venerdì 28 marzo 2014

Non è ora di tacere. Jineth Bedoya.







Il 25 maggio del  2000, la giornalista colombiana Jineth Bedoya fu rapita alle porte del Cárcel Modelo di Bogotá.

Stava indagando su un traffico di armi da parte di agenti dello Stato e del gruppo paramilitare di e
strema destra AUC (Autodefensas Unidas de Colombia). Tre uomini la tennero prigioniera per più di sedici ore, torturandola e stuprandola. I tre sarebbero in seguito identificati come membri dell'UAC. I suoi aggressori sono apparsi dinnanzi al giudice, ammettendo di aver partecipato al sequestro e il procuratore generale della Colombia ha dichiarato il suo caso, un crimine contro l'umanità.
Adesso, combina le sue indagini giornalistiche con l’attivismo, nel quale cerca di coinvolgere gli uomini, perché, dice, " dominano il 98 % del problema . " Lo slogan della campagna che promuove è: “ Non è ora di tacere”. Jineth Bedoya denuncia che “ il corpo della donna è utilizzato in Colombia come arma di guerra "' e che l’aggressione sessuale come arma di guerra ha un’impunità del 98%’.
Jineth si emoziona ancora quando racconta la sua storia. Confessa che dorme appena e che ha rinunciato alla vita personale, che non avrà figli e nemmeno si sposerà. Tuttavia, Jineth non ispira compassione, ma piuttosto ammirazione, simpatia e forza.
Il passaggio da vittima a protagonista è la ragione della sua esistenza, è un grande atto di generosità.


“La cosa più difficile è trovarti sola, trovarti il corpo segnato, come orfana di tutto. Mi sentivo  in quel modo anche dopo aver capito che dovevo fare qualcosa, che dovevo riprendere la mia vita, che dovevo continuare. Solo che io non volevo continuare. Così il mio primo pensiero fu il suicidio. Ma quando ho iniziato a cercare un modo per andarmene, ho incontrato una tale codardia … Perché mi dicevo: se prendo qualcosa, può darsi che non muoia e sarei stata ancora peggio.
Poi ho dovuto trovare una formula per rimanere. E l'unica risposta che trovai, fu quella che se fossi rimasta, avrei dovuto continuare a fare ciò che mi dava più forza, ed era il giornalismo.
Per me era molto difficile uscire, perché ero piena di lividi. Le mie braccia erano impressionanti, erano completamente viola a causa dei colpi… le mani. il corpo… il volto era il più colpito e mi vergognavo di farmi vedere così dalla gente. Il giorno, però che ho potuto mostrare il viso – circa quindici giorni dopo il rapimento – decisi di ritornare al giornale (El Espectador).
Fu una cosa molto emozionante, quando arrivai, non riuscivo quasi a camminare e la redazione era molto grande. Il direttore del periodico entrò insieme con me e tutta la gente si alzò. Erano, non so 200 giornalisti. E hanno cominciato a battere le mani e fecero una fila molto lunga. Non ci fu una sola persona che non mi abbracciò quel giorno.
L'impegno assunto dal giornale, su richiesta del direttore, per rispetto della mia dignità fu di non parlare dello stupro. Così i miei colleghi non seppero che ero stata violentata. Sapevano che ero stata rapita e che mi avevano picchiata. Fino a quando in un'intervista che un canale televisivo fece a Carlos Castaño (il leader delle AUC), mesi dopo il mio rapimento, lo stesso Carlos Castaño parlò del mio stupro. Quel giorno, i miei colleghi s’informarono.  E fu molto difficile. Io per due giorni non andai a lavoro, perché mi sentivo esposta. Io stessa chiesi di non parlarne, che nessuno domandasse. E così fu.
A quel tempo era molto forte il tema dei sequestri di persona in Colombia.  Il 90 % dei temi erano collegati con il sequestro, così ho iniziato a scrivere su di esso. E durante il primo mese, ogni storia terminava con una crisi di pianto. Mi nascondevo in bagno, piangevo molto, le mie colleghe mi trovavano là e mi dicevano che era meglio se andavo via dal paese. Io rispondevo: " Non posso andarmene, perché non ha fatto niente a nessuno, io non devo niente a nessuno “.Poi, alla fine di luglio, quando erano trascorsi circa due mesi (dal mio sequestro), vi fu un forte scontro tra paramilitari e guerriglieri, nel nord del paese, nella zona sud de Bolivar, ed io chiesi di andarci. Nel giornale ovviamente, non volevano che mi muovessi per il problema della sicurezza, ma io inviai una mail a Carlos Castaño dicendogli che stavo continuando a lavorare e avevo bisogno che i paramilitari mi dessero garanzie per continuare il mio lavoro.  Mi rispose che non c'era nessun problema e mi recai a sud di Bolivar. Penso che sia stata la cartina di tornasole, perché affrontavo nuovamente i miei aggressori: i paramilitari.
Ho preso una posizione radicale nella mia vita, che mi ha allontanata completamente dalla mia famiglia.
Sono rimasta con mia madre e lei è il centro della mia vita, ma mi sono allontanata molto da mia sorella e dai miei nipoti per il problema della sicurezza. Con mio padre non tornai mai a parlare. Volevo prendere il mio dolore e caricarlo solo su me stessa, non volevo darlo a qualcun altro.
Il primo anno ho avuto un aiuto  psicologico, ma ho raggiunto un punto in cui ho sentito che l'aiuto non mi serviva a nulla e l’ho scartato.
La mia realtà è molto dolorosa, perché nel mio caso non c'è giustizia. Solo l’anno scorso si è agito il processo, grazie al quale ho parlato.
Per la prima volta in dodici anni si sono giudicati tre degli implicati: tre paramilitari. Il processo è cominciato e ciò che è stato trovato finora è per me molto doloroso perché nel mio rapimento sono coinvolte persone che mai avrei immaginato.
Questo è ciò che accade in Colombia. Se per me non è successo quasi nulla, cosa possono aspettarsi  le altre donne?

Anche se Jineth Bedoya denunciò il rapimento e lo stupro alle autorità subito dopo il fatto, per oltre undici anni, il sistema giudiziario colombiano non ha fatto altri progressi. Nel maggio 2011, tuttavia, Bedoya, portò il caso alla Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani, che ha costretto il Procuratore Generale della Repubblica a riprendere le indagini. Fino ad oggi, solo un ex paramilitare ha ammesso il suo coinvolgimento nel rapimento e altri due sono sotto processo.
Nel settembre del  2012, la Procura ha inoltre stabilito che il rapimento, la tortura e lo stupro di Bedoya costituiscono “crimini contro l'umanità”, perché gli atti dei paramilitari facevano parte di un comportamento "sistematico" impiegato ", come metodo di guerra, con il fine di mettere a tacere la voce di chi osava esporre all’opinione pubblica i loro eccessi e le loro violazioni ".

Ciò significa che i crimini contro i giornalisti non si prescrivono.


mujeres sin fronteras

(trad.di Lia Di Peri)

domenica 23 marzo 2014

La verità sul Venezuela: Una rivolta dei ricchi, non una " campagna di terrore".

 Mark Weisbrot




Le immagini modellano la realtà, ciò che mandano le televisioni, i video, fino alle fotografie sono un potere che scava in profondità nelle menti delle persone, senza che esse se ne rendano conto. Io mi credevo immune a questi ripetitivi ritratti del Venezuela come uno Stato fallito in mezzo a una rivolta popolare. Non ero però preparato a ciò che ho visto a Caracas, in questo mese: quanto poco della vita quotidiana sembra essere colpita dalle proteste, alla normalità prevalente nella maggior parte della città. Anch'io ero stato ingannato dalle immagini dei media.
  I grandi media hanno riferito che i poveri in Venezuela non hanno aderito alle proteste dell'opposizione di destra, ma questo è un eufemismo: non sono solamente i poveri che si astengono - a Caracas, ma sono quasi tutti, eccetto alcune aree come Altamira, dove piccoli gruppi di manifestanti entrano in scontri notturni con le forze di sicurezza, lanciando pietre, bombe incendiarie e gas lacrimogeni.

Camminando dentro il quartiere popolare Sabana Grande, al centro della città, non ci sono segni che il Venezuela sia sull'orlo di una "crisi" che richieda l'intervento dell'Organizzazione degli Stati Americani (OAS), nonostante ciò che John Kerry afferma. Anche la metropolitana funziona molto bene, nonostante non abbia potuto inoltrarmi nella stazione di Altamira, dove i ribelli avevano stabilito la loro base di operazioni almeno fino a quando non li hanno tirati fuori questa settimana.
Sono riuscito a vedere le barricate per la prima volta a Los Palos Grandes, zona dell’alta classe, dove i manifestanti hanno il sostegno popolare e i vicini gridano a chiunque cerchi di rimuovere le barricate - una cosa rischiosa da provare (almeno quattro persone sono state apparentemente uccise per averlo fatto). Ma anche nelle barricate, la vita era abbastanza normale, tranne che per il forte traffico. Durante il fine settimana, Parque dell’Est era pieno di famiglie e corridori sudati con una temperatura di trentadue gradi – che prima di Chávez, avrebbero dovuto pagare, mentre,i residenti, mi è stato detto, erano rimasti delusi, perché si era permesso ai meno agiati di entrare gratis.
I ristoranti continuano a essere pieni di notte.

Viaggiare aiuta a verificare la realtà ed io ho visitato Caracas per ottenere informazioni soprattutto in campo economico, nonostante fossi scettico riguardo al racconto riportato quotidianamente dai media, che la mancanza di materie prime era stato il motivo delle proteste. Gli abitanti di Altamira e Los Palos Grandes, dove ho visto le proteste, avevano però servitori che facevano la coda, per quello di cui necessitavano e hanno reddito e spazio per accumulare le scorte.
Queste persone non stanno soffrendo – e se la passano molto bene. I loro guadagni sono cresciuti a ritmo sostenuto da quando Chávez prese il controllo dell'industria petrolifera, un decennio fa. Hanno anche un grande sostegno del governo: chiunque abbia una carta di credito (tranne i poveri e milioni della classe operaia), ha diritto a 3.000 dollari l'anno, a un tasso di cambio agevolato. Essi possono quindi vendere sei volte più caro il dollaro di quanto l’hanno pagato, il che rende una sovvenzione annuale di svariati milioni di dollari per i privilegiati - eppure sono loro la base delle truppe di sedizione.
La natura di classe di questa lotta è sempre stata forte e inconfutabile, ora più che mai.
Passeggiando tra le masse che hanno partecipato alle cerimonie per l'anniversario della morte di Chávez il 5 marzo, ho visto una marea di venezuelani della classe operaia, decine di migliaia di loro. Non c'erano vestiti costosi o scarpe da 300 dollari. Che contrasto con le masse scontente di Los Palos Grandes, che possedevano Grand Cherokee SUV di 40,000 dollari elevando lo slogan del momento: VENEZUELA SOS.

Per quanto riguarda il Venezuela, John Kerry sa da quale parte è la guerra di classe. La scorsa settimana, proprio quando sono andato via, il Segretario di Stato ha raddoppiato la sua retorica contro il governo, accusando il presidente Nicolas Maduro di fomentare una "campagna di terrore contro il proprio popolo . " Kerry ha anche minacciato di invocare la Carta Democratica dell'OEA contro il Venezuela, così come di applicare sanzioni.
Vantarsi della Carta democratica contro il Venezuela è quasi come minacciare Vladimir Putin con un voto del’Onu sulla secessione in Crimea. Forse Kerry non se n’è accorto, ma pochi giorni prima delle sue minacce, l'OAS ha approvato una risoluzione che Washington aveva introdotto contro il Venezuela, ma che è stata rivoltata, dichiarando "la solidarietà” dell’organismo regionale con il governo di Maduro.  E’ stata approvata da ventinove paesi e solo i governi di destra di Panama e Canada si son alleati con gli Stati Uniti contro di essa.
L'articolo 21 della Carta Democratica dell'OSA si applica davanti all’" incostituzionale l'interruzione dell'ordine democratico di uno Stato membro " (come il colpo di stato militare in Honduras 2009, che Washington ha contribuito a legittimare o il colpo di stato militare 2002 in Venezuela, sempre con il contributo degli States). Grazie a questa votazione recente, l’OAS potrebbe invocare la Carta Democratica, più contro il governo degli Stati Uniti per decessi causati da loro droni sui cittadini americani, che per ciò che potrebbe farsi contro il Venezuela.

La retorica della " campagna di terrore "  di Kerry è scissa dalla realtà e com’era prevedibile, ha provocato una risposta equivalente del cancelliere del Venezuela, che ha definito Kerry " un assassino”. Questa è la verità circa le accuse di Kerry: da quando sono iniziate le proteste in Venezuela, sempre più persone sono morte per mano dei manifestanti che per le forze di sicurezza. Secondo i decessi segnalati dal CEPR (Centro di Ricerca in Economia e Politica) nel corso del mese passato, in aggiunta alle morti per cercare di togliere le barricate, almeno sette sono apparentemente morti a causa degli ostacoli creati dai manifestanti – compreso un motociclista decapitato dal filo metallico posto sulla strada e cinque ufficiali della Guardia Nazionale sono stati uccisi. Per quanto riguarda la violenza da parte delle forze di sicurezza, presumibilmente tre persone potrebbero essere state uccise dalla Guardia Nazionale e da altre forze di sicurezza - tra cui due manifestanti e un attivista che appoggiava il governo. Alcune persone accusano il governo per altri tre morti di civili armati, in un paese con una media di oltre 65 omicidi il giorno, è del tutto possibile che queste persone agissero per conto proprio. Un totale di 21 membri delle forze di sicurezza sono in stato di arresto per presunti abusi, tra cui da alcuni degli omicidi. Questa non è una "campagna di terrore".
Allo stesso tempo, è difficile trovare una seria denuncia circa la violenta opposizione dei leader più importanti. Secondo i dati dell'indagine, le proteste sono in gran parte rifiutate in Venezuela. I sondaggi suggeriscono anche che la maggior parte dei venezuelani vedono questi disturbi per quello che sono: un tentativo di rovesciare un governo eletto.

La politica interna della posizione di Kerry è abbastanza semplice. Da un lato è appoggiata dalla lobby cubano-americana di destra della Florida e dei suoi alleati neoconservatori che sono a favore del rovesciamento. A sinistra … non c’è nulla.  A questa Casa Bianca importa poco l'America Latina e non comporta conseguenze elettorali che la maggior parte dei governi dell'emisfero si infastidiscano con Washington.
Forse Kerry pensa che l'economia del Venezuela crollerà, portando alcuni venezuelani non ricchi a manifestare contro il governo. La situazione economica, però, si sta stabilizzando - l'inflazione mensile è scesa nel mese di febbraio e il dollaro sul mercato parallelo è sceso drasticamente, di fronte alle notizie che il governo sta introducendo una nuova tariffa basata sul mercato. Le obbligazioni sovrane del Venezuela hanno avuto un rendimento dell’11,5 % dall’11 febbraio (il giorno dell’inizio delle proteste) al 13 marzo: il più alto rendimento, secondo gli indici del Bloomberg Usd Emerging Market (Index Obbligazionari Paesi Emergenti).
Naturalmente, questo è esattamente il problema principale dell'opposizione: le prossime elezioni saranno entro un anno e mezzo e a quel momento, la carenza economica e l'inflazione, che sono aumentati negli ultimi 15 mesi, scenderanno. In questa direzione, l'opposizione perderà molto probabilmente le elezioni, così ha perso tutte le elezioni negli ultimi 15 anni. In più, l’attuale strategia insurrezionale non sta aiutando la sua causa: pare che abbia diviso le opposizioni e unito gli chavisti.


L'unico posto dove l'opposizione sembrerebbe guadagnare consensi è a Washington.


(traduzione di Lia Di Peri)