domenica 29 dicembre 2013

Due storie di lotta per la giustizia.




                                 



Due storie di lotta per la giustizia: la violenza sessuale contro le donne Q'eqchis in Guatemala " prodotto da ECAP presenta le storie di due gruppi di donne, etnia q´eqchís, de Izabal.
1) il gruppo di donne di Sepur Zarco, che ha presentato nel sistema giudiziario del Guatemala una denuncia per schiavitù sessuale e domestica sofferta in un distaccamento dell'esercito nel contesto di un conflitto armato;
2) il gruppo delle donne della comunità Lote Ocho, che ha presentato in Canada un’azione legale nei confronti della società mineraria canadese HudBay Minerali, per violenza sessuale compiuta nel 2007, da agenti della sicurezza del Guatemala Nickel Company (CGN), controllata di HudBay, al tempo dei fatti.


Obiettivo . Lo scopo del video è di informare e fornire solidarietà alle lotte delle donne di Sepur Zarco e delle donne di Lote Ocho, dirette a raggiungere la giustizia per violenza sessuale e altre violazioni dei diritti umani commesse contro di loro e le loro comunità.
Contenuto. Nella prima parte del video si spiegano i fatti di violenza subita dalle donne nell’ambito dell’accaparramento di terre contro la popolazione rurale q´eqchí. Si affrontano anche le conseguenze della violenza sessuale, come l'impatto del silenzio e della stigmatizzazione sociale nelle loro comunità . Nella seconda parte si mostrano le strategie collettive seguite da due gruppi di donne, le alleanze con organizzazioni femminili e dei diritti umani per chiedere giustizia.

Rilevanza. Per la prima volta, caso Sepur Zarco, un tribunale nazionale è chiamato a giudicare crimini di schiavitù sessuale durante un conflitto armato. I casi avvenuti in altri paesi sono stati giudicati dai tribunali internazionali. Questo è un contributo prezioso alla lotta per porre fine alla violenza sessuale durante i conflitti armati, una delle più diffuse e più taciute violazioni dei diritti umani in situazioni di guerra.
Per le donne di Lote Ocho, questa è la prima volta nella storia del diritto canadese che questo paese, accoglie il giudizio contro un’impresa canadese, per il suo comportamento in altri paesi, lanciando un forte messaggio per impedire alle imprese estrattive transnazionali di continuare a violare i diritti umani in Guatemala e altrove.

Sfide. Questi due processi non si sono ancora sono ancora finiti. Tra le sfide che le donne devono affrontare, vi sono la prevalente situazione d’insicurezza nella regione della valle del Polochic e il fatto che nelle loro comunità, vivono alcuni degli autori degli atti di violenza sessuale.
Le donne di Lote Ocho, in più, sono state sottoposte a grandi pressioni da parte della Guatemalteca Nickel Company, allo scopo di far ritirare la denuncia in Canada.

Contesto del video. Il video è uno dei risultati della ricerca acciónAcceso alla giustizia delle donne native e contadine in Colombia e Guatemala, co-prodotto dall’Equipe degli Studi Comunitari e Azione Psicosociale (ECAP), in Guatemala, dall’Università  Javeriana e dal Centro di Studi Regionali Università di Antioquia, Colombia.





sabato 21 dicembre 2013

Corpi, spazi e violenze. La costruzione del " femminile" nei regimi biopolitici.

Uno studio dell'Universidad Complutense de Madrid
Almudena Cabezas, David Berná
Definiamo " femminile" un ampio spazio, un esterno costitutivo, nel quale si colloca come negativo tutto ciò che non ha le caratteristiche distintive di mascolinità.
Mediante il dialogo tra le geo-politiche critiche femministe, la teoria queer e il pensiero decoloniale analizziamo le finzioni politiche della mascolinità e femminilità come artefatti violenti, manipolatori e creatrici di disuguaglianze.
Le tecnologie della razza, del sesso e del corpo,modellano gli individui nella diseguaglianza e violenza, legittimando le gerarchie spaziali che potenziano l'egemonia occidentale e le forme di circolazione del sapere-potere. Siamo interessati ai processi politici e discorsivi attraverso cui si sono costruiti i corpi e le identità posizionate nel femminile e come agiscono generando violenza nei confronti dei soggetti non uomini  (donne , omosessuali , disabili , prostitute, ecc.). Per questo, prestiamo attenzione agli apparati bio-politici che danno avvio a tecnologie e dispositivi soma-politici addomesticanti, frenano e disciplinano la vita delle popolazioni con l'obbiettivo di costruire corpi nazionali docili, forti e riproduttivi a partire dalle finzioni politiche identitarie. Allo stesso modo della genealogia affrontiamo la costruzione dell'artefatto "femminile", la creazione dell'identità omosessuale e le differenti forme di violenza, dal consolidamento degli Stati-nazione europei e le forme dell'imperialismo decimonono.

Testo Completo

revistas.ucm.es

domenica 8 dicembre 2013

Anche gli uomini hanno un genere

 Masculinidades y ciudadanía. Los hombres también tenemos género (Dykinson, Madrid, 2013).




La lección de esgrima”, Fernando Bayona


Tuttavia, ancora oggi molti e molte, continuano a stupirsi che mi definisca un uomo femminista, un’affermazione che, anche in questi tempi di arretramento democratico, dichiaro con forza ogni volta che posso.  Nonostante sia presupposto fondamentale per l’uguaglianza tra uomini e donne e un requisito imprescindibile in democrazia. Di conseguenza, ogni democratico, uomo o donna dovrebbe essere femminista, perché individuo impegnato a raggiungere l'obiettivo a che il sesso non sia un ostacolo all'accesso a beni e al godimento dei diritti, dalla convinzione che il femminismo non è l'opposto del machismo e che la lotta non è contro gli uomini ma contro l'ordine sociale e culturale che rappresenta il patriarcato.
A differenza delle donne, che hanno sempre messo in discussione il loro posto nella società e il Patto sociale che le ha storicamente discriminate, gli uomini non hanno sentito la necessità di guardarsi allo specchio, tanto meno analizzare criticamente una struttura che ci beneficia. Come ha bene affermato Stuart Mill, siamo stati educati nella " pedagogia del privilegio " e, quindi, ci siamo limitati a esercitare il potere in strutture binarie basate sulla supremazia del maschile sul femminile. E, tutto questo, con il sostegno garantista degli ordinamenti giuridici e dall'identificazione dell’universale con il maschile. Con questa diseguale distribuzione di posizione si configurano gli Stati contemporanei, la teoria dei diritti umani e le stesse democrazie che per decenni hanno escluso le donne dalla piena cittadinanza.
Così come ha ben analizzato il femminismo, il contratto sociale è stato preceduto da un " contratto di sesso" attraverso il quale si è consacrato il privato come luogo di sottomissione delle donne, mentre nello spazio pubblico noi (uomini) esercitiamo pienamente i diritti come cittadini.
Parallelamente si sono consolidati due mondi, il maschile e il femminile, gerarchicamente organizzati, ai quali corrispondono valori, abitudini e atteggiamenti creati da quest’opposizione. In questo contesto, noi uomini, siamo sempre stati socializzati ad agire come somministratori e per monopolizzare la sfera pubblica. Ci hanno educato all’esercizio del potere, al successo professionale, all’individualità competitiva, che ha portato a sua volta allo sviluppo di alcune capacità e alla rinuncia di altre. Ci hanno cioè socializzato in valori e abilità che contribuiva a raggiungere e mantenere il nostro ruolo di eroi, mentre negavamo le capacità considerate femminili. La mascolinità patriarcale, dunque, è stata costruita su una dichiarazione - che riguarda l'esercizio del potere e, quindi, anche il suo utilizzo in caso di violenza e su una negazione – essere uomini è prima di tutto " non essere una donna . “.
Non sorprende che il dizionario della RAE (Real Accademia Spagnola) mantenga come uno dei significati della femminilità: “ la condizione anormale di un uomo nel quale si presentano una o più caratteristiche femminili”. Da qui l’omofobia intesa in senso lato come un rifiuto del femminile e in senso stretto come negazione delle opzioni non eterosessuali, che compongono la definizione di virilità che ha agito su di noi come un “imperativo categorico”.
In definitiva, grazie al patriarcato, anche gli uomini hanno genere, cioè “ facciamo” secondo le regole sociali e culturali, che determina il nostro posto nella società e la nostra identità. Siamo addestrati a svolgere il ruolo previsto per noi e che è legato alle posizioni di privilegio che nei secoli ci hanno fatto diventare soggetti attivi di fronte ad alcune donne sottomesse nel privato e condizionate dal loro ruolo di curatrici. Non solo siamo stati costretti ad assumere come maschere inalienabili l’aggressività, la competitività, l’ossessione per la prestazione o la forza fisica, ma allo stesso tempo, abbiamo rinunciato alle virtù e capacità legate alle emozioni, ai lavori di cura, al mondo femminile che non ha avuto valorizzazione socio-economica e culturale.
Quest’onnipotenza ha anche sviluppato le sue patologie, che ci hanno tenuto in molti casi appigliati a un giogo. Prigionieri nel carcere della mascolinità egemonica che ha preteso che dimostrassimo costantemente la nostra mascolinità e nascondere sotto mille scudi la nostra umana vulnerabilità.
È urgente, quindi, che gli uomini comincino a guardarsi dentro e analizzare criticamente il nostro posto in un patto sociale che ci ha fatto vincitori, ma paradossalmente ci ha anche  condannati a rinunciare a tutto ciò che non si adattava al prototipo di quello che Joaquín Herrera denominò ” predatore patriarcale”. E’ necessario che ci ricollochiamo nel privato, che rivendichiamo ed esercitiamo i nostri diritti-doveri di corresponsabilità in ambito familiare, che assumiamo i valori e le capacità che durante i secoli abbiamo rifiutato perché negavano la nostra mascolinità e, naturalmente, intestarci insieme alle nostre compagne, le lotte ancora pendenti per l’uguaglianza. Un impegno che è particolarmente necessario di fronte alla crisi dello Stato Sociale e la reazione patriarcale che inizia a svilupparsi: due fattori che non soltanto rallentano l’agenda femminista, ma che mettono in pericolo i diritti che crediamo definitivi.
 La conquista della democrazia paritaria implica necessariamente la revisione della mascolinità patriarcale da un processo di trasformazione socio-culturale nel quale noi uomini dobbiamo assumere un ruolo protagonista. Senza di questo i risultati saranno puntuali e fragili, in modo che si continuerà prorogando un mandato che resta impegnato a mettere più ostacoli alle donne nell’esercizio dei loro diritti, che negli ultimi tempi sta sviluppando meccanismi sempre più sottili di dominio.
La revisione (della mascolinità) deve a sua volta influenzare l’armonizzazione tra pubblico e privato, nonché la ridefinizione della razionalità pubblica fatta a immagine e somiglianza degli uomini. In questi tempi di crisi politica ed economica è più opportuno che mai stabilire altri modi di esercitare il potere, di organizzare la convivenza e la gestione dei conflitti. C’è bisogno di trovare come aveva già dichiarato Virginia Woolf nelle sue Tree ghinee, “ nuovi metodi e nuove parole”. Una sfida che richiede il superamento della soggettività patriarcale, la scommessa di mascolinità eterogenee e dissidenti e la configurazione di una cittadinanza capace di superare i binarismi pubblico/privato, ragione/emozione, produzione/riproduzione, cultura/natura, eterosessualità/diversità affettivo - sessuale, che per secoli sono serviti a mantenere sottomesse le donne e in posizioni di privilegio gli uomini.

Sebbene anche, e ciò lo abbia scoperto nel scoprirmi davanti allo specchio – questa maschilità imposta ci ha condannati – senza saperlo – a perderci tutto quello che l’ordine culturale dominante capiva entrasse in contraddizione con la dimostrazione pubblica della nostra virilità.
Da qui, il duplice impegno che come uomo democratico assumo come irrinunciabile, che comincia dal gettare la maschera di genere che mi avvelena  e continua con la militanza femminista, che parte dalla convinzione che la democrazia è paritaria o non è.


blogs.elpais.


(la traduzione è mia).

venerdì 6 dicembre 2013

6 dicembre 1989: Il massacro de l'Ecole polytechnique a Montréal,


Libia: Il governo filo-Nato instaura la Sharia e compromette i diritti delle donne.

Il " governo provvisorio ", istituito dalle potenze imperialiste che hanno finanziato e partecipato al rovesciamento e alla morte del leader libico Muammar Al Gheddafi, ha approvato lo scorso mercoledì, la revisione delle leggi e dei regolamenti nazionali, per conformarli alla Sharia o legge islamica, secondo un documento del Ministero della Giustizia.

In questo modo il governo libico ha approvato la conversione della Sharia a fondamento di tutta la legislazione e istituzioni statali.
La legge islamica è la fonte della legislazione in Libia ", ha dichiarato l’Esecutivo dopo il voto. “ Tutte le istituzioni dovranno rispettare questa decisione” - ha aggiunto.
Adesso, una speciale commissione esaminerà tutte le leggi esistenti nel paese per vedere se sia conformi alla Sharia.
Si tratta di un arretramento in tema di diritti delle donne e della laicità della società libica, una decisione del Dipartimento di Giustizia che è destinata a soddisfare le rivendicazioni dei gruppi salafiti.
Prima della guerra imperialista della NATO, la Libia era un luogo particolare in Africa per il gran tenore di vita della sua gente e la libertà delle donne.  Queste potevano liberamente andare, dove volevano, non necessariamente dovevano restare chiuse in casa o  essere sempre accompagnate da un familiare. Non avevano alcun motivo di essere completamente coperte.  La copertura del volto degli uomini e delle donne era una mera necessità per proteggersi dalle intemperie del clima o dal sole rovente.
Le donne, allo stesso modo, potevano frequentare l’Università, guadagnare lo stesso stipendio degli uomini e, ovviamente, guidare. Questo non è normale in qualche altro paese arabo sia per la mancanza di mezzi, ma, soprattutto, per il divieto a esse imposto per motivi religiosi.  Questa libertà permetteva di scegliere anche con chi sposarsi. Questo non era né è usuale in altri paesi arabi, dove i matrimoni combinati, di solito tra anziani e bambine, sono la norma: Giordania, Yemen, Arabia ... la lista è lunga.
Prima dell’'assassinio di Gheddafi e l'instaurazione di un governo fantoccio affine agli interessi imperialisti, in Libia, i diritti delle donne erano difesi. Con l'avvento al potere degli estremisti islamici, con forti legami con Al Qaeda, la situazione è molto diversa. Già nel settembre 2011, il leader del Consiglio nazionale di transizione (organizzazione finanziata dall'Occidente e dalle monarchie arabe in opposizione alla Libia), Mustafa  Abdel Jalil, dichiarò: "La Libia diventerà uno Stato retto dalla legge islamica”.

Queste riforme confermano quanto a suo tempo denunciato dai gruppi di solidarietà internazionalista e antimperialista di tutto il mondo, che avevano avvertito sulle gravi conseguenze che avrebbe avuto la caduta di Gheddafi, sia nelle questioni concernenti la stabilità nella regione, che per i Diritti Umani.


LibreRed

giovedì 21 novembre 2013

A chi appartiene il corpo delle donne?

Amparo Ariño Verdú, dottora in filosofia, presso l'Università di Valencia.









Mi concentrerò sull’alienazione del corpo che subiscono le donne per il solo fatto di essere tali. Sarà quindi una situazione specificamente femminile. Da questo punto di vista, mi domando: a chi appartiene il corpo delle donne? Appartiene a esse come soggetti? Appartiene ai loro partner? Appartiene alle loro famiglie, alla società? Sono esse realmente soggetti e soggetti di diritto o sono solo oggetti e oggetti- per - gli altri?
Da più di un secolo ci sono stati progressi, è innegabile, nella condizione giuridica delle donne in Occidente, anche se con abbastanza ritardi e dal futuro incerto. Eppure sembra, anche se non esplicitamente, che il corpo continui a non appartenere alle donne.
Nel pensiero dominante, la donna è stata identificata con il suo corpo e, quindi, con la corporeità, mercificandola. Essere donna è essere il proprio corpo e corpo sessuato. “ Tota mulier in utero” scrisse Tommaso d’Aquino, il filosofo che cristianizzò Aristotele. Del pensiero aristotelico - tomista (più tomista che aristotelico) la Chiesa cattolica nutre molti dei suoi dogmi e cerca di dare loro una patina di pensiero razionale. E il corpo di cui parla d’Aquino, è semplice «cosa», un mero oggetto. Le cose però non sono persone, non sono soggetti. Le cose non hanno diritti. I diritti delle donne, quindi, anche se sono formalmente riconosciuti, di fatto, non sono rispettati.
Questa concezione della donna come corpo-cosa, oggetto e non soggetto, cosa e non persona, sarebbe la causa ultima della violenza contro le donne. E sarebbe implicita nella giustificazione degli omicidi, stupri e degli abusi delle donne che tanto frequentemente fanno notizia. Ci sono moltissimi fatti che supportano questa concezione della donna come oggetto e non come soggetto, come persona. La verità è che questa concezione della donna, non sempre è esplicita, almeno nella cultura occidentale, nonostante sia presente nel dogma e credenze religiose, compresi nei codici sociali di certe culture. Consideriamo alcune di queste situazioni.
La rappresentazione della donna nella pubblicità
L’oggettivazione della donna nella pubblicità è abbastanza evidente. Utilizza l’immagine del corpo della donna come richiamo pubblicitario. Un'immagine modellata secondo il modello del gusto maschile, del suo desiderio: donna giovane, dai lineamenti aggraziati, a volte, perfetti, che combina snellezza ed esuberanza. Un’immagine potenziata spesso artificialmente con le tecniche del “foto shop”, che è una meta irraggiungibile per la donna reale, ma che cerca di imporle un canone di bellezza. Come le è imposto di avere e mantenere, a qualsiasi costo,
compresa la chirurgia chiamata " estetica ", un aspetto giovane.
Il corpo di una donna che, di fatto, non le appartiene deve essere una cosa malleabile che si adatta l'immagine che le è imposta, l'immagine che dovrebbe avere. E’ l’uomo che definisce come, chi e cosa è una donna: donna è quella che risveglia il desiderio maschio eterosessuale. Come denunciava Simon de Beauvoir nel Secondo Sesso, anche se in forma variabile, questa immagine è legata alla sottomissione, dai minuscoli piedi con le ossa frantumate dell’antica Cina, all’ingrassamento forzato favorito dall’immobilità nell’harem. O l’esagerata e obbligatoria magrezza della cultura occidentale in epoca attuale (e in altre) che ha spinto molte adolescenti e donne all’anoressia. E se anche il canone di bellezza femminile può variare, ciò che non cambia è la sua imposizione. Questo modello favorisce generalmente la limitazione dei movimenti. Così i corsetti metallici per conquistare 40 centimetri di giro vita nelle epoche passate, che accorciavano il respiro o i tacchi a spillo abbinati alla gonna a “tubo” in epoca più recente. Fino alle differenti calzature per bambino e bambina: per il primo, innanzitutto la comodità e robustezza, che assicurano di poter correre, saltare… alle bambine s’impongono l’estetica delicata (vedi ballerine) senza lacci, con il collo del piede scollato, che rendono difficile la corsa e la velocità di movimenti caratteristica dell’infanzia.
La donna è una cosa poiché deve essere oggetto sessuale.
 La donna è l'oggetto del desiderio, la cosa desiderata per il maschio eterosessuale. La desidera per godere sessualmente di lei. Per assicurarsi questo godimento stabilisce un diritto di possesso, il cosiddetto diritto coniugale e lo garantisce con il sostegno dell’istituzione matrimoniale.
L’accesso alla donna come cosa sessualmente desiderata, può anche essere raggiunta dal maschio, tramite le transizioni commerciali, quali la prostituzione. In questa situazione è possibile utilizzare la donna – prostituta come esplicita serva sessuale, come un oggetto comprato o affittato al fine di raggiungere il piacere. La situazione di umiliazione nella quale si trova la donna prostituta, la totale mercificazione del suo corpo, come ubbidiente strumento di piacere e la conseguente disumanizzazione della relazione, non sono estranei al raggiungimento del fine che il cliente/compratore persegue. Come cose, perché disumanizzate le donne, sono vendute e comprate. Si traffica con esse come fosse merce. Si sfruttano economicamente, spesso sono gli altri, di solito gli uomini, chi traggono profitto da questo commercio e i clienti che utilizzano questo servizio non ignorano queste circostanze. La prostituzione però si giustifica e si pretende che sia inevitabile (legislazioni su di essa, a parte), perché le necessità sessuali maschili sono considerate non solo rispettabili ma sacre.
Il corpo delle donne, per antonomasia, è lo strumento utilizzabile e utilizzato per generare nuove vite. Il modo di utilizzare il corpo delle donne, è per eccellenza, la maternità imposta.  E’ il modo tradizionale di sottomissione della donna. Obbligata alla gestazione, a partorire e a creare i figli “ che Dio manda”. Poiché la religione e mi riferisco qui soprattutto ai tre monoteismi, legifera sul ruolo della donna nella procreazione condannando l’uso del contraccettivo, sacralizzando la sottomissione della donna, non solo ai disegni di una presunta divinità, ma a quelli del suo padrone e signore in questo mondo: il marito. Patriarcato su patriarcato. Nella stessa direzione va il divieto del diritto all’interruzione della gravidanza. La donna non ha il diritto di scegliere: il suo corpo non le appartiene.
Come ci ricorda Toni  Martinez (La Marea 12 novembre), l’arcivescovo di Granada, Javier Martinez, che sostiene la pubblicazione del libro “ Sposati e sii sottomessa”, già noto per le sue dichiarazioni contro l’aborto e che è arrivato a sostenere che se una donna abortisce, un uomo può abusare di lei “ l’aborto dà agli uomini, la licenza assoluta, senza limiti, di abusare del corpo della donna”.

A mio avviso, ciò che sta affermando l’arcivescovo è che la donna non è in assoluto padrona del suo corpo. Di modo che se decidesse di interrompere la gravidanza merita di subire gli abusi che vogliano infliggerle gli uomini, affinché capisca che il suo corpo non le appartiene. Così che la partner (fidanzata, moglie, amante compresa), la donna è proprietà del maschio, una tra le tante proprietà. Può esibirla, vantarsene con altri maschi, della sua bellezza il cui uso e godimento è scontato che gli appartiene in modo esclusivo. Ostenta il corpo della “sua” donna e, nel caso, dei gioielli e vestiti costosi con i quali la decora, così come ostenta un’auto costosa o qualunque altra proprietà, che mostra agli altri, come segno di potenza. Perché, in quanto merce, la sua donna possa essere considerata una proprietà aggiuntiva.
Questa concezione della donna come cosa e non come una persona, come un oggetto e non come soggetto potrebbe anche essere la fonte di un atteggiamento cosiddetto “passivo” della società, dove manca una risposta proporzionata, con onorevoli eccezioni, alla gravità dei fatti da parte delle autorità: polizia, giudici. Il trattamento che, a volte, ricevono le donne che denunciano le aggressioni, è vessatorio, diffidente nei confronti della sua testimonianza o si dice che qualcosa avrà fatto la donna, che “giustifica” l’aggressione subita. Non c’è un reale rifiuto sociale dell’aggressore, non è isolato. In molti casi, non è allontanato abbastanza dalla vittima. Mentre in caso di femminicido, si applaude al passaggio della bara e, a volte, si osserva il minuto di silenzio.
E’ proprio in questa concezione della donna come proprietà, che troviamo la vera radice giustificativa della violenza contro la donna, gli abusi, le violazioni, i femminicidi per mano dei partner, degli ex partner, compresi i pretendenti rifiutati.  In altri tempi, luoghi e culture, anche da parte dei padri, fratelli e di qualunque altro maschio, che considera danneggiato il suo ‘onore’ per il comportamento della donna della sua famiglia.
(…) L’esistenza della donna è pericolosa, fa peccare e, se è il caso, fa delinquere l’uomo. La donna, il suo corpo, è quindi, un oggetto pericolosamente peccaminoso. Se attrae il maschio, la colpa è solo sua. Da qui, l’imposizione di nascondere il corpo con indumenti specifici: velo, burqa, capo coperto, “modestia” nel vestire, che è comune alle tre religioni del libro. E non solo. La donna che è stata vittima di una violenza, inclusi i casi nei quali è stata considerata bottino di guerra e violentata dal nemico, è considerata colpevole di causare il disonore della sua famiglia. Può essere condannata a morte, come se avesse commesso adulterio.
Volontari o meno, che siano, se ha  rapporti sessuali fuori dal matrimonio, la donna sta commettendo un reato. Perché, ripeto per l’ennesima volta, il corpo non è suo. Si potrebbe sostenere che queste punizioni e queste situazioni si danno in culture apparentemente distinte dalla nostra, però, in realtà, ciò che subiste è un concetto universale: la donna è oggetto e non soggetto di diritto, per questo, il suo corpo non le appartiene e non le è riconosciuta la libertà di decidere di esso. Non sulla sua sessualità, né sul suo aspetto, né sulle sue azioni.
Mentre scrivevo quest’articolo (14 novembre 2013), in Spagna, sono state uccise dall’inizio dell’anno, sessantadue donne, per crimini di genere.














                                                                                         





sabato 16 novembre 2013

Tra spose sottomesse e puttane

Beatriz Gimeno








Vorrei dire all’Arcivescovo di Granada di superare le sue ossessioni, persino il Papa l’ha detto.
E’ chiaro che agli uomini della chiesa cattolica piacciono le donne sottomesse, anche se ho paura che le loro menti complesse le immaginino potenti e dominatrici, una ragione che gli ha permesso di provare molto piacere nel bruciarle.
La letteratura ecclesiastica a riguardo non lascia dubbi. Cominciamo da San Paolo, il primo ossessionato con la sottomissione delle donne. Continuiamo con il medievale Malleus Maleficarum, quest’ottimo manuale di tortura, che è servito alla chiesa per bruciare e torturare migliaia di donne in un giudizio sado-sessuale nel quale si contavano gli orgasmi che esse avevano avuto con i vari demoni e nel quale si narravano in dettaglio le varie posizioni e piaceri e che alla fine, in ogni caso, esse – partecipanti non consenzienti alle orge – erano punite con il fuoco, per il maggiore reato che, consisteva nel “raffreddare” il pene, il peggio, lo sappiamo.
Il Maleficarum funzionò per un paio di secoli fino a quando fu modernizzato nel XVII da qualcuno dei tanti libri che il religioso Ludovico Sinistrari dedicò con dovizia di particolari, alla ricerca della presenza del demonio che, guarda caso, si nasconde nei genitali delle donne. Sinistrari illustra su come scavare con attenzione, lenta e fermamente questi genitali nei quali si troverà il segno demoniaco se sapranno cercare bene. Non crediamo per nulla che questa ricerca fosse piacevole per esse, giacché era fatta con ferri roventi e pinze varie. Inoltre, la fine è nota: le bruciavano. Il brutto di queste relazioni tra donne e demoni così complete e variegate -al cui confronto il Kamasutra impallidisce – è che finivano sempre con una donna bruciata. Migliaia di donne bruciate per secoli sono il risultato dell’ossessione della Chiesa per la sottomissione femminile e il pene freddo.
Dopo un certo tempo, la Chiesa smise di bruciare le donne e si adattò alle confessioni, delle quali esistono ottimi manuali molto espliciti. Chiedere alle parrocchiane, la quantità e qualità dei toccamenti o i dettagli precisi dei loro sogni bagnati, che sono, naturalmente, i sogni dei sacerdoti stessi, è un classico cinematografico e letterario ben conosciuto. La cosa buona è che alla fine non si bruciava nessuno, bastava solo un’avemaria. Un progresso non c'è dubbio.

Gli uomini, quindi, ci vogliono sottomesse, ma ci immaginano potenti, cosa che li riempie di paura. In più, le sottomesse sono alla fine molto noiose. Così che, per combattere la noia che gli procurano le sottomesse e le sposate, gli uomini si possono rivolgere sempre alle altre donne, a quelle che immaginano trasgressive e divertenti: le puttane. A queste è stato dedicato il manifesto dei 343 imbecilli. 
Di là dall’ovvio, cioè, di là dal problema della prostituzione, il manifesto fa riferimento con il suo finto titolo a due lotte storiche per i diritti umani. Il titolo di questo manifesto idiota fa riferimento a quell’altro che negli anni ’80 pubblicò SOS Racisme con lo slogan “Non toccare il mio amico!" “ nel quale si denunciavano la repressione contro i migranti illegali e il razzismo. Si presuppone inoltre che vogliano burlarsi del manifesto femminista, che 343 intellettuali francesi firmarono nel 1971 dichiarando di avere abortito, quando ciò era ancora illegale. Quella fu una manifestazione responsabile e impegnata nella lotta per un diritto umano fondamentale delle donne, il diritto all’aborto. Appare chiaro che la lotta per i diritti umani dà sui nervi a questi idioti, che vedono minacciati i loro privilegi di signorini di classe alta, con lavori coni quali si guadagna molta grana.
Il manifesto degli imbecilli non è un manifesto a favore delle prostitute. Vedesi la differenza tra “ Non toccate le puttane “ e “ Non toccate la mia puttana”. Personalmente avrei firmato un manifesto che avesse avuto come titolo la prima frase. L’avrei diretto alle autorità che hanno deciso di combattere, non la prostituzione, ma la sua visibilità. E, a tal fine, si dedicano a multare donne che fanno quello che possono per sfuggire alla povertà, mentre i magnaccia, i prostituenti, non solo non sono multati, ma gli sono offerti tutti i tipi di facilitazioni, perché facciano i loro “affari”. Questa è un’altra storia.
“ Non toccare la mia puttana”, non dice nulla più di questo: non toccate ciò che è mio, non toccate il mio diritto. Il diritto degli uomini, naturalmente, ad avere una puttana. Ed esse? Anche a loro piace dice il testo del manifesto. Certo, che deve piacere: piacere di essere puttane, piacere di essere sottomesse, perché su questo immaginario che ci piace, gli uomini hanno costruito l’unica mascolinità che conoscono, che non è capace di godere di una donna libera e uguale a loro.
Dovranno però abituarsi.

eldiario.es/zonacritica

mercoledì 6 novembre 2013

Le puttane sono proprietà degli uomini

Lidia Falcón




Trecento quarantatré intellettuali francesi, la crème de la crème dell'intellighenzia francese, hanno pubblicato un manifesto contro l'abolizione della prostituzione perché sostengono il loro diritto a possedere "la loro puttana ", e garantire che nessuna legge possa vietargli, il loro desiderio e piacere.
Considerato che, più di cento anni fa, si è tenuta la I Convenzione Internazionale contro la Tratta delle Bianche, approvata ipocritamente, da tutte le nazioni rappresentanti, tra le quali naturalmente (e ipocritamente) anche la Francia e che tutti i dirigenti politici e intellettuali dei paesi interessati – ipocritamente – appoggiarono; che la prostituzione, in quanto tale, a parte il rapimento, il traffico e l'abuso che accompagnano tale infame commercio è stata considerata dalle Nazioni Unite come un altra schiavitù, è davvero sorprendente il cinismo esibito da questi grandi uomini della Francia post – rivoluzionaria e colta, nel definire se stessi puttanieri e protettori rivendicando la proprietà della “loro puttana”.

Altri commentatori hanno insistito sulla tragedia della tratta di donne e ragazze, il cui commercio si esercita in tutto il mondo, e le terribili condizioni in cui le vittime sono esposte, vendute, date in prestito, picchiate e uccise, all'occasione.
Situazioni che non credo nessuno conosca e tanto meno questi illustri appartenenti al Parnaso francese, firmatari del manifesto, la cui intelligenza e cultura è sì brillante da abbagliare i semplici e incolti mortali.  Non mi soffermerò, quindi, su quest’argomento.

Perché la vera radice dell’ideologia e atteggiamento del patriarcato, dei quali i firmatari sono i rappresentanti più importanti, è che non gli interessa per nulla degli episodi di schiavitù, che comportano tanta sofferenza alle vittime. Le fondamenta dell’ideologia patriarcale sono costruite sullo sfruttamento e utilizzazione delle donne per il piacere degli uomini.  Quando tali illustri rappresentanti osano proclamare pubblicamente che non consentiranno che siano disturbati nel possesso delle “loro puttane”, stanno confermando uno dei più sacri principi del machismo: sono uomo e pertanto ho il diritto di disporre della donna come mi piace. Posso appropriarmi di una che mi serva in casa e mi fabbrichi figli, posso comprare un’altra donna, affinché soddisfi le mie fantasie sessuali, posso venderla per ottenere benefici dai servizi forniti ad altri uomini e (ovviamente) le disprezzo tutte.
L’uso strumentale della difesa del diritto delle prostitute a scegliere il “mestiere”, che serve a questi uomini per il loro diritto a una soddisfazione genitale venale, non nascondono altro che le convinzioni di cui sopra, che sono mascherate e truccate con le più moderne e accettate pretese: quella della libertà.
Nessuno di loro però si pone quale tipo di libertà, ha la donna che deve accettare l’utilizzazione del proprio corpo da parte di venti uomini il giorno, in cambio di denaro, la maggior parte del quale va agli sfruttatori.
Nessuno di loro, che sono tanto colti, tanto intelligenti, tanto pensatori, si chiede quanta libertà esiste nella coercizione della povertà. Perché, in realtà, la libertà delle prostitute è, ciò che meno gli interessa. Come non gli è mai interessato al patriarcato, ben dimostrato negli antichi e moderni testi di letteratura, di filosofia e di dottrina religiosa.
In questo manifesto, i firmatari cercano solo la loro libertà: quella di scegliere le loro vittime e farle oggetto dei loro istinti più volgari, senza che alcun gendarme della morale o della legge possa interromperli. Chiaro che de Sade dicesse la stesa cosa ed era francese ed è stato considerato dagli intellettuali eccelsi come un esempio di ribellione. Non so se questi signori ora vogliono emulare le gesta del Marchese che uccise prostitute gettandole dalla finestra, però ne ratificano le affermazioni ideologiche. Infine e alla fine, nei suoi scritti anche Sade osa difendere il piacere delle donne al rapimento, alla legatura, imbavagliamento, alle frustate, ai colpi, e alla continua violazione. Tutto ciò condito con lunghi discorsi moralisti contro la morale che condanna tali pratiche.


In questa brutta riedizione delle dottrine sadiche – i seguiti non sono mai migliori – in uno stile più volgare e borghese e meno strepitoso e aristocratico, con disposizione dei mezzi di comunicazione più potenti della storia umana, gli intellettuali francesi ci stanno dicendo “ Anche se siamo nel XXI secolo, non dimenticate che continuiamo a essere maschi, che vogliamo le donne per soddisfare i nostri istinti sessuali, che ciò che difendiamo non è la libertà delle prostitute, ma la nostra di godere con chi e come ci piace! E quindi abbiamo il diritto, anche se siamo brutti, vecchi e mal costruito, di possedere la nostra cagna ”.

I diritti delle prostitute non sono la loro preoccupazione.
In realtà, la questione trascendente dei diritti e libertà delle donne è, che tipo di sessualità domina questi uomini che rivendicano e si vantano di soddisfare la più profonda e bella pulsione umana con la schiavizzazione di una donna,
che per la maggior parte del tempo li odia e che si sottomette solamente per sopravvivere.
In verità, penso che, dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789, dall'Abolizione della Schiavitù, del 1848, dai Diritti Umani del 1948, dalla Convenzione Contro la Discriminazione della Donna del 1978, sia stata abolita l’ideologia che un essere umano debba appartenere a un altro.

Quanto sono antichi questi signori!

Lidia Falcón, avvocata, filosofa,giornalista spagnola.


blogs.publico.es

domenica 3 novembre 2013

Andate " bastardi" tutti al Bois de Boulogne

Annette Lévy-Willard, giornalista di LIBÉRATION 






Il manifesto dei 343 bastardi 
(con riferimento alla lettera aperta firmata nel 1971, da 343 donne a favore dell’aborto) sottotitolato “ Non toccate la mia puttana” sarà pubblicato nel prossimo numero della rivista francese, Causeur, a sostegno della non penalizzazione della prostituzione Tra i 343 uomini francesi che hanno firmato questo manifesto vi sono tra gli altri lo scrittore Frédéric Beigbeder, il giornalista Eric Zemmour, il drammaturgo Nicolas Bedos e l’avvocato di Dominique Strauss-Kahn, Richard Malka.
La parola d’ordine che difende nel manifesto, questo gruppo di ‘intellettuali’ francesi è”non toccate la mia puttana” rivendicando il diritto inalienabile di andare a prostitute, senza che nessuno li disturbi.
Il documento ha suscitato un’enorme polemica e la rabbia del governo di François Hollande . “ Le 343 puttane chiedevano di disporre del proprio corpo, i 343 stronzi chiedono di disporre del corpo delle altre. Non meritano ulteriore commento “, ha dichiarato la portavoce dell’Esecutivo, Najat Vallaud-Belkacem e ministra dei Diritti delle Donne. Non è stata l’unica.
“E ' completamente fuori dal contesto il riferimento al manifesto delle 343 " ha rimproverato Morgane Merteuil, portavoce del Sindacato del lavoro sessuale. Questi 343 firmatari non sono per niente sovversivi. Sappiamo che la maggior parte utilizza i servizi delle prostitute e hanno sempre il loro tornaconto”.
La femminista militante Anne Zelensky, che firmò il manifesto del 1971, ha denunciato “ un perverso gioco di destrezza in cui la libertà è messa al servizio della difesa della schiavitù . " “ Siamo seri, non è un piacere aprire le gambe alla domanda, più volte il giorno”.
Annette Lévy-Willard,  ha scritto  su Liberation, un articolo in risposta al documento:
Io adoro gli uomini moderni, così chic, quelli che hanno il coraggio di bagnarsi, di stare in prima linea, che non hanno paura di essere in prima pagina, e sotto gli occhi innamorati delle telecamere – è un’arte – che non temono di attaccare la vaghezza del politicamente corretto, di aprirsi un varco tra le orde femministe.
Sono combattenti, questi uomini, veri; d’altronde, dal loro manifesto dei “343 bastardi”, lo scrivono anche, non ci sono dubbi. “ Noi siamo uomini”, annunciano.
Perché non hanno precisato nel testo “ E abbiamo i coglioni”? Perché è di questo che si parla, della loro giusta lotta per mantenere un diritto (dell’uomo) fondamentale in tutte le società umane: il diritto di andare a puttane.
Quanto sono moderni, i nostri Beigbeder, Zemmour e Bedos (junior), essi sanno come si fa una buona campagna pubblicitaria: riprendi due manifesti storici “politicamente corretti” e li dirotti per provocare. So hip darling. Il più vecchio, il più dozzinale, è ovviamente il “Manifesto delle 343 troie”, pubblicato nel 1971. Quelle famose donne che dichiararono di aver abortito, quando ancora era un crimine nel vecchio codice francese, nella speranza di promuovere il diritto delle donne ai loro corpi, alla contraccezione all’aborto. Invece, di farsi macellare in qualche laboratorio clandestino.
Un colpo mediatico che stavolta, serve a qualcosa. Allora, bene, si ruba un’idea e la riconsegniamo da veri uomini moderni. Ragazzi così brillanti!
Un altro manifesto storico: dopo le donne, il razzismo. Si ruba l’idea stupidamente cattolica di “ Non toccate il mio amico”, et voilà, yes we got it ! 
Si fregano idee progressiste e si rivoltano come calzini reazionari per la difesa dei nostri coglioni minacciati. Questo manifesto sarà pubblicato, la prossima settimana nel mensile Causeur, “ Non toccate la mia puttana! Il manifesto dei 343 bastardi”, firmato dagli uomini moderni della Francia del XXI secolo, Frédéric Beigbeder, Eric Zemmour, Nicolas Bedos, Richard Malka (avvocato di DSK, che non ha firmato…).
L’inaudita audacia che caratterizza quest’avanguardia del pensiero è il risvegliare la Francia, prima che commetta l’irreparabile con una legge (peraltro discutibile) che penalizza il cliente. E’ una persecuzione! Lo sventurato non è in piedi al freddo, nudo, in tangenziale, sorvegliato dal pappone. E’ un drive-in, il cliente ferma, il suo macinino, abbassa il finestrino e comanda e oltre a pagare, che è già una sofferenza, dovrebbe correre il rischio di una multa e del carcere?
All’improvviso, mi domando perché questi uomini moderni, che io adoro, sembrano ritornare sui loro passi: è il mestiere più antico del mondo ... è dunque così la natura? Sin dai tempi antichi
Ok, le cose sono cambiate, esse prendono la pillola, hanno il diritto di voto, lo stupro è un crimine, ma… lasciamole il mestiere più antico del mondo. Per favore! 
Queste storie femministe, di pillole e preservativo, ci rompono (è il caso di dire), dichiarano negli articoli o, meglio, davanti alle telecamere, sperando di colpirle, lasciateci godere senza intralci - ancora una volta, la parola d'ordine della liberazione sessuale per tutti, rubata. Siamo in una democrazia, dicono, proteggiamo la nostra libertà. Nostra fraternità. Nostra uguaglianza.
Io sono a favore. 
Ragazzi siate coraggiosi, difendete valorosamente i nostri valori di libertà e di uguaglianza a rischio della vostra salute. Voi avete la libertà di andare questa sera al bois de Boulogne, lavorare su un piano di parità, con tutte le ragazze (e non solo) andate con loro, le vostre amiche puttane, fate uno o più pompini ai camionisti, che vi regaleranno qualche biglietto come semplice scambio commerciale. 
Just do it.

http://www.liberation.fr/societe/2013/10/30/allez-les-salauds-tous-au-bois-de-boulogne_943475


Qui, la risposta ( in francese) di 
Nicole Muchnik,la prima "salope" firmataria dell'originario manifesto delle 343 salopes del 1971.
http://tempsreel.nouvelobs.com/societe/20131031.OBS3572/la-premiere-salope-repond-aux-343-salauds.html



venerdì 1 novembre 2013

La prostituzione e gli uomini.


Enrique Javier Diez




La prostituzione non è il “mestiere” più antico del mondo, lo sfruttamento, la schiavitù e la violenza di genere sono le forme più antiche, che gli uomini hanno inventato per sottomettere e mantenere le donne alla nostra disposizione sessuale.
Quando si parla di prostituzione, si occulta, si protegge e si minimizza il ruolo dei clienti. Tuttavia è essenziale comprendere il punto di partenza di questa situazione: “Se non esistesse la domanda, non vi sarebbe l’offerta”. Ossia, siamo noi uomini, come classe, che manteniamo e perpetuiamo la sottomissione a questa violenza di genere, sostenendo questo "mestiere" e favorendo la socializzazione delle nuove generazioni all’" uso ".
La prostituzione si giustifica, in quanto, realtà sociale “inevitabile”, naturale e immutabile. Gli uomini di destra preferiscono che rimanga nascosta, per conservare la loro doppia morale. Quelli di sinistra, vogliono la sua legalizzazione, rivendicando la difesa dei diritti delle lavoratrici e “ per liberare il resto degli esseri umani dal giogo della morale retrograda". Entrambi gli approcci aggirano i meccanismi che stanno alla base del potere patriarcale.
Gli studi che si dedicano al tema, solitamente, ignorano questi meccanismi e agli stessi prostituenti è difficile accettare di rappresentarsi come tali. Questo rifiuto di affrontare un esame critico degli utenti della prostituzione, che sono il più importante anello del sistema di prostituzione, non è altro che una difesa tacita delle pratiche e privilegi sessuali maschili. Perciò è molto importante analizzare le ragioni che spieghino perché in una società più aperta e libera come quella spagnola dopo la fase della dittatura franchista, ci sono ancora molti uomini e giovani che si rivolgono a relazioni di prostituzione con donne o altri uomini.
Perché gli uomini si rivolgono alla prostituzione?
Maggior parte degli studi di approfondimento e di ricerca sul tema arriva a una medesima conclusione: " Un numero crescente di uomini cerca le prostitute più per dominare, che per godere sessualmente. Nelle relazioni sociali e personali sperimentano una perdita di potere e di mascolinità tradizionale e non riescono a creare rapporti di reciproco rispetto con le donne con le quali si relazionano. Sono questi gli uomini che cercano la compagnia delle prostitute, perché quello che cercano in realtà è un’esperienza di dominio e di controllo totale” [1].
Sembra come se una grande parte dell'umanità, gli uomini che si rivolgono alla prostituzione, abbia un serio problema con la propria sessualità, non essendo in grado di stabilire un rapporto di parità con le donne (più della metà del genere umano) convinti che debbano stare a loro servizio. Come se ogni volta che le donne ottengono sempre maggiori quote di uguaglianza e di diritti, questi uomini non fossero capaci di adattarsi a un rapporto di uguaglianza e ricorressero, sempre più spesso, a relazioni commerciali, con le quali pagando, ottengono di essere al centro dell’attenzione, tornando alla fase infantile d’intenso egocentrismo e di una relazione, che non comporta nessun “carico” di responsabilità, di cura, di attenzione, rispetto o equivalenza.
Una seconda importante conclusione degli studi nazionali è che la Spagna è uno dei paesi dove il “consumo” della prostituzione è il meno screditato. (…) Sembra, infatti, che ci sia un consenso sociale, non tacito ma esplicito, nel mantenere costanti strategie e forme per “alleviare” la responsabilità di coloro che iniziano, mantengono e rafforzano questa pratica.

Educare all’uguaglianza in un mondo dove la prostituzione è una professione.

Questo consenso sociale influisce nel processo di socializzazione dei bambini e dei giovani nell'uso della sessualità prostituzionale. Se a ciò aggiungiamo l’ordinamento della prostituzione come professione, creeremo delle aspettative di socializzazione, dove le ragazze imparano che la prostituzione possa essere una possibile nicchia lavorativa e i bambini apprendono che le loro compagne possono essere comprate per soddisfare i loro desideri sessuali.
I bambini che si “socializzano” in un contesto dove la prostituzione è regolata come professione, per cui è approvata socialmente ed è promossa e pubblicizzata – in una società di consumi è essenziale – impareranno che le donne sono o possono essere “oggetti” a loro disposizione, che i loro corpi e la loro sessualità si può comprare, che non sono limiti al loro uso, che possono usare anche la violenza o la forza su di esse, perché disporranno di spazi, dove avranno tutti i diritti se potranno pagarli. Per questo è profondamente contraddittorio parlare e difendere l’uguaglianza tra uomini e donne nel processo educativo dei bambini e bambine e sostenere contemporaneamente la regolamentazione della prostituzione.
Conclusione

Se vogliamo costruire realmente una società egualitaria, dobbiamo concentrarci sui mezzi di sradicamento della domanda, attraverso la denuncia, il perseguimento e la punibilità del cliente e del magnaccia. La Svezia penalizza gli uomini che comprano donne o bambini per il commercio sessuale, con la reclusione fino a sei mesi o con un’ammenda, perché definisce il crimine come " violenza retribuita ". In nessun caso si dirige contro le donne, né pretende la loro punibilità o sanzione, perché la prostituzione è considerata un aspetto della violenza maschile contro le donne, i bambini e le bambine.
Il cambiamento passa attraverso un sistema economico equo e sostenibile che integri l’uguaglianza per entrambi i sessi, per combattere le mafie e non promuovere i modelli Eurovegas. Per trasformare la mentalità di questi uomini, non solo con le multe, ma con l’educazione e sensibilizzazione nei media: affinché i diritti delle donne, smettano di essere considerati diritti di seconda classe e siano parte dei diritti umani.
Si dice che la prostituzione è sempre esistita. Anche le guerre, le torture, la schiavitù infantile. Ciò però non è prova di legittimità né di validità. Abbiamo il dovere di immaginare un mondo senza prostituzione, così come abbiamo imparato a immaginare un mondo senza schiavitù, senza apartheid, senza violenza di genere, senza infanticidio, né mutilazioni genitali femminili.
Non possiamo rinunciare all’utopia di trasformare la società e di educare alla uguaglianza.

* Enrique Javier Díez Gutiérrez è Professore di Scienza della Formazione dell'Università di León . Specialista in organizzazione educativa sta ora sviluppando il suo insegnamento e ricerca nel campo dell’istruzione interculturale, di genere della politica educativa.

revista.con la A



martedì 22 ottobre 2013

E’ compatibile essere femminista e avere la cameriera?

di Beatriz Gimeno

Beatriz Gimeno considera prioritario discutere su come interviene la logica patriarcale e capitalista nell’assunzione delle donne delle pulizie. E’ possibile rivalutare questo lavoro e slegarlo dal genere?

Avevo  già in mente di scrivere sul lavoro domestico retribuito quando, leggendo il libro “Come essere donna “ di Caitlin Moran, che mi avevano consigliato alcune amiche, ho trovato quest’opinione dell’autora: "Avere una cameriera non ha nulla a che fare con il femminismo " (p. 99). Mi sono accorta che questa è un’opinione diffusa, molte delle mie amiche femministe la pensano così. Al tempo stesso rivedendo alcuni testi, ho scoperto che in Svezia la socialista Kristina Hultman si pone la stessa domanda: “ Possono le donne che assumono altre per pulire le loro case, dichiararsi femministe?" Queste due opinioni espresse da donne femministe mi sono servite per inquadrare il dibattito, che ho sempre considerato fondamentale, che nonostante sia stato ampiamente affrontato negli anni ’80, è stato zittito per lungo tempo.
Ritengo, però necessario chiarire due questioni: la prima, che data la complessità di un tema, che ha a che fare poco con il genere, la divisione sessuale del lavoro, la definizione stessa di "lavoro", il capitalismo globale, migrazione, ecc, qualunque cosa si possa scrivere, saranno grossolane pennellate, prive delle sempre ricche sfumature.  La seconda: questa complessità richiede che si sintetizzi il concetto di lavoro domestico retribuito, la cui definizione è di per sé molto complessa.  Non è la stessa cosa, lavorare come domestica in una casa borghese (nel caso specifico di Madrid), che essere cameriera in Nicaragua o in Kuwait. Essere donna, operaia, in una società molto diseguale, ed essere anche indigena o migrante, istruisce una realtà completamente differente, con sfumature inavvicinabili per un post. Non mi riferirò, quindi, al lavoro riproduttivo generale, né al cosiddetto lavoro di cura specializzato. Il lavoro domestico retribuito sarà in generale l’anello di collegamento in una di queste due aree.
La mia opinione riguardo ai lavori di cura – brevemente – è in direzione della loro de-familirizzazione, slegarli dal genere, professionalizzarli e socializzarli, ossia renderli oggetto di politiche pubbliche. Considero la cura come un diritto e un bisogno delle persone. Penso che sia una questione ideologica e di diritti inalienabili che bambini e bambine, persone malate e/o dipendenti siano ben curate e che tali cure e l’esercizio di tali diritti non debbano dipendere dalle donne costrette a lasciare il mercato del lavoro o debbano farsi carico di un’estenuante doppia giornata.
Con " lavoro domestico retribuito " mi riferisco al lavoro in casa, anche con l'esistenza di politiche pubbliche efficaci; mi riferisco a questo lavoro che, fa sì ancora oggi (anche in paesi con importanti politiche pubbliche in materia), che le donne continuino a caricarsi di una doppia giornata, che condiziona la loro vita ed è un ostacolo alla parità di genere. In breve, mi riferisco al lavoro di pulizia ed anche a fare la spesa, cucinare e alla cura di base dei bambini. Accorciando ulteriormente il concetto per capirci: mi sto riferendo alle donne delle pulizie.
Negli anni ottanta, il femminismo in Spagna parlò molto del lavoro domestico retribuito da tutte le possibili prospettive, ma è pur vero che, allo stato attuale, questo dibattito sembra aver perso la complessità teorica, riducendosi a una mera rivendicazione di migliori condizioni di lavoro per queste lavoratrici, per la mancanza di diritti e il costante sfruttamento. Sono sorpresa che, allo stato attuale, non esista un dibattito ideologico sulla considerazione etica di questo lavoro. In questo senso, ritornando al libro di Moran, è chiaro che non condivido la sua opinione riguardo al lavoro domestico. Al contrario, credo che questo sia uno dei temi femministi per eccellenza.
Il lavoro domestico retribuito dipende dalla divisione sessuale del lavoro, come tutto il lavoro riproduttivo o di cura, ma allo stesso tempo, a che fare con il modo in cui questo lavoro funziona all'interno del capitalismo, con tutte le caratteristiche del lavoro femminilizzato: svalutato socialmente ed economicamente. E ' una questione di genere ed è una questione di classe. Come può non avere a che fare con il femminismo? Le mie amiche femministe si arrabbiano con me quando dico che le donne delle pulizie hanno permesso alle donne della classe media di sfuggire alcuni degli aspetti più pesanti del patriarcato, spostando il carico sulle donne della classe operaia, ma questo è un fatto innegabile e potremmo aggiungere inevitabile.
Il femminismo liberale ha tradizionalmente difeso l’idea che assumere qualcuno per fare il lavoro domestico permette molte donne a sbarazzarsi della doppia giornata che impedisce a esse di competere con gli uomini nella sfera pubblica, ha sostenuto quindi, che per le donne che operano in ambito pubblico avere una colf fosse una necessità. Questo femminismo ha inoltre affermato che questo è un lavoro di nicchia per le tante donne che entrano così nel campo del lavoro retribuito, con l’evidente importanza per la loro autonomia. Adesso, almeno in Spagna, quasi tutti i movimenti femministi pensano che ciò che si debba fare con il lavoro domestico retribuito sia rivalutarlo socialmente ed economicamente.
La verità è che le cameriere non liberano le donne della classe media dal fare questo lavoro e che impiantarlo così non è femminista, ma pratico.  La verità è che, in realtà, libera gli uomini dal fare la loro parte.  Se questo lavoro fosse equamente ripartito tra tutti i membri della famiglia (compresi i figli e le figlie) le donne non dovrebbero sottoporsi alla doppia giornata e non contribuirebbero a perpetuare (materialmente e simbolicamente) alla divisione sessuale del lavoro. Il femminismo sebbene sia teoricamente paritario della condivisione del lavoro domestico tra i membri della famiglia, quel che è certo è che ci sono più sostenitrici della rivalutazione di quelle che chiedono di andare a fondo della questione. E’ normale. Perché dovrebbero lottare le donne della classe media contro i loro compagni se possono pagare altre donne e dimenticarsene? Tutte sanno che lottare per condividere al 50% il lavoro domestico è iniziare una guerra di logoramento con molte probabilità di uscirne sconfitte.  Se non combattiamo, però, questa battaglia domestica, come vinceremo le altre?
Roswitha Scholz sostiene l’idea che questo lavoro non è stato svalutato, perché lo fanno le donne, ma che esse siano state destinate a esso, perché definite prima per una serie di qualità necessarie per svolgere questo lavoro e qualunque altro femminilizzato (pazienza, l'amore, l'empatia, la meticolosità ...). A questo proposito, va ricordato (e qui entriamo nel dibattito sulla definizione del lavoro domestico in generale) che sotto il capitalismo tutto il lavoro, che non abbia come priorità, la produzione di beni, che non genera profitto, non è lavoro. La questione è quindi se sia possibile (ri) valorizzare il lavoro domestico, come vuole una parte del femminismo e, se, sia possibile separarlo dal genere.
La mia opinione è che questo non sia possibile per molte ragioni. Come dice Frigga Haug, questo lavoro richiede un grande investimento di tempo, ma nessuna formazione, non è suscettibile di automazione e, soprattutto, una sua parte è prescindibile e sempre di più. Qualcuno deve partorire e qualcuno deve prendersi cura di bambini, malati o dipendenti, questa è una necessità sociale, ma la casa può essere meno pulita e cibo meno elaborati. Alcune femministe hanno attirato l'attenzione sugli standard di pulizia che muovono il mercato e che configurano questo lavoro, anche come un tema psicologico.
Abbiamo davvero bisogno di tutta questa pulizia e ordine, come appare nelle pubblicità o come tenevano le case, le nostre madri o nonne? La realtà è che gli standard sono variabili: salgono quando assumiamo qualcuna per pulire, si abbassano quando dobbiamo farlo noi stesse (o essi).
Per affrontare quest’aspetto del dibattito si dovrebbe prendere in considerazione, che il lavoro domestico così come lo conosciamo, non sempre è esistito, né le donne sono state sempre ascritte a esso, ma solo dal verificarsi dell’estrema polarizzazione nella costruzione del genere, verso il quindicesimo secolo e dal diciassettesimo, quando il capitalismo definisce anche il lavoro astratto e lo lega alla produzione dei beni. Prima di allora, il contributo delle donne alla riproduzione materiale era considerato altrettanto importante a quella degli uomini.
Tenuto conto di ciò, è certo che anche nel secolo scorso, questo lavoro è cambiato radicalmente, mentre continuiamo a riferirci a esso in modo astorico, come se le esigenze di una casa, di una famiglia del secolo XIX fossero le stesse di quelle del XXI secolo. Gli elettrodomestici, i prodotti per la pulizia, i cibi precotti o facili da cucinare, i mobili, le dimensioni delle case e delle famiglie, hanno trasformato un lavoro nel quale era indispensabile investire molte ore, in qualcosa che varia in funzione del tempo che gli si può dedicare, che è collegato, a sua volta, con la capacità economica della persona o della famiglia in questione. Mia nonna dedicava tutto il giorno al lavoro domestico, io, in media, un’ora il giorno.
L'esistenza del lavoro domestico come qualcosa legato alle donne è recente e, allo stesso tempo, un potente strumento di genere. Svincolarlo da questo dovrebbe essere una priorità per il femminismo.
C'è un altro problema, molto importante da considerare. Se questo lavoro è davvero da rivalutare, la maggior parte delle donne / famiglie non potrà pagarlo. Se molte donne della classe media (dico donne, perché sono esse, in genere, responsabili dell'assunzione) possono assumere una governante per ore, è perché queste donne lavorano in condizioni di sfruttamento economico, con salari molto bassi. Se il lavoro domestico diverrà un lavoro socialmente valido o remunerato normalmente, allora non sarà un lavoro di donne. “L'unico modo per rivalutare questo lavoro è che lo facciano gli uomini” dice Bang, ma la verità è che, se gli uomini lo faranno, allora le donne non potranno assumerlo: diventerebbe un lavoro da fornitore principale. Solo in condizioni di salari bassi possono molte donne – con stipendi che non sono da fornitore principale, negoziare questo lavoro. Pertanto, che le donne della classe media possono assumere domestiche, dipende dal fatto che questo lavoro sia a buon mercato.
Solo nei paesi più poveri o con molte disuguaglianze sociali è normale che molte famiglie della classe media abbia una lavoratrice domestica giornaliera o quantomeno per molte ore la settimana. Per questo, quando si approvano leggi che mirano a regolare o nobilitare quest’occupazione, l’effetto è di ridurre in maniera significativa la domanda e passare parte di questo lavoro all’economia sommersa, rendendolo più invisibile. Il lavoro domestico potrà rivalutarsi, ma al prezzo della sua assunzione solamente da parte dei ricchi, non a caso, infatti, gli unici uomini che vi si dedicano lo fanno in casa delle classi benestanti.
Di là da queste considerazioni sociali ed economiche, vi è anche una considerazione etica che riguarda l'uguaglianza. A me pare che Nancy Fraser metta il dito sulla piaga quando afferma che il problema del lavoro domestico retribuito, dalla prospettiva dell’uguaglianza, debba rispondere alla domanda “ Chi pulisce la casa della domestica?” Fraser sostiene che questa domanda dimostra che il sistema, dal punto di vista etico, è chiuso. La domestica non può assumere qualcuno che le faccia il lavoro in casa, mentre lei è fuori a fare lo stesso lavoro. Se assumiamo una domestica dominicana, perché accudisca ai nostri figli, ciò significa che lei ha lascito lì i suoi. Le nostre condizioni di vita sono legate alle condizioni di vita delle donne dei paesi poveri.
Riassumendo, se mettiamo altre donne a svolgere il lavoro in casa, che ci liberi dal doppio lavoro, le condanniamo a farsene carico senza rimedio. La disponibilità delle donne migranti o della classe operaia, fa sì che lo Stato/ società non assolva i suoi doveri con i figli e le persone dipendenti, libera gli uomini da questo lavoro e da questa responsabilità e sostiene un'ideologia di genere oppressiva per mantenere standard non razionali, circa la pulizia della casa e della cura della prole. La mia opinione è che dal punto di vista etico, femminista e anticapitalista sia necessario rilevare che c'è una parte del lavoro domestico che tutti dovrebbero fare per se stesso o se stessa.
E ' importante chiarire che non intendo incolpare a nessuno, tanto meno le donne, che non avrebbero potuto agire lo spazio pubblico, senza assumere le altre, però avere consapevolezza su questo non vuol dire che non si possa fare una riflessione.
L'unica risposta alla domanda "Chi pulisce la casa della domestica ?” e “ Chi cura i figli della badante?” è che tutti abbiano accesso alle soluzioni pubbliche riguardo al lavoro di riproduzione e di cura e che la doppia giornata (o doppio lavoro) non esista. Ciò che deve esistere è la cura di base di sé, da farsi nella misura che si vuole, come lavarsi o prepararsi da sé. In modo forse, un po’ radicale, la svedese Maria Schottenius scrive: " " Il primo comandamento socialdemocratico per una donna è ‘devi pulirti la tua spazzatura’ (ovviamente questo vale anche per gli uomini). In una casa normale, se ognuno svolgesse la sua parte (compresi i figli), questo lavoro sarebbe risolto con un ragionevole sforzo.
Ovviamente, c’è una parte di questo lavoro che continuerà ad esistere. Da un lato, perché ci sono persone / famiglie che, in tutti i casi, hanno bisogno di aiuto, sia per questione di età, di salute, di tempo; d'altro, perché ci sono donne che non ci voglio rinunciare per qualsiasi motivo. Pertanto, più che riferirmi a ciò che ho affermato riguardo alle politiche pubbliche, soprattutto per il primo caso, io sarei del parere di cambiare la concezione stessa di questo lavoro. Così, invece di cercare di valorizzarlo nella logica capitalistica sarebbe possibile assumerlo come un lavoro supplementare, svolto da giovani e / o studenti di ambo i sessi per pagarsi le spese, per esempio.

Mentre in Spagna o in America Latina, questo lavoro è così strettamente legato alla classe, da rendere difficile che giovani della classe media e istruita, lo svolgano, in altri paesi con tradizione più egualitaria, non è raro trovare studenti universitari che puliscano o aiutino in casa. In questo modo si romperebbe il suo legame con il genere, con la doppia giornata, e anche con la classe, giacché, come ho scritto prima, potrebbe essere svolto da giovani o studenti come lavoro complementare.  Il dibattito è appena cominciato.
pikaramagazine.

mercoledì 16 ottobre 2013

La seconda ondata machista

Lydia Cacho*




                                 


Lucero è stata ferocemente picchiata per essersi rifiutata di fare sesso, e la Procura sta facendo di tutto per eliminare i diritti di questa ragazza messicana di Guanajuato e zittire la stampa insinuando che fosse in qualche modo colpevole dell’aggressione.

Mousin e Raja di 14 e 15 anni si son baciati in bocca fuori dalla scuola in Marocco e il loro amico Osama ha postato la loro fotografia su Facebook. Le autorità li hanno arrestati e, ora, sono sotto processo con l’accusa di atti osceni e danni alla morale pubblica. In Marocco baciarsi è considerato immorale, mentre picchiare o violentare la moglie, non lo è. Il ragazzo e la ragazza rischiano una condanna fino a due anni di carcere, perché – ha dichiarato la Procura – baciarsi in pubblico minaccia la società e va contro i principi educativi.
In Yemen, Saadah cui nome significa felicità, a tredici anni è stata venduta in matrimonio dal padre. Il marito, di cinquant'anni, ha pagato l'equivalente di 1200 pesos per la ragazza che maltrattava fino a quando a diciotto anni e con due figli è riuscita a fuggire e tornare a casa di sua madre. Il padre ha dichiarato che aveva venduto le figlie per evitare che vivessero in povertà. Adesso le due, come migliaia di bambini vittime di matrimoni forzati nel mondo, sono tornate a casa, con figli e figlie da sfamare, senza risorse o protezione, e sicure che lo Stato non riconoscerà la loro libertà e dignità.
In Indonesia, nella provincia sud di Sumatra, il ministro dell’istruzione ha proposto una legge che ordina che tutte le ragazze che vogliono accedere alla scuola devono essere sottoposte a un esame ginecologico per dimostrare la loro verginità. Le ragazze che non hanno l’imene integro, non potranno ricevere l’istruzione pubblica. Dietro questa politica, che alcuni gruppi conservatori mirano a standardizzare in Indonesia e che ha provocato le reazioni dei settori progressisti del paese, c’è il maschilismo. Il ministro dell'Istruzione, Muhammad Rasyd, dichiara che queste misure legali, impediranno alle donne di avere rapporti prematrimoniali. Le attiviste indonesiane che hanno protestato contro il ministro e i leader religiosi, hanno affermato che questa misura rappresenta un’enorme battuta d’arresto per i diritti delle donne nella regione.
Dietro di questi e a migliaia di altri casi, si nasconde un’ondata di misoginia, che pretende di cancellare i diritti delle donne e delle giovani. Diritti che le nostre antenate hanno conquistato, rischiando la vita. In alcuni paesi come il Messico, l'Indonesia o l’Italia sono approvate le leggi contro la violenza sulle donne, tuttavia la loro applicazione è soggetta a codici " morali ", contradditori, che favoriscono gli aggressori, mentre umiliano e re-vittimizzano le donne e le ragazze. Ogni giorno, migliaia di articoli  giornalistici documentano l’aumento del femminicidio nel mondo, una forma di violenza estrema, per controllare alcune donne e avvertire le altre che potrebbero essere le prossime della lista, se non obbediranno ai mandati del sessismo, che promuove una doppia morale.
L’argomento “ ho figlie e madre” usate dai politici è davvero assurdo, perché avere accanto donne, non garantisce la convinzione per l'uguaglianza giuridica e sociale.
Mentre ascolto le donne indonesiane discutere la legge sulla verginità, documento l’accettazione sociale dello sfruttamento delle donne in questa regione. Leggo che i media del Messico, Marocco, Indonesia, Yemen, non vogliono uscire da riflessioni superficiali: non analizzano il controllo sociale delle donne e delle ragazze attraverso l'espropriazione della loro volontà, i loro corpi e la loro sessualità.
Dobbiamo chiederci come si condiziona la loro educazione mediante la sottomissione, la loro sopravvivenza attraverso i matrimoni servili. O si nega l’accesso alla giustizia quando sono libere e si ribellano all’oppressione.
Fino a quando non riusciremo a portare la notizia dello scandaloso singolo caso al contesto delle politiche pubbliche e le convinzioni private di politici sessisti che promuovono l’oppressione, alla diseguaglianza e alla violenza, niente cambierà.  Nessuno ha chiesto al governatore di Guanajuato – che parla di sua madre – di esigere che, il procuratore che ha designato, faccia valere le norme giuridiche.
Nessuno ha chiesto al ministro di Sumatra se vuole un’istruzione gratuita ed egualitaria, senza mettere la testa sotto le gonne delle ragazze o al governo yemenita la necessità di abbattere la povertà e promuovere l’uguaglianza.
Chiaro. Come l’acqua.

Lydia Chaco, giornalista messicana, esperta in diritti umani e politica.

Frontera.info

(libera traduzione di Lia Di Peri)