martedì 13 maggio 2014

Il corpo deve essere nostro. Né dello Stato, né del mercato


Intervista a Silvia Federici, la femminista del momento.







Silvia Federici è stata a Barcellona la scorsa settimana e l’ha infuocata. Lei crede che ci sia bisogno di un nuovo movimento femminista, non necessariamente composto solo da donne, che metta ancora una volta al centro, i lavori riproduttivi. Dopo Calibano e la Strega, l’opera che le ha dato fama internazionale, ora pubblica Rivoluzione Punto Zero.

Ne abbiamo parlato con lei, davanti a una tazza di caffè che, per sua disgrazia, non era un vero cappuccino.
In Nigeria, ti sei resa conto dell’importanza del debito, un tema diventato centrale per l’Europa meridionale.
 E’ fondamentale capire l’importanza di un’economia del debito. Il debito è vecchio tanto quanto il capitalismo: di fatto è anteriore. Come rapporto di classe, però, ha subito molte trasformazioni. Marx parla del debito pubblico come strumento di accumulazione primitiva, ma oggi è importante capire che ruolo giochi il debito.

Nel senso che è diventato uno strumento di disciplina, giusto?
Sì, il debito è uno strumento di governo, uno strumento di disciplina e di uno strumento che stabilisce rapporti di classe disgreganti. Io penso che questo terzo aspetto del debito non sia stato sufficientemente rilevato. Ad esempio, Maurizio Lazzarato, nella sua opera La fabbrica dell’Uomo Indebitato, non pone l’accento quest’aspetto. Quello che voglio dire è che, sempre più, il debito è un rapporto di classe nella quale sparisce il lavoro, sembra scomparire lo sfruttamento (anche se il debito è in sé un tremendo metodo di sfruttamento) e scompare il proprio rapporto di classe, perché stabilisce una relazione individuale con il capitale, la banca, piuttosto che un rapporto collettivo. Scompare il volto riconoscibile del padrone, che è ora, la banca. E’ un meccanismo che genera senso di colpa, piuttosto che potenziamento.
Per me è stato molto importante capire come si passa da una prima fase di piani di aggiustamento strutturale, nei quali lo sfruttamento si organizza mediante il debito pubblico a una seconda fase, nella quale lo Stato è superato e il debito diventa un rapporto diretto con la banca attraverso la finanziarizzazione dell'economia. La finanziarizzazione significa la fine del modello dello Stato sociale e presuppone che ogni momento di ri-produzione sia già un momento di accumulazione. Cioè, lo sfruttamento si trasferisce a tutti gli ambiti della vita attraverso le tasse per studiare, il ticket sanitario, i mutui per la vita… Tutto qui.
In tutti questi momenti, Lo Stato è intervenuto, dapprima come finanziatore e, ora, fa da collettore. E’ un intermediario della finanza. Una delle lotte del movimento Occupy è la lotta contro il debito pubblico.
Uno dei problemi del debito è che la gente si vergogna di riconoscersi indebitata, perché lo vive come un fallimento personale: credono di aver investito male il denaro del prestatore, di aver fatto un cattivo investimento, di aver vissuto sopra le loro possibilità. Ciò fa sì che il debito risulti un metodo molto efficace di sfruttamento. Se si chiede, ad esempio, un prestito per gli studi, si è già in trappola: non potrà scegliere il tipo di lavoro; spesso ha bisogno di due impieghi; non oserà reclamare diritti, per non rimanere senza lavoro, perché hanno i debiti da pagare, ecc. 

La questione dei beni comuni è centrale nel tuo lavoro. Tuttavia, è una problematica alla quale non hai dato molta importanza all’inizio del tuo attivismo.
In realtà , non abbiamo visto l'importanza dei beni comuni fino a quando non abbiamo percepito che li abbiamo persi. Quando la re-strutturazione dell’economia globale ne ha proposto l’eliminazione. Io l’ho visto chiaramente in Nigeria. In Africa, Messico,nei paesi Andini. In India ci sono ancora forme di proprietà comunitaria, che sono ogni volta di più attaccate dalla nuova ondata di accerchiamenti dell’accumulazione primitiva del debito. In America , il discorso sui beni comuni è stato rilanciato dagli anni '90 , grazie agli zapatisti , che posero la questione nell’agenda internazionale dei movimenti sociali.

Quando parliamo, però di beni comuni, non parliamo soltanto di terre comunali.

Esattamente. Dal movimento anti-globalizzazione abbiamo esteso il discorso sui beni comuni, come discorso antagonista sullo smantellamento dello Stato sociale. Abbiamo capito che la lotta non deve limitarsi a difendere dei servizi pubblici esistenti. Il sistema del welfare degli ultimi decenni è profondamente discriminatorio. E 'stato destinato a rafforzare l'etica del lavoro , l'etica dello sfruttamento.  Ad esempio, il lavoro domestico è stato escluso dalle garanzie offerte dallo Stato sociale. E’ stato ideato per integrare lo sfruttamento salariale, non come garanzia dei diritti indipendenti dal lavoro. La lotta contro la privatizzazione deve andare oltre la mera difesa dei servizi pubblici : deve difendere ciò che è comune. Perché il pubblico non è comune; il pubblico è una forma di privatizzazione in cui il proprietario è lo Stato, che noi non controlliamo.

Nel tuo pensiero è fondamentale la questione del controllo del corpo delle donne. 
Il corpo delle donne è stato uno dei primi territori che lo Stato ha tentato di privatizzare. La riappropriazione del nostro corpo deve rientrare all'interno di questa prospettiva di riappropriazione dei beni comuni . Il corpo deve essere nostro. Né dello Stato né del mercato . 
Tu critichi Marx per non aver tenuto conto del corpo delle donne come fattore costitutivo del capitalismo.

Tutto il discorso di Marx sulla riproduzione della classe operaia è completamente naturalistico . Non vede la procreazione come terreno di lotta. Egli non si rende conto che, nella società capitalista, uomini e donne hanno interessi diversi. Le donne hanno interessi specifici, c’è un rapporto specifico di sfruttamento tra le donne e lo Stato, tra le donne e il capitale. Marx dice che il capitale " ha lasciato alla natura" la riproduzione. Naturalizza un processo che, in realtà, è sempre stato centrale.
Non è un processo naturale, ma un rapporto di classe?
Esatto. Un rapporto di classe, perché il capitale cerca di appropriarsi del corpo delle donne, per trasformarlo in una macchina di riproduzione delle nuove generazioni di lavoratori. Per questo ha tanto interesse a regolare la natalità. Non stiamo parlando del passato, basta vedere la riforma di legge sull’aborto del PP spagnolo. Le riforme della legge sull’aborto sono accompagnate da processi di sterilizzazione forzati in altre parti del mondo , gestiti dalla Banca Mondiale e dalle agenzie internazionali… C'è un interesse internazionale per impedire che le donne possano decidere. L’ultimo in ordine di tempo è l’ossessione di trovare mezzi riproduttivi di laboratorio; tentativi che sembrano di fantascienza per fare  nascere in vitro, senza necessità di una madre. Il corpo femminile è il grande ostacolo che il capitale non e 'stato in grado di superare .
La prima parte del tuo libro Rivoluzione Punto Zero si basa sul tuo attivismo per un salario alle lavoratrici domestiche. Tuttavia, la seconda parte se ne allontana quando analizzi la figura delle contadine, che lavorano le terre comunali e che sono milioni nel mondo.
Sì , perché la seconda parte è scritta dopo il mio viaggio in Nigeria, come verifica dell’importanza delle donne nell’ agricoltura di sussistenza , che è parte del processo di riproduzione di tutti i giorni, in vaste zone del pianeta. Ciò solleva nuovi interrogativi alla strategia per raggiungere il salario al lavoro domestico. E’ l’evoluzione del mio pensiero dagli anni ’70 al mio attivismo nel movimento per un’altra globalizzazione dagli anni’90 a oggi. Non rinnego l’importanza delle rivendicazioni del salario domestico, ma aggiungo la questione dei beni comuni. E’ anche la prova del’’inaffidabilità del salario come garanzia dei diritti.
In questo senso, cosa ne pensi del reddito di base ?
Prima di tutto , io sono contro un " reddito di cittadinanza " . Perché la cittadinanza esclude automaticamente tutti i migranti che non sono riconosciuti come cittadini . In ogni caso, il reddito di base è un concetto problematico per svariate ragioni. Vi è una parte importante della destra neo-liberista, che stabilisce già il reddito di base – lo stesso Milton Fridman era favorevole.   Si rendono conto che nel mondo c'è una situazione insostenibile e stabiliscono il reddito di base come sostituto dei diritti sociali. Ti offrono le briciole della ricchezza sociale e allo stesso tempo ti escludono da qualsiasi diritto di riappropriazione della ricchezza sociale. E’ una specie di carità istituzionalizzata con l’intenzione di tamponare le lotte per i beni comuni. Un altro problema è che qualsiasi rivendicazione è utile nella misura in cui presupponga forme di organizzazione effettive e il reddito di base è di difficile organizzazione. Non ha la capacità, come l’aveva il salario domestico di creare nuove alleanze, perché non è in grado di svelare nuove forme di sfruttamento.

Un altro rischio è che , ancora una volta , questa rivendicazione generalista occulti la specificità delle rivendicazioni delle donne, in questo caso, del salario domestico. 
Esattamente. Chiedere “ reddito per tutti” dissolve il diritto a un reddito per il lavoro domestico. Stende un velo e dice,” tutti siamo uguali”, marginalizzando la rivendicazione specifica delle donne.
Quando si parla di lotte legate alla riproduzione, abbiamo il problema, che non c’è uno strumento equivalente a quello del movimento operaio, come lo sciopero.

Questo è un tema cruciale, che è stato scarsamente sviluppato dal femminismo. Ci sono state voci , soprattutto in Italia e in Spagna, fin dagli anni '70 , che hanno detto “ non c’è sciopero generale, se le donne devono lavorare quel giorno ugualmente” o “ se il lavoro riproduttivo si ferma, si ferma tutta la società”. Non si è andate oltre, però, queste dichiarazioni. Sì, ci sono state lotte in settori di lavoro femminizzato, che hanno sollevato questo, ad esempio, le infermiere. Non è possibile applicare al lavoro di cura, gli stessi slogan del lavoro produttivo. Quando ci dicono “ se rifiuti il lavoro riproduttivo, ti stai rifiutando di curare i tuoi cari” , in realtà, ci stanno dicendo che dobbiamo accettare il nostro sfruttamento e il resto. Il punto di partenza è costatare che il lavoro riproduttivo contiene due piani: la riproduzione della vita e la riproduzione del capitale. Queste due intrecciati processi devono essere separati. Bisogna separare la riproduzione per il mercato del lavoro dalla riproduzione fuori dal mercato del lavoro o addirittura contro di esso. Il capitalismo ha sussunto questi due aspetti ed io credo sia fondamentale separarli.
 L’alternativa che offre il mercato alle donne della classe media o alta, che rifiutano i lavori riproduttivi è che altre donne, generalmente migranti, lo facciano per loro.
Tutto questo è collegato a un certo femminismo creato negli anni ’80 per disattivare gli aspetti sovversivi che conteneva il femminismo. Lo hanno addomesticato e parte di quest’addomesticamento è stato equiparare l’emancipazione della donna al successo lavorativo, così da rendere necessaria la riorganizzazione dei lavori riproduttivi che ricadono sulle donne espropriate dell’Africa, America Latina, ecc. Anche se in queste nuove dinamiche sono nati movimenti molto interessanti, come le organizzazioni internazionali delle lavoratrici domestiche salariate, che hanno dato continuità alla richiesta di un salario degno per le lavoratrici domestiche. Cioè hanno continuato quelle lotte che le femministe europee hanno abbandonato. Tale nuova realtà di milioni di donne che svolgono lavoro domestico salariato solleva nuove forme di organizzazione e nuove sfide. La più grande delle quali è unire nella stessa lotta le lavoratrici domestiche pagate e persone che realizzano il lavoro domestico senza nessun costo.
Le conclusioni sono diverse. La prima è che il capitalismo è un sistema che deve essere abolito, perché è un sistema che svaluta il lavoro riproduttivo. La seconda è che il processo di lotta deve essere un processo di riorganizzazione di questi compiti, nel senso di eliminare il significato capitalista della riproduzione. Dobbiamo creare un nuovo modo di collaborare, abitare, urbanizzare, cucinare,di condividere il quartiere.
La terza… io parlo sempre di rivoluzione femminista incompiuta. E’ necessario un nuovo movimento femminista, non necessariamente solo di donne che, ancora una volta, metta al centro i lavori riproduttivi.

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(traduz. Lia Di Peri)