giovedì 4 agosto 2011

Rigoberta Menchú registrata ufficialmente candidata per le elezioni presidenziali in Guatemala

Il Nobel per la Pace 1992, la leader indigena guatemalteca Rigoberta Menchú ha ricevuto questo mercoledì le credenziali che certificano la sua candidatura alla presidenza della coalizione dei partiti di sinistra,Frente Amplio, per le elezioni del prossimo 11 settembre.


Accompagnata da centinaia di sostenitori  e dal compagno di cordata, il deputato Anibal Garcia, Menchu, l'unica donna indigena che correrà  per la presidenza di questo paese del Centro America, ha visitato la sede del Tribunale Supremo Elettorale (TSE), dove il il Registro dei Cittadini le ha consegnato le credenziali.

"Questo è il primo passo per cambiare la storia del Guatemala", ha dichiarato la  Menchu ai giornalisti.

Rigoberta Menchú, 52 anni, dopo un lungo negoziato, ha ottenuto il sostegno dei due principali partiti di sinistra del Guatemala, nati dall'ex guerriglia, l'Unità Rivoluzionaria Nazionale Guatemalteca (URNG) e l'Alleanza Nuova Nazione (ANN).

Insieme a questi gruppi, il partito degli indigeni Winaq, fondato dal Nobel per la Pace, e decine di organizzazioni contadine, indigene e sindacali, integrano il nominato Frente Amplio, piattaforma elettorale che si propone di accedere al  potere attraverso le elezioni.
(...)
Le votazioni generali in Guatemala si svolgeranno l'11 settembre per eleggere un presidente, vicepresidente, 158 membri del Congresso, 20 al Parlamento Centroamericano e 333 sindaci per il periodo 2012-2016.

Menchu: Il Guatemala dovrebbe essere pronto per essere governato da una donna indigena

La guatemalteca Rigoberta Menchu, premio Nobel della pace 1992, ha dichiarato che "se non lo è ancora, il Guatemala dovrà prepararsi ad essere governato da una donna indigena".

Nulla impedisce che le donne abbiano una quota di potere nel governo del paese. Vogliamo generare una nuova speranza. E' un lavoro enorme e difficile, ma anche affascinante," ha dichiarato.

Alzare l'autostima dei guatemaltechi , "che hanno perso fiducia nella propria forza" è una priorità per il Premio Nobel, la quale assicura anche che la giustizia del paese non ci sarà fino a quando  tutti i gruppi etnici esistenti non saranno rappresentati al Congresso.

"Il razzismo  - ha rilevato - in Guatemala non è stato ri-mosso di un centimetro nel corso degli anni. Abbiamo un sistema perverso  con  le autorità perverse ".

Ha detto che le sue critiche non sono rivolte solo alla Esecutivo del presidente Alvaro Colom, ma, vedendo la realtà, " ci sono problemi  talmente profondi la cui soluzione non è compito esclusivo di un presidente, ma  anche del Congresso e della Corte Suprema. "

"Si stanno facendo sforzi per cambiare la situazione, ma fino ad ora, questi sforzi cadono come una goccia d'acqua su una roccia".

Per quanto riguarda la violenza contro le donne nel suo paese, uno dei più colpiti  del mondo dai femminicidi, Menchú ha detto che "ancora si vive la paura, l'orrore e la sensazione di poca credibilità   davanti alla posiibilità di denunciare"

Ha aggiunto che nelle comunità indigene del Guatemala ci sono molte donne disposte a partecipare attivamente alla vita politica o nei tribunali ", ma ancora molti sono gli ostacoli"

Menchu ha poi detto che la violenza nel suo paese è opera della  criminalità organizzata, e ha indicato nel narcotraffico e  nella corruzione le principali cause.

"Nessuno ha spiegato -  indaga gli omicidi di donne, e se qualcuno lo fa sono proprie quelle donne che hanno raggiunto posizioni di responsabilità all'interno della pubblica amministrazione.Il problema è che rischiano di  essere uccise "

Ma al di là di ciò che succede in Guatemala,la leader indigena ha dichiarato che "la decadenza ha raggiunto alti livelli e, ora, in tutto il mondo, la democrazia è un termine vuoto. "

"L'unico modo  ha concluso - per salvare la credibilità dello Stato sta nel riorganizzare le comunità, i governi locali, i Comuni e le organizzazioni femminili. Quello che si sta facendo adesso non tocca l'essenza del potere". 

 



martedì 2 agosto 2011

Alcune domande sul femminismo ( o sui femminismi)

Perché il femminismo non è mai stato visto come pensiero scientifico? 
Perché il marxismo e il leninismo sono teorie rivoluzionarie (ché hanno sovvertito lo status quo sociale) e il femminismo ( che ha trasformato la società) non è rivoluzionario? 
Perché il comunismo( e il socialismo) sono la risposta ad una società classista e il femminismo che lotta contro il potere patriarcale ( che sostenta il capitalismo) viene connotato solamente come una lotta contro gli uomini? 
Perché i movimenti storici come quello studentesco o ecologista sono movimenti che ineriscono ai diritti umani e il femminismo non è attivismo per i diritti umani, la libertà e l'uguaglianza?
 
 

lunedì 1 agosto 2011

Musicologia femminista

Musica, Dittatura, donne e autori musicali (Spagna 1936 - 1975)


Il  VII  Volume de La Gazzetta del Centro per  la  Musica iberica e  latino-americana  dedicato al tema  "Musica e dittatura nella Spagna di Franco, 1936-1975" tema (Atti del Convegno Musica e dittatura nella Spagna di Franco, 1936-1975, tenutosi presso l'Università di California, Riverside 18 feb 2011 In Incontri 2011), comprende opere che  riguardano i temi : Musica, Dittatura, donne e autori musicali, in particolare lavori di Susan Campos e Jacinto Torres. Vi invitiamo a visitare il sito ( leggi tutto) .




Palestina: un appello di Indigenous and Women of Color Feminists

 Vincenza Perilli

Dal sito Free Palestine riprendiamo (con un po' di ritardo è vero, ma può servire come promemoria per quante/i non lo avevano ancora visto), la traduzione di un appello di Indigenous and Women of Color Feminists, un gruppo di undici donne "studiose, attiviste e artiste" (ovvero Rabab Abdulhadi, Ayoka Chenzira, Angela Y. Davis, Gina Dent, Melissa Garcia,Anna Romina Guevarra, Beverly Guy-Sheftall, Premilla Nadasen, Barbara Ransby, Chandra Talpade Mohanty e Waziyatawin). In questo appello, che invitano a leggere e far circolare, affermano ("come donne indigene, donne nere, donne dalla schiavitù e donne dell’immigrazione postcoloniale coinvolte in vari percorsi di lotta"), la loro "affinità con il crescente movimento internazionale per la liberazione della Palestina".



Indigenous and Women of Color feminists sostengono la campagna BDS


Dopo essere state testimoni dell’apartheid in cui vive il popolo palestine, Indigenous and Women of Color feminists sostengono la campagna BDS.
Quello che segue è un comunicato scritto da un gruppo di 11 femministe indigene, nere, donne dalla schiavitù e donne dell’immigrazione postcoloniale da poco ritornate dalla Palestina dove si sostiene la campagna di BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) e si spiegano le motivazioni del loro viaggio in Palestina.

Giustizia per la Palestina: Una chiamata all’azione da Indigenous and Women of Color feminists[1]
[1] Abbiamo lasciato volutamente i termini in inglese perché la traduzione italiana è limitante per la rappresentazione e la visibilità delle donne che hanno partecipato al viaggio e che sono, appunto, donne indigene, donne nere, donne dalla schiavitù e donne dell’immigrazione postcoloniale.
Una delegazione di 11 studiose, attiviste e artiste hanno visitato i territori occupati della Palestina dal 14 al 23 giugno. Come donne indigene, donne nere, donne dalla schiavitù e donne dell’immigrazione postcoloniale coinvolte in vari percorsi di lotta abbiamo cercato di affermare la nostra affinità con il crescente movimento internazionale per la liberazione della Palestina.  Abbiamo voluto vedere di persona le condizioni nelle quali la popolazione palestinese è costretta a vivere e lottare e ora possiamo, con sicurezza, chiamare le politiche del governo israeliano, un progetto di apartheid e di pulizia etnica. Ognuna di noi – incluso quei membri della nostra delegazione che sono cresciute in Jim Crow South, nell’apartheid del Sud Africa,  e nelle riserve indiane negli USA – è rimasta scioccata da ciò che ha visto. In questo comunicato descriviamo alcune delle nostre esperienze e mandiamo questo urgente appello a tutte e tutti coloro che condividono il nostro impegno per la giustizia razziale, l’uguaglianza e la libertà.

Continua qui:  




Le pratiche religiose opprimono le donne

Sudeshna Sarkar


Lo stupro  di una suora buddista in Nepal e la sua espulsione dalla setta alla quale apparteneva hanno acceso il dibattito sulle tradizioni e tendenze religiose che fomentano la discriminazione e la violenza, in particolar modo contro le donne, in questo Stato del sud-est asiatico.



Le proteste pubbliche contro l'espulsione della religiosa hanno obbligato la Federazione Buddista del Nepal a riconsiderare la sua decisione. Ha dichiarato che che quando la donna si riprenderà potrà ritornare al suo  monastero. Ma si tratta soltanto di un piccolo trionfo.Mentre la discussione su questa discriminatoria pratica socio-reliogiosa ha portato alla ritrattazione la Federazione Buddista,migliaia di donne continuano ad essere vittime di altri rituali religiosi in Nepal.
La polemica sull'espulsione è iniziata dopo che la monaca di 21 anni fu aggredita il 24 giugno, mentre si trovava in viaggio ad est del paese. Il maltempo portò al cambiamneto del piano di viaggio e il conducente dell'autobus convinse la giovane riconoscibile come monaca per la testa rasata e tonaca rossa, a passare la notte all'interno del veicolo. Fu violentata da cinque uomini tra questi il conduttore e deu suoi assistenti, che le hanno rubato anche del denaro ed altri averi che portava con sé.
" E' un incubo" ha dichiarato lo zio della suora, Surya Bahadur Tamang. "L'abbiamo portato in un ospedale privato, però i medici hanno dichiarato che certificheranno trattarsi di un incidente, perché una violenza sessuale comporterebbe l'intervento della polizia. Come possiamo denunciare i responsabili dello stupro se i medici non ci sostengono"?
Quando i familiari della monaca l'hanno traferita a Kathmandu per farle continuare le cure, l'ospedale statale dove l'hanno portata si è rifiutato di ricoverarla. Intanto le notizie dell'aggressione hanno cominciato ad apparire sulla stampa. Sono intervenute la Commissione Nazionale delle Donne del Nepal e le organizzazioni indigene, costringendo i medici a continuare il trattamento. Ma altre sofferenze attendevano la vittima. Un comunicato congiunto di 15 organizzazioni - tra le quali la Nepal Tamang Lama Ghedung,composta da monache buddiste, la Federazione Buddista del Nepal e il Boudha Jagaran Kendra (Centro di risveglio buddista) hanno condannato l'aggressione, ma aggiunsero che la donna avendo perso la sua verginità, perdeva anche lo status religioso. Il rifiuto ha scatenato un'ampia discussione dove si sono sentite le critiche delle organizzazioni buddiste di tutto il mondo.

(...)

La monaca apparteneva alla comunità tibeto-birmana Tamang, che era si insediata sulle alture dell'Himalaya prima di emigrare in Tibet, India, Bhutan e il Nepa. Si tratta di uno dei gruppi più sfavoriti del Nepal, che non ha accesso all'istruzione o alle risorse economiche. Sono anche le peggiori vittime della Tratta di persone. L'estrema misera ha perpetuato la pratica religiosa conosciuta come "tradizione Jhuma" tra la comunità Tamag ed altre comunità buddista del Nepal occidentale. " Mentre nelle comunità di montagna la terra è scarsa, le famiglie che hanno più figli tentano di impedire che venga divisa" - ha dichiarato  Uttam Niraula, direttore esecutivo della Society for Humanism Nepal (SOCH Nepal), una ONG che si batte contro le superstizioni e le pratiche paranormali: " Mentre - ha spiegato -  il maggiore dei figli è destinato alla cura della famiglia si invita il figlio o la figlia minore a diventare monaco o monaca. Questa è la tradizione Jhuma".
La SOCH Nepal ha lavorato con donne, bambine e bambini e con  il Ministero della Famiglia del Nepal per redigere un disegno di legge che prevenga la discriminazione e la violenza a causa delle cattive pratiche sociali, molte delle quali hanno origine nella religione come la Jhuma ed altre due tradizioni: la Kumari e il Deuki.
Kumari, la famosa dea vivente in Nepal è la tradizionale elezione di una bambina in età pre-puberale, a volte anche di tre anni, come dea protettrice della città, installandolo in un palazzo, lontana dalla famiglia. Non va a scuola e non ha il permesso di uscire. Il suo regno termina quando entra nella fase puberale e viene sostituita da un'altra bambina.  Nell'estremo ovest del Nepal esiste anche il sistema Deuki, con il quale le famiglie offrono una bambina al Tempio, abbandonandola al suo destino di povertà sfruttamento e prostituzione forzata.
" Tutte queste pratiche  - ha riferito Niraula - violano i diritti delle bambine e bambini e sono ovviamente vietate dalla Legge per l'Infanzia del 1992". "La legge dice che un bambino o una bambina non deve essere separato/ta dai suoi genitori, che si deve permettere che vadano a scuola e continuino a giocare e non essere sacrificati ad i vari Dio. la Legge afferma specificatamente che le persone al di sotto dei 16 anni non possono essere obbligati a convertirsi in monaci o monache. Però l'attuazione della legge è ancora debole. La nuova legge - ha aggiunto - conterrà misure deterrenti più dure".
Il Governo  però avrà davanti un compito difficile con il suo intento di implementare la nuova legge, nonostante l'approvazione del Parlamento.
Nel 2005, l'avvocato Pundevi Maharjan presentò un ricorso di interesse pubblico, nel quale sosteneva che alle 'Kumaris' fosse permesso recarsi a scuola, stare con le proprie famiglie e godere dei diritti che la Costituzione concede a tutti i bambini e a tutte le bambine.
Anche se la Corte Suprema del Nepal diede ragione a Pundevi Maharjan, la Kumari tuttavia continua con la sua prigionia, mentre una successivi governi hanno temuto di inimicarsi la potente comunità,la cui dea è una bambina. I buddisti non sono affatto favorevoli a porre fine a questa tradizione Jhuma. " Sarebbe una violazione dei nostri diritti culturali" - ha dichiarato Ang Kaji Sherpa, segretario generale della Federazione delle Nacionalità Indigene del Nepal.  E ha aggiunto: " Il governo deve consultare le parti interessate e avviare riforme sociali, invece di cercare di imporre una legge in modo unilaterale".



(tradotto da Lia Di Peri)

domenica 31 luglio 2011

Il pensiero femminista e la ricerca attraverso l'arte

La società editrice Phaidon ha lanciato in spagnolo una nuova edizione di "Arte e femminismo"

 di Alejandra Hernández

Qual è il rapportro che si è stabilito dalla fine degli anni '60 tra l'arte e il femminismo?
Qual è stato l'impatto di questo rapporto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti?
Quali i contesti nei quali importanti artiste contemporanee hanno sviluppato il loro lavoro? 

Queste sono alcune delle domande alle quali risponde il libro Arte e femminismo, della scrittrice e curatrice Helena Reckitt, basato su uno studio di Peggy Phelan, eccezionale teorica femminista. 

Le esperienze, le idee e le voci delle principali rappresentanti dell'arte femminista americana e inglese, ma anche di quelle che non sono nate in uno di questi paesi, ma che hanno contribuito con il loro lavoro alla storia dell'arte di quelle nazioni sono state recuperate in questa pubblicazione di grande formato.

Nel caso delle artiste che non sono nate in questi due paesi (influenzandone però l'arte con i loro lavori) si trovano figure di spicco per l'arte contemporanea come Louise Bourgeois (Parigi, 1911 - New York, 2010) Annette Messager (Francia, 1943) e Doris Salcedo (Bogotá, 1958).

Il contesto nel quale  hanno sviluppato il loro lavoro e la relazione  esistente con altre artiste della loro generazione sono tra gli argomenti trattati in questo libro.

Con oltre 200 pagine illustrate a colori si presentano i contributi di  queste ed altre artiste che hanno messo in discussione con i loro lavori gli stereotipi che ruotano attorno agli uomini e alle donne, così come hanno fatto una riflessione sull'influenza che esercita la razza, l'età, la classe sociale e la sessualità nella produzione e accettazione dell'arte.

In totale, Arte e femminismo include l'analisi del lavoro di oltre 150 artisti dal 1960 ad oggi, come Alice Neel, Eva Hesse, Gillian Wearing e Coco Fusco.

Le assi tematiche affrontate da  Arte e femminismo (Phaidon, 2011,con una prima edizione nel 2005) sono suddivise in tre sezioni: "Studio", "Opere" e "Allegati", oltre alla Prefazione scritta dalla curatrice Helena Reckitt.

In quest'ultima, Helena Reckitt sostiene che il titolo di questa pubblicazione, " suggerisce l'esistenza di una relazione tra le richieste politiche delle militante femministe, i dibattiti sul pensiero femminista e le ricerche delle artiste che esplorano questi temi".

E aggiunge : "Questo progetto esamina la zona intermedia tra il femminismo e l'arte, guardando a ciò che le due discipline hanno avuto e hanno in comune."

Questa "zona intermedia"  della quale parla Reckitt è stata esplorata, tra le altre, dall'artista Shirin Neshat (Iran, 1957).

In una fotografia in bianco e nero, l'iraniana presenta una donna islamica che alza lo chador per mostrare il suo volto,sul quale è stato scritto un testo in calligrafia araba. Nell'orecchio della stessa donna, c'è una pistola che funziona come orecchino.
Con questa immagine presente nella descrizione contenuta nel libro, Neshat controverte le rappresentazioni delle donne iraniane tanto nelle culture d'Oriente come quelle dell'Occidente.

Nella sezione "Studio" Peggy Phelan rivisita le interpretazioni sull'arte realizzate dalle donne e offre nuove prospettive per affrontare la mutata relazione tra le idee e gli ideali del femminismo e le pratiche artistiche. 

"Opere" è la terza sezione. In questa vengono raggruppate un certo numero di artiste nelle categorie o tematiche come Eccesso, Personalizzazione del politico Differenze, Crisi di identità, Corpo- realtà e Donne del secolo.

Infine, "Allegati" comprende una biografia delle artiste e una estesa bibliografia sull'argomento.


(tradotto da Lia Di Peri)