sabato 8 settembre 2012

La tirannia della bellezza. Attraverso gli occhi degli altri.

Come le donne aggrediscono se stesse valuntadosi da uno  sguardo patriarcale.  Parte Prima.

da Annerys Carolina Gómez.



Il presente articolo è la ricostruzione di una prova finale  assegnata dal prof.
Hector Gutierrez G., dal titolo " Il fenomeno sociale del machismo: ideologia, problematica, alternative" del Dipartimento dei  Processi Ideologici, Culturali e di  Comunicazione della Scuola di Sociología, Facultà di Scienze Económiche e Sociali, Universidad Central de Venezuela (Caracas, República Bolivariana de Venezuela) durante il secondo semestre dell'anno 2008.

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ll fenomeno sociale della "tirannia della bellezza" è una questione complessa,a causa della molteplicità di fattori che entrano in gioco nel momento in cui si manifesta.  Abbiamo bisogno di riflettere su di esso al fine di indicare ciò che la scrittora dominicana Denise Paiewonsky  ha chiamato "l'empowerment delle sfera personale femminile"

In questo senso, la problematica socio-ideologica legata alla "bellezza egemonica" e al mantenimento e prevenzione della "eterna gioventù" ha trascinato molte donne e ragazze in un vortice di stress psicologico ed emotivo; un mondo pieno di angosce, ossessioni, appassionati sforzi e conseguenti costi di energia per il raggiungimento di questo irreale ideale che ci vende il sistema patriarcale, fino,in alcuni casi, alla morte, casi in cui la cifra vera non è stata ancora ben quantificata.

Rifletteremo  sulla stessa costruzione sociale della femminilità egemonica in termini di oggettivazione delle donne e come  questa influisca sugli ambiti relazionali quotidiani,alterando le modalità di interazione con gli altri e con il suo stesso genere, portando a prendere decisioni e schemi comportamentali che l'aggrediscono emotivamente, economicamente, fisicamente, ecc.

Parlare di ciò presuppone una riflessione circa il fondamento ideologico che sostiene,stimola e potenzia un fenomeno di questo tipo, vale a dire, come il mantenimento e la riproduzione di un discorso ideologico specifico finisca per essere funzionale al sistema  patriarcale  e capitalista che prevale nella maggior parte del mondo e,che, nella misura in cui privilegia certi settori detentori del potere,continuerà riprodotto e solidificato, mediante l'aiuto delle  multinazionali in stretto legame con ciò che si chiamano mass-media.

Alla fine, presentiamo come indispensabile e necessario il riferimento alle possibili soluzioni in vista di un progressivo miglioramento e trasformazione del fenomeno, per i quali menzioneremo alcune strategie socio-psico-politiche che dovrebbero essere considerate e, che di fatto, in alcuni paesi lo sono già.

Cominceremo la nostra analisi ragionando sulla costruzione sociale della femminilità. Nel sistema patriarcale nel quale vivono e hanno vissuto le nostre società, il "corpo della donna"è visto come elemento fondamentale della reificazione e controllo esterno, cioè uno spazio primario di oppressione di genere : è stato considerato e valutato in una misura che assume e si esprime mediante una dedizione quasi esclusiva "agli altri", cioè a tutto ciò che è fuori da se stessa. Citando  gli assunti della scrittora e antropologa messicana Marcela Lagarde (1),nella cultura patriarcale - che varia la sua intensità a seconda del settore sociale, del quale si parla - siamo e siamo sempre state considerate corpo erotico per il piacere degli altri, corpo estetico per il godimento degli altri, corpo nutriente per la vita degli altri, corpo procreativo della vita degli altri e, in questo senso,all'interno del patriarcato siamo riconosciute e valorizzate solo nella misura in cui, ci dedichiamo a questi tanti altri ( siano essi reali o immaginari).

In un contesto sociale in cui si verifica quanto sopra, guardiamo a noi stesse  attraverso  gli occhi- degli e delle - altri/e: ci guardiamo allo specchio "come un oggetto" ci osserviamo mercificate. Ci incontriamo in un mondo in cui difficilmente siamo valorizzate " più in là" dell'apparenza fisica, in un mondo che ha distorto l'immagine corporale e ha posto il nostro corpo come l'unico strumento di potere - se così si può chiamare - niente altro che uno strumento di seduzione, niente di più che un oggetto sessuale.

Continuando con Lagarde è nel corpo delle donne che risiede il nucleo dei suoi poteri e della sua valorizzazione sociale e culturale. In modo che per la morale estetica egemonica( per mandato patriarcale) questo corpo deve rimanere giovane e snello il più a lungo possibile, attraverso l'uso di qualsiasi rimedio, ridisegnato - di moda in moda - per adattarsi al modello estetico in vigore in quel momento.

Nella nostra attuale società questo sforzo per imitare questo "ideale" che nega le nostre diversità e qualità personali, ci evoca l'idea di Niccolò Macchaivelli " Il fine giustifica i mezzi", così il perseguimento di questo difficile ed illusorio obiettivo fa sì che numerose donne passino  attraverso il modo frustrante e amaro di confrontare se stesse con queste figure minoritarie che appaiono nelle riviste,programmi televisivi,reality shows,che sono lodati e adulati da tanti maschi sessisti.

Questa problematica ci pone inevitabilmente diversi interrogativi: qual è la causa che porta a questa situazione? Cos'è che spinge molte donne ad aggredire se stesse nella ricerca di qualcosa praticamente irraggiungibile? Forse, nessuna donna nota il danno che provoca a se stessa e nel suo contesto sociale? Esisterà poi "qualcosa"che invisibilizza i danni e le aggressioni? Cos'è che lo banalizza?  Sarà un insieme di interessi " dentro" tutto questo gioco  di "essere belle, attraenti e preziose", sessualmente parlando?.

Per cercare di rispondere a questi interrogativi, concentreremo le nostre analisi nella critica di due prospettive ideologiche: una sostentata dal sistema androcentrico propriamente detto e l'altra che si trova nel contesto dell'ideologia liberal capitalista.

La nostra prima ipotesi emerge dall'ambito socio-culturale dell'androcentrismo: crediamo che queste pratiche siano sostentate da ciò che è noto come l'"ideologia dell'amore".Ci è stato insegnato fin dall'infanzia che l'amore " non esiste per le donne brutte" o che era molto difficle da raggiungere. Le fiabe che ci hanno letto da piccole, i films di principesse che tanto ci rallegravano, sono tutte influenzate da questo discorso, che generalmente è sempre " la principesa rosa",bella, giovane e dolce, che per i suoi stessi attributi fisici conquista un "principe azzurro" che la salva dall'orribile drago o dalla malvagia matrigna realizzando così di vivere insieme felici e contenti.

Conseguentemente,l'amore ideologicamente si trasforma nell'obiettivo primario di tutte le donne. Il suo sostegno ideologico patriarcale risiede in quella meta preconizzata come "destino" manipolata storicamente dalle classi dominanti per il raggiungimento dei loro negligenti scopi e per il mantenimento al potere delle stesse.

Allo stesso modo,se ci è stato insegnato che la solitudine è "cattiva" e deve essere " evitata ad ogni costo" ci fanno credere che siamo esseri incompleti che vagano nella vita alla ricerca della "dolce metà", questo essere che ci completa e ci riempie il vuoto identitario che ci hanno creato ed imposto. C'è un desiderio ed un anelito di uscire dal nostro "isolamento" attraverso l'incontro con un altro essere umano, una necessità -creata - di condividere il resto della nostra vita con lui/lei. Ci hanno genericamente formato come donne, dipendenti dagli altri e si è stigmatizzata  terribilmente la solitudine riempiendola di aspetti e valutazioni di carattere negativo. Questo è facilmente visibile in frasi di uso quotidiano come "Hai bisogno di compagnia?", "Che cosa c'è che non va?, Sei triste?" " vuoi restare sola, povera te se ti passa" o frasi come: "Quando siamo soli, siamo sempre in cattiva compagnia", "la solitudine è triste e fredda", " la solitudine appare quando hai bisogno di qualcuno nei momenti peggiori ed i peggiori momenti sono quando sei sola ", ecc.
Come si  può notare, c'è questa stigmatizzazione della solitudine, concepita come una sorta di vuoto tortuoso, "ciò che resta " quando qualcosa o qualcuno " non c'è".

Tutto questo colpisce particolarmente le donne sessiste,perché in un sistema patriarcale in cui percepiamo o ci impongono l'Uomo come superiore a noi,in un ordine sociale in cui ci sentiamo o ci fanno sentire inferiori, il significato di essere " trovata" o "scelta" da uno di loro è davvero incoraggiante e quando non riusciamo, siamo crudelmente condannate e la società ci definisce " zitelle" " brutte" " acide" o "incapaci". A questo proposito, la femminista Hanna Olsson (1983) 2, mette in evidenza il fattore di idealizzazione che realizziamo come donne nelle relazioni amorose, e suggerisce che il grado di idealizzazione che facciamo "del nostro partner" dipende dal livello di autostima che abbiamo come persone.


L'importanza dell'"Uomo" per le donne dentro un sistema sociale così strutturato è quindi fondamentale:la trasforma in "qualcuna" acquista uno "status" le dà un "valore". Questa glorificazione dell'Uomo - afferma Olsson - oltre a portare la donna a percepirsi come inferiore e subordinata nei confronti del maschio,la rende anche cieca di fronte agli aspetti della personalità dello stesso che,poi, possono rivelarsi distruttivi per essa e per il suo rapporto: "La speranza di ricevere amore,di essere amata, è così intensa, che l'immaginazione occulta la realtà" 3.

Tutto ciò è stato detto per arrivare ad una semplice conclusione: " Il consenso nel sottomettersi e rinunciare a se stessa diventa una prova d'amore"(Olsson) 4. In questo le donne agiscono sulla base  di " Ciò che lui vuole, come lo vuole e come vuole che io sia" e all'interno di queste esigenze, ovviamente, si trova la richiesta di apparenza.

Molti uomini maschilisti, nell'esercizio del potere,oggettivizzano le donne,le riducono ad un  volgare "pezzo di carne" che ha valore per la sua attrattiva sessuale ed è sfruttata in questa direzione. Di conseguenza, molte donne sessiste nel loro esercizio di immanenza e dipendenza agiscono mostrandosi come oggetti, soddisfacendo i bisogni e le richieste di quei maschi voyeuristici, misogini, egoisti e megalomani che le riducono ad un verdetto " E' bella" o " E' bonissima".

Crediamo quindi, che che la donna sessista,in questo senso, realizza delle pratiche di negazione di se stessa - in funzione della dipendenza ed attaccamento che ( in modo sottile o no)  imposto per la figura maschile in particolare. Questo attaccamento interpersonale è motivato da diversi fattori legati al genere, tra i quali possiamo citare la forza, la sicurezza e protezione che presuntivamente le offre il maschio; la stabilità e la permanenza di fronte alla paura dell'abbandono o alla mancanza di essere amata; la paura di soffrire il disinnamoramento e la scarsa autostima prodotta dalla mancanza di affetto; l'adulazione, l'idolatria e l'ammirazione per il maschilista basata sulla paura della disapprovazione e disprezzo da parte dello stesso, ecc.


Questa dipendenza genera un modello specifico di relazioni intergeneriche e trageneriche. A livello intragenerico vi è la convinzione della superiorità del maschio,il che comporta che la donna sessista si mostri sottomessa e passiva ai suoi desideri; a livello intragenerico, si promuove la competitività e la rivalità tra le donne al fine di ottenere il riconoscimento di un determinato maschio,che all'interno di questo sistema patriarcale sarà preferibilmente uno bello, di successo, e -quasi- esclusivamente machista.

Adesso, brevemente, ci avviciniamo agli aspetti relativi alle motivazioni radicate nell'ideologia libera-capitalista,  analizzeremo, faremo riflessioni sugli interessi corporativi e di classe insiti nella macro-industria della bellezza. Per far ciò prenderemo come base la manifestazione dello " stereotipo egemonico di bellezza" che è di natura prevalentemente occidentale.

Continua
(traduzione di Lia Di Peri)
SOCIOLOGANDO









martedì 4 settembre 2012

Judith Butler: "Affermo un ebraismo non associato alla violenza di Stato"

La risposta di Judith Buttler, inviata alla rivista digitale  Palestina libre, ad un gruppo di israeliani che si oppongono all'aggiudicazione  di un prestigioso premio per il suo sostegno al boicottaggio di Israle.


Il Jerusalem Post ha di recente pubblicato un articolo dove afferma che alcune organizzazioni si oppongono a che mi venga assegnato il Premio Adorno,un premio che si dà ogni tre anni, ad una persona nella tradizione della teoria critica in generale. Le accuse contro di me sono che sostengo Hamas e Hizbolá ( che non è vero) che appoggio il BDS (parzialmente vero) e che sono antisemita ( palesemente falso). Forse non dovrebbe sorprendermi che coloro che si oppongono al ricevimento del Premio Adorno ricorrano a queste accuse infamanti e diffamatorie, senza alcun fondamento per esprimere il loro punto di vista. Io sono un'accademica che è arrivata all'introduzione della filosofia  attraverso il pensiero ebraico e mi considero difensora e continuatora di una tradizione etica ebraica che comprende figure come Martin Buber e Hannah Arendt. Ho ricevuto un'educazione ebraica a Cleveland, Ohio, nel tempio, sotto la guida del rabbino Daniel Silver dove ho sviluppato forti convinzioni etiche sulla base del pensiero filosofico ebraico. Ho appreso e sono arrivata ad accettare che siamo chiamati per gli altri e per noi stessi a reagire e attenuare la sofferenza. Ma per farlo abbiamo bisogno di ascoltare la chiamata, trovare le risorse con le quali rispondere e, talvolta, subire le conseguenze del nostro parlare. Nel cammino della mia educazione ebraica mi hanno insegnato che non è accettabile rimanere in silenzio davanti all'ingiustizia. Questo comando è qualcosa di difficile, perché non ci dice esattamente quando e come parlare o come parlare in modo da non creare un'altra ingiustizia o del come parlare in una forma che venga ascoltata e interpretata in modo corretto. Questi detrattori non ascoltano la mia attuale posizione e, forse, non deve sorprendermi, visto che la loro tattica consiste nel distruggere le condizioni del percettibile.

Ho studiato filosofia nell'Università di Yale e ho continuato a riflettere sul tema dell'etica ebraica durante tutta la mia educazione. Sento ancora gratitudine per queste risorse etiche, per la formazione ricevuta e che mi incoraggia. E 'falso, assurdo e doloroso per chiunque sostenere che formulare una critica allo stato di Israele è essere antisemiti o, se sei ebreo, sei uno che odia se stesso. Queste accuse cercano di demonizzare una persona che esprime un punto di vista critico e, quindi, squalificare in anticipo la sua opinione. E' la tattica del silenziamento : questa persona è squalificata e qualunque cosa dica si scarta in anticipo o la si distorce in modo tale che da annullare l'atto di espressione. L'accusa si rifiuta di prendere in considerazione il punto di vista,per discuterne la validità,a prendere in considerazione i mezzi di prova e raggiungere una solida conclusione sulla base dell'ascolto della ragione. L'accusa non è solamente un attacco alla persona che ha un punto di vista che alcuni trovano sgradevole, ma che è un attacco allo scambio ragionevole,alla possibilità stessa di ascoltare e parlare in un contesto che potrebbe davvero prendere in considerazione ciò che l'altro ha da dire.Quando un gruppo di ebrei cataloga un altro gruppo di ebrei col marchio "antisemita", sta cercando di monopolizzare il diritto a parlare in nome degli ebrei. Così che realmente l'accusa di antisemitismo è un coperchio di una disputa interna ebraica.

Negli Stati Uniti mi ha allarmata la quantità di ebrei che essendo indignati per la politica di Israele, compresa l'occupazione, le pratiche di detenzione a tempo indefinito e il bombardamento delle popolazioni civili a Gaza,tentano di rifiutare il loro ebraismo. Commettono l'errore di pensare che lo Stato d'Israele rappresenti il giudaismo del nostro tempo e che, se si identifica come Ebreo, sostiene Israele e le sue azioni.Eppure, ci sono sempre state tradizioni ebraiche che si oppongono alla violenza di Stato, affermando la coesistenza multiculturale e difendendo i principi di uguaglianza. Questa tradizione etica viene dimenticata o messa da parte, ciascuno di noi accetta Israele come la base di identificazione ebraica o dei suoi valori. Così, da un lato, gli ebrei che criticano Israele pensano che non possono continuare a dirsi ebrei se Israele rappresenta il giudaismo e, dall'altra parte, quelli che cercano di distruggere chiunque critichi Israele identificandolo con il giudaismo, che li porta alla conclusione che il critico è antisemita o un ebreo che odia se stesso.I miei sforzi accademici e pubblici sono stati diretti ad uscire da questo pasticcio. Secondo il mio giudizio esistono forti tradizioni ebraiche, comprese quelle del primo sionismo,che avvalorono la convivenza e offrono modi di opporsi alla violenza di qualsiasi tipo, compresa quella di Stato.E' importante che queste tradizioni vengano rivalutate e incoraggiate,perché rappresentano i valori della diaspora, le lotte per la giustizia sociale e l'importantissimo concetto di " riparare il mondo"(Tikun).

E' chiaro che le forti passioni coinvolte in questi problemi sono ciò che rende così difficle ascoltare e parlare. Si prendono poche parole fuori dal contesto, si distorce il loro significato portando ad etichettare o a marchiare un individuo. Questo accade a molte persone quando offrono una visione critica di Israele, sono accusati di antisemitismo o di collaboratori dei nazisti. Questo tipo di accuse hanno l'obiettivo di rendere stabili le forme più persistenti e tossiche  di stigmatizzazione e di demonizzazione. Accusano la persona estrapolando le sue parole fuori dal contesto, invertendone il senso e facendo che permangano al posto della persona, annullando di fatto, il punto di vista di quella persona, senza tener conto dei contenuti di quel punto di vista. Per quelli di noi che sono discendenti di ebrei europei che furono distrutti durante l'Olocausto (la famiglia di mia nonna fu distrutta in una piccola città a sud di Budapest), l'insulto più doloroso e dannoso è essere chiamato complice dell'odio verso gli ebrei o essere qualificata come una persona che odia se stessa. E ancora più difficile da sopportare il dolore di questa accusa quando si cerca di affermare ciò che è più prezioso nel pensiero ebraico circa l'etica contemporanea,comprendendo  la relazione etica con i diseredati della terra e il diritto all'autodeterminazione, con coloro che cercano di mantenere viva la memoria della loro oppressione, a coloro che cercano di vivere una vita che sta per essere, e dovrebbe essere degna di essere sofferta. Io sostengo che tutti questi valori derivano da importanti fonti ebraiche, che non vuol dire che derivano solo da queste fonti. Ma per me, data la storia di cui provengo, è della massima importanza come ebrea denunciare l'ingiustizia e combattere ogni forma di razzismo. Questo non fa di me una ebrea che odia se stessa.  Ciò mi fa diventare in qualcuna che vuole affermare un ebraismo che non si identifica con la violenza di Stato e che si identifica con l'ampia lotta per la giustizia sociale.


Le mie osservazioni su Hamas e Hizbolá sono state estrapolate dal contesto e distorti i miei punti di vista. Sono sempre stata a favore dell'azione politica non violenta e questo principio ha caratterizzato sempre le mie opinioni. Un membro di una pubblica accademia mi chiese qualche anno fa se credevo che Hamas e Hezbollah appartenessero alla "sinistra mondiale" e gli ho risposto con due punti. Il primo era puramente descrittivo. Queste organizzazioni politiche sono definite come anti-imperialista e l'anti-imperialismo è una caratteristica della sinistra mondiale, così su questa base potrebbero descriversi come parte della sinistra mondiale. Poi il secondo punto fu critico.  Come per qualsiasi gruppo a sinistra, si deve decidere se si è a favore o contro questo gruppo, per il quale si deve valutare criticamente la sua posizione. Non accetto né approvo tutti i gruppi della sinistra mondiale.Di fatto, a queste osservazioni seguì quella notte  una chiaccherata  dove sottolineai l'importanza del dolore pubblico e delle pratiche politiche della non violenza, un principio che ho elaborato e difeso nei miei tre libri più recenti,Precarious Life , Frames of War y Parting Ways.Altre pubblicazioni di Internet mi hanno intervistata circa le mie opinione sulla non violenza e queste opinioni sono facili da rintracciarsi se qualcuno vuole conoscere la mia posizione su queste questioni. In realtà, a volte,le persone si burlano del mio essere di sinistra, le quali appoggiano forme di resistenza violenta e pensano che non capisco queste pratiche. E' vero: non sostengo le pratiche di resistenza violenta e ancora meno la violenza di Stato. Questo punto di vista forse mi fa più ingenua che pericolosa, ma è la mia opinione. Pertanto mi è sempre parso assurdo che si si tergiversasero i miei commenti in direzione del sostegno o appoggio ad Hamas e Hizbolá! Non ho mai preso una posizione su nessuna delle due organizzazioni, così come non ho mai appoggiato nessuna organizzazione che potrebbe far parte della sinistra mondiale. Non dò il mio pieno sostegno a tutti i gruppi che oggi costituiscono la sinistra mondiale.Affermare che queste organizzazioni appartengono a sinistra non significa che è  necessario appartenerne, o darne approvazione o supporto in qualsiasi forma.

Aggiungo due punti.Sostengo il movimento  per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) in modo molto specifico. Rifiuto alcune versioni e ne accetto altre. Per me, il BDS significa che sono contraria agli investimenti in imprese che fabbricano attrezzature militari la cui finalità è la demolizione della case. Ciò significa anche che non parlo con le istituzioni israeliane a meno che non prendano una ferma posizione contro l'occupazione. Non accetto nessuna versione del BDS che discrimini gli individui sulla base della cittadinanza nazionale e mantengo stretti rapporti di lavoro con molti accademici israeliani.Un motivo per il quale sostengo il BDS e non approvo Hamas e Hizbolá è che BDS è il più grande movimento civico e politico non violento che cerca di stabilire l'uguaglianza e i diritti all'autodeterminazione per i palestinesi. La mia opinione è che i popoli di quei territori, ebrei e palestinesi devono trovare un modo per convivere in condizioni di uguaglianza. Come molti altri, aspiro ad una politica veramente democratica in quelle terre e affermo i principi dell'autodeterminazione e la convivenza  di entrambi i popoli, di fatto, di tutti i popoli. E il mio desiderio, come il desiderio di un numero crescente di ebrei e non-ebrei è che l'occupazione volga al termine,che cessi la violenza di ogni tipo e che una nuova struttura politica assicuri i diritti politici sostanziali per tutte le persone su questa terra.

Il gruppo che promuove questo allarmismo è  Accademici per la Pace in Medio Oriente che afferma nel suo sito web, che " l'Islam" è una religione "intrinsecamente antisemita (sic)". Non è come ha riportato il  Jerusalem Post,di un folto gruppo di studiosi,ebrei in Germania, ma di una organizzazione internazionale con sede in Australia e California. E' un'organizzazione di destra e, pertanto, è parte di una guerra civile ebraica. Un ex membro del consiglio di amministrazione, Gerald Steinberg, è noto per attaccare entrambe le organizzazioni per i diritti umani in Israele, come Amnesty International e Human Rights Watch.

In ultimo, io non sono uno strumento di nessuna "ONG": appartengo  al comitato consultivo di Jewish Voice for Peace, sono membro della Sinagoga Kehillah a Oakland, in California, e membro esecutivo del Facoltà di pace israelo-palestinese negli Stati Uniti e il Teatro di Jenin, in Palestina. Le mie idee politiche hanno affrontato una serie di argomenti non limitati al Medio Oriente o allo Stato di Israele. Ho anche scritto sulla violenza  e ingiustizia nelle altre parti del mondo e mi sono concentrata principalmente sulle guerre intraprese dagli Stati Uniti. Ho anche scritto sulla violenza contro le persone transgender in Turchia, la violenza psichiatrica,la tortura a Guantánamo e sulla violenza della polizia contro i manifestanti pacifisti negli Stati Uniti,solo per citare alcuni argomenti. Ho anche scritto  contro l'antisemitismo in Germania e contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti.


Judith Butler è docente “Maxine Elliot”nei Dipartimenti di Retorica e Letteratura comparata e co-direttora del Programma di Teoria Critica presso l'Università della California, Berkeley. E anche docente " Hannah Arendt"di Filosofia presso la European Graduate School a Saas-Fee, Svizzera. Ha scritto molti libri, tra i più recenti, Il potere della religione nella vita pubblica.

palestina libre.org

(traduzione di Lia Di Peri)


                                                                     

lunedì 3 settembre 2012

Chi ha paura del Cappuccetto Rosso cattivo?


Il femminismo, fin dagli albori, è stato spesso oggetto di scherno e di attacchi viscerali da parte di un conformismo machista e sessista. Negli ultimi anni assistiamo a una vera e propria recrudescenza dell'odio verso il femminismo, soprattutto quello militante, che proviene non solo dalle storiche sacche di maschilismo (ambiti cattolici, conservatori, di destra), ma anche da settori più radicali (v. complottisti, dietrologi e rossobruni) o meno sospetti (v. mass media). Il mondo dei social network e dei blog non è immune a questa tendenza. Ma che cos'è che fa così paura del femminismo organizzato?


Chi ha paura del Cappuccetto Rosso cattivo?


Le Arrabbiate