnosticato un disturbo bipolare e il suo nome compare nelle prime  pagine quando spara a due giovani accusandoli di averla molestata mentre riposava nel suo giardino.  La cantante muore nel 2003 a 70 anni di cancro.
Oggi, quando il suo patrimonio musicale e impegno artistico è rivendicato dalle giovani generazioni di jazz e soul, di Erykah Badu Jamie Cullum, la voce di Nina Simone, questa miscela di grave tensione e dolcezza, si fa sentire più contemporanea che mai. Come mostrano le sequenze musicali.
Un’ artista unica sulla scena e, soprattutto, una voce nella quale la musica sembrava scorrere come una corrente elettrica, emersa dal centro più profondo della terra.




sinembargo.mx

elpais.com/a


(trauzione di Lia Di Peri)