mercoledì 24 dicembre 2014

Quando non sei quella donna della quale la gente s'innamora...



Mi hanno ripetuto più volte che, il vero amore, dovrebbe essere la priorità numero uno nella mia vita e sono stata condizionata ad accettare e credere che dovrei provare quest’amore, tuttavia, io non sono pronta. Questo è il motivo per cui devo cambiare costantemente, per il quale devo cambiare la mia composizione. Sperando sempre che arrivi qualcuno che mi dica le parole magiche.
Non ho mai sperimentato cosa si provi quando una persona ti confessa il suo amore eterno. Non mi è mai successo che qualcuno abbia fatto qualcosa di così romantico per me, che abbia fatto qualcosa da quasi svenire. Per molto tempo, mi ha causato confusione questa situazione. Ero un adolescente con normali bisogni fisici ed emotivi.
Non è che non mi sia mai innamorata. Anzi, mi sono innamorata con ogni fibra del mio essere. Ma nessuno mi ha mai amato. C’è voluto un po’ per capire perché. Ed è stato molto semplice, quasi ridicolo. Nessuno si è innamorato di me, perché non sono il tipo di donna della quale t’innamori.
Magari fosse questa la donna che rispetti o ammiri. La donna che ti piacerebbe incontrare quando si arriva a casa dal lavoro, la donna che ti costringe a mettere in discussione le prospettive con le quali hai vissuto per anni. La donna che mette fine alle nozioni preconcette, che hai delle cose che ami, la donna che guardi e alla quale chiedi: “ Come"? "Come fare questo?”. La donna che cerchi quando hai bisogno di forza e sostegno, la donna che ti fa capire quanto grande può diventare il mondo. Anche la donna alla quale ti rivolgi per avere consiglio.
Comunque, non sono la donna della quale t’innamori. Non sono la ragazza con la quale vorresti passare ore semplicemente a guardarla. La ragazza che cerchi di far sorridere, la ragazza le cui mani vorresti intrecciare con le tue. Quella ragazza così bella, così delicata, da fa venire voglia di combattere contro il mondo per lei.
Io non sono quella donna che devi proteggere da se stessa perché non sono abbastanza fragile da rompermi per un nonnulla. E sono indurita, ho cicatrici di battaglie che, forse somigliano alle tue.  Non mi vergogno dei segni, macchie e contusioni che si possono trovare nel mio corpo e nella mia mente, sono mie e sono parte della mia storia. Non voglio camminare umilmente dietro di te, voglio camminarti accanto. Voglio spingerti così come spingo me stessa.
Questo fa di me una persona difficile da amare, perché non puoi prendere semplicemente il mio amore e tuffarti dentro. No, dovrai anche dare e ciò ti costerà. Alla fine, potrai anche andar via perché incontrai una donna che ti rende felice, invece di una donna che ti fa pensare.
Non
sono la donna di cui t’innamori, sono la donna dalla quale impari ad amare.
E mi sento bene, perché so che quando qualcuno mi dirà “ Ti amo, sono innamorato di te”, lui saprà esattamente ciò che quelle parole significano. Non saranno cose che si dicono la mattina quando sei ancora mezzo addormentato. Saranno parole vere e brilleranno alla luce del sole. Sarà qualcosa che è reciproca e mi nutre.
Sarà un amore per cui valga la pena lottare.

(traduzione di Lia Di Peri)

domenica 19 ottobre 2014

Il femminismo è (anche) una storia di streghe

BEATRIZ SERRANO


Congreghe, incantesimi e maledizioni. Dalle W.I.T.C.H alle Moon Church, la stregoneria diventa un discorso di potenziamento delle donne.





La Felguera, una piccola editoria spagnola, specializzata nel riscatto di storie atipiche o che non furono raccontate, recentemente ha ristampato il libro W.I.T.C.H: La Cospirazione Terroristica Internazionale delle Donne dell’Inferno (Women's International Terrorist Conspiracy from Hell).
Dietro questo nome satanico si nascondeva un collettivo di donne che, dal 1968 fino al 1970 agirono un femminismo di guerriglia in diverse parti degli Stati Uniti. Non avevano un'organizzazione centralizzata, poiché ogni gruppo si formò in modo indipendente ispirandosi alle idee e alle azioni del gruppo precedente. La sua estetica non passava inosservata: lunghi mantelli neri e volti sfigurati da un diabolico trucco, le W.I.T.C.H erano dopo tutto, streghe del ventesimo secolo. Le loro armi erano l’azione diretta, il boicottaggio, i manifesti e, naturalmente, incantesimi e congreghe.

Le W.I.T.C.H nacquero durante la seconda ondata di femminismo dalla divisione del collettivo New York Radical Women in due gruppi distinti. Le W.I.T.C.H era interessate più a un femminismo sociale e politico, di azione diretta, un femminismo di guerriglia: le sue apparizioni pubbliche erano a metà strada tra la protesta e la performance artistica. Furono pioniere nell’unione di testo e immagine con l'intenzione di apparire sulla stampa e viralizzare così il loro messaggio. Come? Agendo da streghe, lanciando maledizioni davanti alla Borsa di Wall Street o mediante congreghe. Creando un’immagine forte e distintiva, ottenevano sempre più attenzione da parte della stampa. Non dobbiamo dimenticare, però, il potente e artistico contenuto fuori dal continente: “W.I.T.C.H. significa rompere il concetto di donna come creatura biologica e sessualmente definita. Comporta la distruzione del feticismo e della passività ", recitava uno dei loro manifesti, presentati pubblicamente come " incantesimi ".

“Hanno cercato di minare il sistema dalla parola" – commentano da Sangre Fucsia, rivista radiofonica femminista, che si può ascoltare attraverso Agora Sol Radio o dal loro sito web - "Oltre a farlo sotto forma di manifesti e di terminare i loro’ incantesimi’ con “Passa la parola, sorella!" ci ricordano la necessità di affiliazione tra donne e la trasmissione del sapere”.
Nonostante la breve durata del gruppo, le W.I.T.C.H sono state le precorritrici dei movimenti femministi come le Guerrilla Girls, o le Femen e le Pussy Riot “. Le russe Pussy Riot, intenzionalmente o non, hanno molto in comune con le W.I.T.C.H", continuano le  Sangre Fucsia. " L'uso del 'travestimento', la messa in scena della performance o l'importanza rituale della parola sono centrali in entrambi i gruppi. Quello che promulgano le Riot come le W.I.T.C.H", è che la femminilità può e deve essere forte. Le Riot come le streghe celebrano in modo ludico che una cosa è essere femminile e un’altra è essere femminista, ma che entrambi non si escludono a vicenda. Inoltre, recuperando la connessione tra musica e poesia, ci riportano ancora una volta al potere della parola, che è il tipo di 'magia' che ci interessa ".
Dalla caccia alle streghe alla rivendicazione femminista.
Attiviste, guerrigliere, femministe e streghe? La scelta di questa estetica non è qualcosa di casuale, alla fine degli anni ‘60, gruppi femministi, come il Movimento per la liberazione delle donne cominciarono a identificarsi con questo maledetto archetipo, che poteva arrivare a spiegare la posizione della donna nella società durante secoli a venire.
Riscattare la figura della strega e il genocidio commesso durante più di due secoli contro le donne che resistevano al potere della Chiesa e dello Stato (la famosa caccia alle streghe) divenne una rivendicazione femminista: "Siamo condannati per omicidio, se pianifichiamo un aborto.  Condannate alla vergogna, se non abbiamo un uomo.  Per cospirazione, se lottiamo per i nostri diritti e bruciate sul rogo, se ci alziamo per lottare”" -  era un altro dei famosi manifesti delle WITCH.
Silvia Federici, scrittrice, docente e attivista femminista, spiega nel suo libro Caliban e la Strega: Donne, corpo e accumulazione primitiva (Traficantes, 2010), l'importanza della caccia alle streghe, per comprendere il ruolo delle donne nella società di oggi. Le streghe erano, secondo Federici, soggetti femminili che si allontanavano dal modello stabilito e sfidavano la struttura di potere, dall’eretica, ostetrica o guaritrice, alla moglie disobbediente, la prostituta, la libertina, l'adultera o la promiscua, in altre parole la strega era qualunque donna che praticasse la sessualità al di fuori dei vincoli del matrimonio e della procreazione. "La caccia alle streghe è stata una guerra contro le donne: un intento coordinato di denigrarle, demonizzarle e distruggere il loro potere sociale", afferma Federici.

“ Fu nei roghi e nelle camere di tortura, che si costruirono i principi borghesi di femminilità e di domesticità così utile, oggi, alle nostre società – dicono le partecipanti Sangre Fucsia. Le morti sul rogo erano lezioni per le sopravvissute, come rileva Federici nel suo libro, donne che per paura di essere considerate streghe adottarono un nuovo ruolo sottomesso, obbediente, passivo e domestico e nel quale il desiderio sessuale era sinonimo di vergogna e di colpa.
"La figura della strega funziona nel momento di costruire il mondo come un archetipo della donna malvagia, sia strega, puttana, madre cattiva, ribelle o saggia" continuano le Sangre Fucsia.  Questa malvagia donna però sarà sempre consapevole della sua sessualità e consapevole dell'importanza e della necessità di sorellanza con le altre donne", aggiungono.
Nel corso della storia e attraverso narrazioni che costruiscono il nostro immaginario, la strega ha simboleggiato il male primordiale, la donna peccatrice, quella che percorre la cattiva strada, un modo di vivere e, vivere, al di fuori della legge patriarcale:E’ l'outsider, per questo sono così ammirate nel femminismo "- rilevano le Sangre Fucsia.

Moon Church: Streghe contemporanee

Questo concetto di unione tra le donne per condividere esperienze e diventare più forti come gruppo e individualmente è ciò che ha ispirato Moon Church, un collettivo fondato a Brooklyn nel 2013, che raccoglie l’eredità delle W.I.T.C.H: “ Prima di fondare Moon Church, molte di noi abbiamo partecipato a un gruppo denominato Goddes Circle nel centro di Brooklyn, dove abbiamo imparato l'importanza della sorellanza e del potenziamento femminile, la vulnerabilità e la guarigione collettiva. In ogni sessione, ognuna di noi ha avuto un momento per parlare e condividere le sue esperienze, raccontano le Moon Church.

Il collettivo è nato in origine, come spazio fisico in cui le donne potevano incontrarsi, sentirsi liberi e, a volte, protette. Un luogo dove trovare la connessione con donne affini, condividere saggezza e pratiche rituali: "Cerchiamo di creare un'esistenza più creativa, compassionevole, consapevole e rispettosa del mondo che ci circonda." Il gruppo è cresciuto rapidamente e oggi, oltre a Brooklyn, si trova anche a Los Angeles: “ Ci hanno ispirate un gran numero di voci femministe e collettive, le W.I.T.C.H è chiaramente uno di loro” Riteniamo di essere parte di una lunga stirpe di attiviste femministe e ci appassiona continuare questa eredità. Crediamo nell'importanza della riunione di donne che s’identificano tra di loro e della magia che passa quando iniziamo a condividere esperienze all'interno di questo contesto. "
Le W.I.T.C.H credevano nell’importanza della sorellanza, come le Moon Church, non erano escludenti e ogni donna poteva aderire al movimento: "Se sei una donna e hai il coraggio di guardare dentro di te, sei una strega, " era un altro dei loro manifesti. La filosofia delle Moon Church è simile "Noi crediamo che quando un gruppo di donne connetta tra sé, in un modo tanto intimo e libero, il mondo diventi un luogo molto più amabile. Sempre ci siamo identificate con la figura della strega, in particolare con la congrega come rappresentazione di una unione di donne. La strega è da sempre sinonimo di potenza e di forza, le donne che vivono al di fuori della norma, cercano la saggezza dentro di esse e la condividono con le loro sorelle invece di permettere che il patriarcato decida il loro stile di vita e le loro convinzioni “.

Molte delle rivendicazioni delle W.I.T.C.H continuano a essere valide, ancora oggi: "Una delle azioni delle W.I.T.C.H. fu di ribellarsi ai concorsi di bellezza che mercificano le donne”, ricordano le Sangre Fucsia. 
Mujeres Creando en Bolivia, por esempio,
hanno compiuto azioni simili che ne denunciano il messaggio. Campagne come "I'm not bossy, I'm the boss"rese popolare da Beyoncé rivelano che le donne che riescono professionalmente sono guardate ancora con sospetto.

Abbiamo fatto qualche progresso dal 1970? "In questioni concernenti i propri sforzi o rapporti tra noi, abbiamo fatto progressi - dichiarano le Sangre Fucsia. “Empowerment, sorellanza, visibilità, trasmissione del sapere, libertà sociale o integrazione nel mondo del lavoro. Nelle questioni che hanno a che fare con l'ideologia o la volontà della trama sociale, molto meno: l'aborto, il nostro posto nell'esercizio del lavoro, i diritti umani o l’uguaglianza nella pratica”.

C'è ancora un lungo cammino, gruppi come Moon Church ci ricordano che l'eredità di WITCH non è stato dimenticata e questa figura della strega, maltrattata per anni, continua a ispirare le donne a lottare per un vero cambiamento sociale:
"Come non riconoscere la strega, come la donna che può andare ovunque, in cerca di giustizia storica? - dicono le Sangre Fuchsia. "l'indomabile, una che non si arrende. Una femminista".



(traduzione di Lia Di Peri)



domenica 12 ottobre 2014

Che cosa fare con la prostituzione?

Rosa Cobo Bedia*


Che cosa fare con la prostituzione?






Il dibattito politico sulla prostituzione appare intermittente nei Media, di solito legati alle notizie che suggeriscono l'inevitabilità della sua legalizzazione. L’ultima in ordine di tempo è l'incorporazione di quest’attività, nel PIL. L'argomento che sembra avere più peso in questa discussione è la spiegazione che la legittimità della prostituzione debba essere cercata nel libero consenso delle donne prostituite. Mi concentrerò, quindi, esclusivamente su quest’aspetto del dibattito.
Tuttavia, occorre porre due questioni, prima di approcciare il dibattito: la prima è che dobbiamo distinguere nella prostituzione, il gruppo concreto delle donne prostituite in modo da poter contestare criticamente questa istituzione e, al contempo, agire politiche pubbliche per le donne prostituite. Il secondo elemento è la naturalizzazione della prostituzione, nonostante tutto ciò che questa implica: il carattere non politico del commercio sessuale.

La prostituzione è una complessa realtà sociale, sia per il crescente numero di attori e processi coinvolti intorno a questa istituzione patriarcale sia per i significati ideologici che derivano ​​dalla sua esistenza. Infatti, la prostituzione è oggi un'azienda globale legata all’economia criminale, e nella quale intervengono molti attori, che beneficiano di tale attività. Tanto che nel 2010, secondo le statistiche, la prostituzione ha generato 0,35% del PIL. Non si può negare che l’affare prostituzione si è moltiplicato nel contesto delle politiche economiche neoliberiste. Probabilmente, l’interesse collettore degli Stati patriarcali è all'origine di questa proposta. Tuttavia, i principali attori in primo luogo, sono le donne che esercitano la prostituzione e gli uomini che utilizzano i servizi di queste donne. Nell'immaginario collettivo la prostituzione è associata con l'immagine della puttana. Eppure, non c'è donna prostituita senza un uomo prostitutore. Perché il prostitutore è invisibile nell'immaginario della prostituzione? Dobbiamo riflettere sulle ragioni per cui la figura del richiedente è stata zittita, come se si trattasse di un elemento del tutto secondario in quest’opera da teatro, perché questo fatto è un chiaro indicatore del permissivismo sociale che esiste verso questi uomini. Per questo è necessario re-significare l’immaginario della prostituzione e mettere i prostitutori al loro giusto posto, vale a dire, come beneficiari e responsabili di questa pratica sociale. Dobbiamo anche far notare che, la prostituzione non è un’istituzione innocua, ma come tutte le altre, non può essere separata dalle relazioni di potere che strutturano una società.
Inoltre, questa realtà sociale non può essere intesa senza prendere in considerazione la notevole disparità economica tra la popolazione prostituita e la popolazione richiedente poiché questa disuguaglianza è essenziale per calibrare il grado di accordo che esiste in questi rapporti. Oltre il 90% delle donne prostituite, sono migranti e il traffico illegale di donne per l'industria del sesso è in aumento come una fonte di reddito per i maschi. Tuttavia, le donne occupano la quasi totalità del settore, fino al punto di diventare un gruppo maggioritario nella migrazione orientata alla ricerca di lavoro. Saskia Sassen sottolinea che la nuova economia capitalistica con le sue politiche neoliberiste favorisce l'emergere di una nuova classe di servitù. Donne emigranti, comprese le donne che si prostituiscono, formano il duro nucleo di queste nuove schiavitù. In effetti, le donne prostituite appartengono ai settori sociali più poveri e con estreme necessità economiche che cercano di migliorare la loro situazione mediante l'ottenimento di denaro facile che la prostituzione può fornire. Inoltre, per alcune donne migranti irregolari la prostituzione è vista come una delle poche uscite economiche disponibili.

La questione, quindi, ruota attorno al grado di consenso delle donne prostituite nel commercio del sesso. Qui si può già sottolineare che la libertà e il consenso delle donne che arrivano alla prostituzione sono ridotti, perché sono limitati dalla povertà, dalla mancanza di risorse culturali, dalla mancanza di autonomia e nella maggior parte dei casi dall’abuso sessuale nell’infanzia. E se ciò non bastasse, queste realtà sociali si formano all'interno delle società patriarcali, dove gli uomini hanno una posizione di dominio sulle donne.
Un contratto firmato da entrambe le parti in cui uno di esse è dominata dalle necessità, non è un contratto legittimo. Non può darsi libertà contrattuale assoluta nei sistemi sociali fondati sul dominio, perché la necessità e lo svantaggio sociale, inficiano il consenso. Pertanto, si deve rilevare che l’illimitata libertà contrattuale è parte del nucleo ideologico, più duro del liberalismo e la messa in discussione di questa libertà assoluta è uno dei tratti distintivi del pensiero critico. Le analisi che tentano di giustificare la prostituzione, come un contratto legittimo si basano su argomentazioni tipiche del neoliberismo, per la cui ideologia i contratti non dovrebbero avere limiti. Coloro che difendono la legittimità del contratto basandosi sulla volontà dell'individuo, dimenticano che libertà e volontà non sempre coincidono. Legittimare la prostituzione con quest’argomento è sottrarsi al pensiero critico.

Se si considera la prostituzione, una forma inaccettabile di vita, risultato del sistema di egemonia maschile, che viola i diritti umani delle donne per trasformare il loro corpo in una merce e in un oggetto per il piacere sessuale di altri, allora, si finirà in direzione dell’impossibilità della sua legalizzazione. In altre parole, legalizzare la prostituzione è inviare alla società il messaggio che lo sfruttamento sessuale delle donne è eticamente accettabile. E questo contribuisce a installare nell'immaginario collettivo l'idea che gli uomini hanno un diritto naturale di accedere sessualmente al corpo delle donne.


* Docente di Sociologia di Genere nella Universidad de A Coruña

eldiario.es



(traduzione di Lia Di Peri)

mercoledì 1 ottobre 2014

La giovane che non sapeva suonare il pianoforte ( e che fu assassinata da un femminicida).

Dahlia de la Cerda



Sandra ogni mattina si alzava presto, prendeva il caffè e aiutava nei lavori di casa. E’ disoccupata, ma essere disoccupata non vuol dire non essere impegnata. Tutti i giorni Sandra sbrigava i lavori domestici, sebbene siano sottovalutati dal sistema etero-patriarcale, sono lavori non meno degni che essere un bravo sportivo o avere un eccellente rendimento scolastico.
La giovane era diplomata e si era preparata per l’ammissione all’Università, ma non era stata ammessa, nonostante che il Governo avesse dichiarato che nessuna giovane che volesse accedere a un’istruzione superiore sarebbe stata fuori per mancanza di risorse. Sandra non ebbe accesso alle politiche pubbliche d’istruzione e cominciò a cercare lavoro mentre tentava, nuovamente, all’Università di Biologia, Economia aziendale, Storia o Medicina? A chi interessano i sogni di una ragazza che non era un genio nella Fisica né aveva un brillante futuro in Germania? Sandra non sapeva suonare il pianoforte, però aveva sogni, né più né meno validi dei nostri o del femminicida, che l’ha ammazzata il 27 luglio 2013. Sandra che voleva essere una modella, sognava di sfilare sulle passerelle e posare per riviste di moda. Qualche settimana prima, Javier, un ragazzo che aveva conosciuto su Facebook, le aveva promesso un lavoro come aiutante in campo. Sandra non immaginava che questo giovane le avrebbe strappato i suoi sogni, la sua vita e il suo futuro, uccidendola vigliaccamente.

Quel pomeriggio del 27 luglio Sandra uscì da casa a Ixtapaluca nello Stato del Messico. Ixtapaluca è uno dei luoghi più pericolosi per le donne in Messico. La macchina femminicida, i Governi negligenti e la misoginia istituzionalizzata hanno creato le condizioni per cui migliaia di donne muoiono per mano dei figli sani del patriarcato, che considera sua proprietà. Sandra, come ogni guerriera, usciva tutti i giorni da casa, per affrontare la macchina femminicida.
La giovane che non parlava tedesco, ma che aveva dei sogni, prese la metro e durante il tragitto pensò al promettente futuro che la attendeva nel mondo della moda, sognò di potersi pagare un’università privata. L’orologio segnava le 16:00 quando Sandra arrivò alla stazione di Tlatelolco, Javier la aspettava, si abbracciarono come se si conoscessero da una vita. Andarono al cinema e, dopo, a casa di Javier.
La voce di Sandra fu spenta ore dopo l’ingresso in quell’appartamento del decimo piano. Il suo corpo fu smembrato e buttato via come spazzatura. Non abbiamo la sua testimonianza, le sue mete non sono state raggiunte e i suoi sogni non si sono realizzati, perché un machista ferito nell’ego ha deciso di strangolarla a morte.
Javier racconta di aver fatto sesso consenziente, i periti affermano che vi fu stupro. Javier dichiara che dopo il rapporto sessuale, hanno parlato delle loro vite. Il giovane che sapeva suonare il pianoforte, cercò di impressionarla, prospettandole che si sarebbe recato in Germania e che fosse un genio della Fisica.
 QQQueste cose non interessavano la ragazza; lei valutava le conversazioni divertenti, i buoni momenti e non i meriti accademici.  Essere un genio in Fisica ti rende, per caso una persona migliore? Sandra, una giovane allegra e ironica, scherzò sulle arie di grandezza di Javier, un ragazzo sopravvalutato, un ragazzo gonfiato dagli applausi delle sue amiche ed ex fidanzate. Questo fece infuriare Javier. “ Com’è possibile che rida di me?” avrà pensato - Come si permette di burlarsi delle mie medaglie? Sono uno studente modello! Sono un eroe! Chi si crede di essere questa qui?”. Non era frustrazione e non era dolore: era l’ego ferito di un macho, lo stesso ego ferito che usano gli stupratori per giustificare i loro crimini, quando una ragazza dice di no. Nel patriarcato, noi donne, ci siamo per applaudire gli uomini, per ammirarli, per dirgli di sì. E che cosa succede se non vogliamo? E se ci appaiono presuntuosi e ignoranti? Se la loro conversazione è noiosa e vanagloriosa? Se non ci interessano? Allora, ci ammazzano.

 Il giovane che sapeva suonare il piano aveva anche la forza sufficiente per buttare a  terra Sandra con un solo colpo. Javier non solo era un ottimo musicista e studente eccezionale, ma  anche un ottimo sportivo, il che significa che i suoi pugni sono considerati in alcuni contesti legali come arma bianca. Sandra si alzò e forse nel tentativo di difendersi gli ha graffiato il viso, gridandogli arrabbiata che non avrebbe permesso a nessun uomo di trattarla in quel modo. Javier la afferrò per il collo e strinse forte. La promessa della chimica, il quasi di madrelingua tedesca e che non ha un profilo da femminicida – perché dalle nostre letture classiste e razziste, immaginiamo che il femminicida sia brutto, povero e stupido, ha stretto il collo per cinque minuti, poteva lasciarla in qualsiasi momento, cacciarla via dalla sua casa, ma non l’ha fatto: ha stretto forte il collo fino a ucciderla. Come chi, avendo ucciso poco prima una zanzara, cioè senza rimorso alcuno, Javier va a dormire. Il mattino dopo, alzatosi, si prepara a smembrare il cadavere.  Il ragazzo che nel 2006 viaggiò in Germania, rimanendo abbagliato, si è caricato cinquanta chili – fare attività sportiva ha indubbiamente i suoi vantaggi – non voleva però che crimine fosse scoperto ed era impossibile togliere il corpo di Sandra dal suo appartamento senza destare sospetti. Dopo averci pensato un momento, andò in cucina, impugnò un coltello e squartò il corpo di Sandra. I resti della ragazza che voleva essere una modella e andare all’università, furono insacchettati e sparsi in posti strategici, rendendo impossibile la sua scoperta.
Javier fuggì. Per un anno ha vissuto sotto il nome di Carlos. Ha mantenuto la comunicazione con la sua famiglia ed è stato finalmente catturato nel luglio di quest'anno. Nella sua dichiarazione, Javier ha colpevolizzato Sandra di ciò che è accaduto, ha dichiarato che non ricorda che cosa sia successo, perché era fuori di sé.  Non è raro che un giovane, che ha sempre usato un linguaggio corretto, che si è sempre espresso in termini tecnici, faccia appello a un’emozione incontrollabile e avocare la pazzia per attenuare la punizione. E 'probabile che questo genio del patriarcato abbia chiaro che un in un sistema di giustizia che ha creato le istituzioni che permettono la violenza contro le donne, agiti sistematicamente la colpevolizzazione della vittima, deviando l’attenzione dal vero problema: la violenza femminicida esercitata sul corpo di Sandra. La violenza femminicida che ha strappato i sogni di una giovane che voleva diventare una modella.
Il ragazzo che salì sul podio per ricevere la medaglia di bronzo, ha detto che per la gran parte della sua vita ha subito il bullismo, perdendo per questo il controllo di fronte alla burla di Sandra. Javier, però, non ha antecedenti di violenza, il che implica che non era un giovane predisposto alla perdita di controllo, al contrario, le persone lo conoscono come un ragazzo educato e tranquillo. Perché come  Carlos, il nome assunto durante la latitanza non si è mai messo nei guai? Perché non ha mai reagito al bullismo? Perché Javier, non ha alcun problema con l’autocontrollo; Javier è un delinquente che in un esercizio di potere ha ammazzato Sandra Camacho; è un figlio sano del patriarcato. Javier ha ucciso Sandra perché è un femminicida.
Le dichiarazioni di Javier hanno provocato l’empatia degli egemonici mass media, che lo ritraggono come una povera vittima delle circostanze, un giovane che aveva davanti a sé un brillante futuro ma che ha avuto la sfortuna di incontrare una ragazza povera, ignorante, senza aspettative.
Ci raccontano che il pianista non voleva ucciderla, però lei, stronza e senza cuore, non gli ha lasciato scelta.  Viceversa, Sandra è narrata dall’alterità, dalla precarietà, dallo squallore. L’interiorizzata misoginia impedisce di capire che, presentare Javier dalla fragilità, giustificando i suoi atti è colpevolizzare Sandra.
I valori patriarcali e capitalistici, come l’ossessione per il denaro, l’eccessiva ricerca di eccellere e la sopravvalutazione dei meriti accademici fondati sui numeri e l’accumulo delle conoscenze ci porta a credere che, il crimine sia meno crimine se commesso da un genio della fisica. Il disprezzo per chi non è conforme alle qualità socialmente ritenute degne di applausi, ci fa percepire che esistano morti meno compassionevoli di altre. La morte di Sandra non è compassionevole né per il patriarcato né per il capitalismo, perché era una giovane donna che sopravviveva dalla periferia, che lottava dalla precarietà, una giovane espulsa dal sistema educativo e dall’offerta lavorativa, mentre al contempo, il suo femminicidio è ridimensionato perché lui era produttivo, studioso e predominante.
Sandra non ha fottuto la vita a Javier: Javier ha fottuto la vita a Sandra. Il futuro di Javier non fu stroncato, Javier ha stroncato i sogni della giovane che voleva entrare all’università. La vita non ha ribaltato le valutazioni al giovane pianista, il giovane pianista ha rovesciato quelle di Sandra.  Noi donne non siamo responsabili per le violenze che si esercitano sui nostri corpi, però i pianisti, i geni della fisica, i grandi sportivi, i presidenti, i Governi, i mezzi di comunicazione femminicida, sì, sono responsabili di continuare ad alimentare la macchina femminicida.


La Critica

tradotto da Lia Di Peri


giovedì 18 settembre 2014

La condizione ideologica del silenzio nella violenza di genere






Oggi non esiste ma non è mai esistito un pronunciamento istituzionale sulla violenza di genere. Le questioni concernenti l’organizzazione della lotta contro la diseguaglianza, le strutture pubbliche idonee a prendere decisioni in questa materia o i significati sociali che potenziano la violenza non si prospettano né si sono mai prospettati come importanti per perseguire la vera eliminazione della violenza di genere.

Wright Mills ha scritto che la mancanza di questioni pubbliche non è dovuta all’assenza dei problemi, ma alla condizione ideologica della sua invisibilità. L’inerzia e il silenzio istituzionale su questo problema sono ciò che sta de-politicizzando questa lotta. E spieghiamo il perché.
L’egemonia sulla definizione su cosa sia politico, su ciò che conta o no, su quali siano le questioni pubbliche urgenti, sulle priorità e su ciò che invece può aspettare, è sempre stata contestata dal movimento femminista sin dalle sue origini. Fu dagli anni ’60, però, che molti movimenti sociali sovversivi cominciarono ad acquistare forza in questa direzione, ampliando i limiti di un presunto pluralismo nel dibattito politico e portando nella sfera del pubblico, i dibattiti sui processi decisionali, dell’imperialismo culturale o i problemi concernenti, i rapporti della vita quotidiana, che fino allora non avevano mai avuto una lettura politica. Discutere su questi problemi, comportò la loro politicizzazione, perché per la prima volta entravano nella sfera della contestazione pubblica, mettendo in discussione implicitamente questo limitato pluralismo, che gestiva la concezione tradizionale di spazio pubblico delle nostre democrazie.
Non è un caso, che  il trionfo dello slogan – durante il decennio degli anni sessanta – fu “il personale è politico”. Grazie a questo slogan, il movimento delle donne portò nella sfera pubblica, molti temi e pratiche che erano sentiti come troppo banali, private o intime, per la discussione o l’azione collettiva. La violenza di genere fu una di quelle. Fino allora una persona maltrattata dal suo partner era una questione privata che doveva rimanere nella sfera intima delle relazioni personali. Non era una questione politica. La sua visibilità aiutò a prendere coscienza del fatto che il “potere” non è qualcosa che si esercita solo a livello macro, ma anche dentro le relazioni di coppia, perché questi rapporti di potere sono espressione di modelli strutturali di diseguaglianza. Era chiaro che bisognava re-significare gli spazi del pubblico e del privato e fare sì che nel privato arrivasse la democrazia.
Per la teoria femminista fu faticoso mostrare che definizioni come “ violenza” dovevano essere contestate da una condizione di predominio maschile. Secondo quanto affermato da Liz Kelly, in uno degli studi di riferimento sulla violenza di genere, pubblicato negli anni ’90, era facile capire perché gli uomini, in difesa dei loro interessi di gruppo e come principali autori di essa, avessero limitato in gran parte, la sua definizione. Si prese coscienza che definire qualcosa è sempre problematico. C’è bisogno di una buona teorizzazione e prova empirica. Occorre, però, come afferma Marta Minow, aver  presente, che le definizioni si costruiscono socialmente, che le categorie non rientrano in modo naturale nel mondo, ma che sono caricate di pregiudizi incartati in norme culturali, in attese e valori sociali.
L’intenso lavoro dalla prospettiva femminista permise di problematizzare le definizioni dominanti e ampliarle in modo più inclusivo. La comprensione della violenza poté essere adattata gradualmente a quella che era la reale esperienza delle donne, individuando un’ampia gamma di comportamenti fisici, verbali, sessuali, emozionali e psicologici, che le donne vivevano come violenza, perché producevano sistematicamente umiliazione e disprezzo, perdita della propria autonomia fisica e mentale e una rottura dello strato più profondamente emotivo che, nei casi più gravi, poteva provocare una totale mancanza di rispetto per se stesse. Tuttavia, le ricerche femministe oggi, devono ancora affrontare le tensioni delle definizioni dominanti come quella, per esempio, di ciò che significhi, essere violentata, e di  quello che molte donne vivono come stupro anche se in silenzio. La prova empirica portata dalla letteratura femminista ha dimostrato che, molte donne rimangono in silenzio, perché prevedono la situazione di mancanza di rispetto o quella di non essere prese sul serio.
Un ambiente che promuova la libera espressione di queste esperienze di abuso è un contesto più democratico, perché aiuta a identificare e nominare questi problemi, perché aiuta a sviluppare un linguaggio normativo che nomini questa ingiustizia. Ci deve essere un contesto politicizzato e consapevole, che davvero metta in discussione le strutture di genere che governano le nostre società.
Oggi, tutto il dibattito sulla diseguaglianza di genere è andata perduto. Non c’è nessun membro del governo che lo sostenga, nessun progetto istituzionale che lo assuma e  che articoli uno schema politico diretto a eliminare le relazioni assi metriche di potere che sono radicate nella diseguaglianza di genere.
Quest’assenza del discorso, tuttavia, funziona ideologicamente, perché la mancata assunzione della violenza di genere è l’implicita assunzione della disparità di genere nell’orizzonte politico. Per questo, mantenendo il silenzio, il governo (i governi) egualmente si schiera. Prima di riformare una qualsivoglia legge sulla violenza di genere – come ha dichiarato di recente la ministra spagnola Ana Mato -  forse è più importante che si cominci ad applicarla.




(traduzione di Lia Di Peri)

martedì 26 agosto 2014

La cultura dello stupro. Guida per i signori uomini.

Dall’originale A Gentleman’s Guide to Rape Culture
di Zaron Burnett III., gionalista free-lance.


Se sei un uomo, sei parte della cultura dello stupro. 
Lo so ... che suona rozzo. Non sei necessariamente uno stupratore, però perpetui comportamenti che comunemente indichiamo come cultura dello stupro.
Sicuramente si starà pensando: “ Calmati adesso, Zanon, tu non mi conosci, compagno!" Che io sia dannato se ti lascerò continuare a dire che io sia una specie di fan degli stupri… no, io non sono quel tipo di uomo”.
Io so come  ti senti, ho dato la stessa risposta, quando qualcuno mi ma detto che ero parte della cultura dello stupro. Suona orribile, immaginate, però, di andare per il mondo, con la costante paura che potreste essere violentati. Questo è ancora peggiore! La cultura dello stupro è una merda per tutti quelli che siamo coinvolti con essa. Non ti attaccare, però, alla terminologia, non concentrarti sulle parole che ti offendono e tralasciare ciò che in realtà voglio dirti.  Il problema non è l’espressione “ cultura dello stupro”. In realtà, essa descrive il problema.










Gli uomini sono i primi artefici e sostenitori della cultura dello stupro.
Gli uomini non siamo gli unici che violiamo, come non sono le donne, le uniche vittime. Ci sono uomini che stuprano altri uomini e donne che violentano uomini, però ciò rende lo stupro, un problema maschile, il nostro problema, è che gli uomini commettano il 99% degli stupri denunciati.
Come sei  parte dello stupro? Beh, mi dispiace dirlo, ma lo sei per solo il fatto di essere un uomo.
Quando incrocio di notte in un parcheggio una donna e lei cammina davanti a me, faccio tutto quello che posso, per) non spaventarla; b) le lascio il tempo per sentirsi  sicura e a suo agio e c) se è possibile, l’avvicino amichevolmente, per farle sapere che non sono una minaccia. E lo faccio perché sono un uomo.
Fondamentalmente, mi faccio carico di questa donna che incontro per strada, in ascensore, sulle scale o, dovunque sia, lei possa sentirsi al sicuro. Voglio che si senta a suo agio, come se io non ci fossi.  Sono consapevole che qualunque donna che incontri in uno spazio pubblico, non mi conosca e, quindi, tutto ciò che vede è un uomo, improvvisamente vicino a lei. Devo tenere in conto il suo senso dello spazio e che la mia presenza possa farla sentire vulnerabile. Questo è il fattore chiave – vulnerabilità.

Non so voi, però io non passo la vita sentendomi vulnerabile. Ho dovuto imparare che le donne passano la maggior parte della loro vita sociale, con perenni e inevitabili sentimenti di vulnerabilità. Fermiamoci a riflettere un momento. Immaginiamoci di provare una costante sensazione di pericolo, come avere una pelle di cristallo.

Come tipi moderni, noi  uomini cerchiamo il pericolo. Scegliamo avventure e sport estremi, per sentirci come se fossimo in pericolo. In definitiva, giochiamo con la nostra vulnerabilità. E’ così che in modo diverso noi uomini vediamo il mondo ( attenzione, questo lo dico, tenendo presente perfettamente, che c’è una comunità dinamica di atlete che praticano sport estremi e che spesso anch’esse mettono in pericolo la loro vita. Tuttavia, le donne non hanno bisogno di impegnarsi in uno sport estremo per sentirsi a rischio.)
Io sono in sostanza astemio e potrei certamente dichiarare che sono in buona forma, il che significa che, quando  cammino solo di notte, molto raramente temo per la mia sicurezza. Molti uomini sanno esattamente ciò che voglio dire. Molte donne non sanno cosa sia muoversi liberamente, a qualsiasi ora del giorno o della notte:  in realtà, l’esperienza di molte donne è opposta.
Una donna deve sempre pensare a dove sta andando, a che ora andrà, a che ora arriverà, a che ora ritornerà, che giorno della settimana sia e se sarà lasciata sola  in un punto qualsiasi… e così via, perché le considerazioni sono molto più numerose di quanto si creda. Francamente, non ho da pensare molto su ciò che devo fare, per stare attento in ogni momento della mia vita. Godo della mia libertà della quale dispongo per alzarmi e andare di qui e di là, di giorno, di notte, con la pioggia o con il sole, in qualsiasi parte della città. 
Per capire la cultura dello stupro, ricordatevi che questa è una libertà della quale  non gode almeno metà della popolazione.
Questi sono i motivi per cui cerco di usare un linguaggio del corpo molto chiaro e cerco di agire in modo tale da ridurre  le paure e le altre sensazioni che le donne possono provare a riguardo. Vi consiglio caldamente di fare lo stesso. Lo dico seriamente. E’ il minimo che ogni uomo dovrebbe fare negli spazi pubblici, perché le donne possano sentirsi a loro agio, in questo mondo che condividiamo. E’ sufficiente essere rispettosi di lei e del suo spazio.
Si potrebbe pensare che sia ingiusto che paghiamo per i peccatori, che dobbiamo cambiare le nostre abitudini per il comportamento degli altri. Sapete una cosa? Avete ragione, non è giusto. Ma la colpa è delle donne? O è piuttosto colpa di quei tizi che agiscono in modo infame e mettono noi in cattiva luce? Se ti preoccupa la giustizia, scaricate la vostra rabbia su quei tizi che fanno apparire voi  e il vostro comportamento discutibile.
Nel momento in cui un uomo è oggetto di valutazione, cioè quando si tratta di stabilire cosa sia capace di fare, una donna presumerà che siete capaci di fare. Purtroppo, questo significa che noi uomini saremo giudicati dal nostro peggiore esempio. Se pensate che questo tipo di ragionamento sia una stronzata, ditemi, come reagireste voi, se incontraste un serpente in  natura? Non lo trattereste come un serpente? Questo non è uno stereotipo: è giudicare un animale per quello che è in grado di fare e per il danno che è capace di infliggere. Semplici regole della giungla, uomo. Siete uomini e le donne vi tratteranno come tali.

La  responsabilità è vostra, questa paura, ragionevole e comprensibile, che hanno degli uomini. 
E’ vero che non l’avete creata, come neppure avete creato le autostrade. Alcune cose che ereditiamo dalla società sono utili, altre sono cultura dello stupro.
Poiché nessuna donna può giudicare giustamente le vostre intenzioni a prima vista, presupporrà che siate come tutti gli altri uomini. Nel 73 per cento degli stupri, le vittime conoscono il loro aggressore, quindi, se non possono neppure fidarsi, né giudicare precisamente le intenzioni degli uomini che già conoscono, come pretendete che si fidino di voi, un completi sconosciuti? La prevenzione dello stupro, non passa per insegnare alle donne come evitarlo, ma perché gli uomini non lo commettano.
Per prevenire gli stupri, un uomo deve capire che un “no” mai è un “sì”, che quando una donna è sotto l’effetto dell’alcol o di qualche droga, non in grado di parlare, non è un “sì” e che avere una relazione non implica un “sì” automatico. Piuttosto che concentrarci su come le donne debbano evitare di essere violentate o come la cultura dello stupro renda sospetti uomini innocenti, prestiamo attenzione a come noi uomini possiamo fare per impedire che si commettano stupri, smantellare le strutture che li permettono e modificare gli atteggiamenti che li tollerano.

Dal momento che siete parti di esso, avete il dovere di sapere cosa sia la cultura dello stupro.

Estratto dalla pagina di Marshall University’s Women’s Center:

La cultura dello stupro è l’ambiente in cui la violenza detiene una posizione predominante e nel quale la violenza sessuale contro le donne è naturalizzata e giustificata sia nei media, come nella cultura popolare. La cultura dello stupro si perpetua attraverso l’uso del linguaggio misogino, l’oggettivazione del corpo della donna e la fascinazione della violenza sessuale, creando così una società che ignora i diritti e la sicurezza della donna”.

La prima volta che una donna mi disse che ero parte della cultura dello stupro, dissentii per ovvie ragioni. Come molti di voi avrei voluto dirle “ Ehi, non capisco”, ma l’ascoltai. Più tardi, mi recai da una scrittrice, che ammiro e le chiesi di scrivere un articolo con me, in cui spiegava la cultura dello stupro a me e ai miei lettor*. Smise di rispondermi alle e-mail.
In primo luogo, la cosa m’infastidì. Più tardi, quando apparve chiaro, che in nessun modo avrei ottenuto risposta, m’incazzai. Per fortuna, evito di rispondere a caldo, così ho messo da parte la tempesta dentro di me e mi sono fermato a pensare. Ho fatto una passeggiata, una di quelle che t’illumina. Ho pensato che se tanto m’interessava la cultura dello stupro, c’era bisogno che la scoprissi da me. Nessuna donna deve essere obbligata a spiegarmi la cultura dello stupro, solo perché  io decido di sapere cosa sia. Ho visto come il desiderio che una donna mi spiegasse, scorresse in me. Anche  la mia curiosità, una caratteristica che mi ha sempre reso orgoglioso, era stata contaminata da questa presunzione androcentrica onnipresente nella cultura dello stupro. Ciò che mi aspettavo era che il mio desiderio fosse esaudito e quest’atteggiamento è un problema. Così ho iniziato a leggere e ho continuato fino a quando ho capito la cultura dello stupro e il mio posto in essa.





Aggiungo qui un elenco di esempi di cultura dello stupro.



-       Incolpare la vittima ( “ te la sei cercata”).

-       Banalizzare la violenza sessuale ( “ I ragazzi sono ragazzi”).

-       Fare battute sessualmente esplicite.

-       Tollerare la molestia sessuale.

-       Gonfiare le statistiche delle denunce di falsi stupri.

-       Pubblicare  le  abitudini sull’abbigliamento, salute mentale, motivazioni e storia della vittima.

-  Violenza di genere gratuita nei film e televisione.

- Definire la “mascolinità” come dominante e sessualmente aggressiva.

- Definire la “femminilità” come sottomessa e sessualmente passiva.

- Fare pressione sugli uomini perché raggiungano i loro obiettivi.

- Fare pressione sulle donne perché  non appaiano “ fredde”.

- Presumere che solo le donne  promiscue siano stuprate.

-  Presumere che non ci siano uomini stuprati o che siano “deboli” quelli stuprati.

- Non prendere sul serio le accuse di stupro.

-  Insegnare alle donne come non essere violentate, invece di insegnare agli uomini a non violentare.

Ora che si sa cosa sia, come si può agire all’interno di questa cultura?


-       Evitare l’uso di un linguaggio che spersonalizza e degrada le donne.


-       Alzate  la vostra voce se senti raccontare una battuta offensiva o che banalizza lo stupro.

-       - Se una tua amica ti dice che l’hanno violentata, ascoltatela e datele sostegno.

-        Mantenete un pensiero critico sui messaggi che ti arrivano dai media sulle donne, uomini, relazioni e violenza.

-       Siate rispettosi dello spazio fisico altrui, anche in situazioni occasionali.

-       Comunicate sempre con i vostri partner sessuali e non date per scontato il consenso.

-       Definite il vostro concetto di mascolinità o femminilità. Non lasciate che le costruzioni stereotipate guidino le vostre azioni.


Quali altre cose si possono fare riguardo alla cultura dello stupro, quando si verifica nella vita reale?



1.    1. Scontrarsi con gli altri uomini.
Nessuno suggerisce la violenza. In realtà, stiamo cercando di impedirla. Tuttavia, a volte, un uomo deve scontrarsi con un altro uomo individualmente o in gruppo, in determinate situazioni. Quando mi trovo in un luogo pubblico e vedo un altro uomo molestare una donna, mi fermo e faccio in modo che la donna mi veda. Voglio che lei sappia che sono perfettamente consapevole di ciò che sta accadendo e aspetto che mi dia un segnale se ha bisogno di aiuto.
A volte, la coppia, continua a litigare come se fossi invisibile, ma in altre occasioni, la mia sola presenza ha fatto allontanare il tizio se era uno sconosciuto o a spiegarsi se si conoscevano prima. La dinamica cambia. Ecco perché, mi fermo sempre, quando vedo un tizio molestare una donna in pubblico. Mi assicuro che qualsiasi donna, in quella che potrebbe degenerare in una situazione violenta, abbia la possibilità di indicarmi che ha bisogno di aiuto. Tuttavia, non faccio solo così con le donne. L’ho fatto anche in una situazione affettiva di due uomini che stavano bisticciando tra di loro.
 Ogni volta che si noti una situazione fuori controllo e, soprattutto, se si sta attaccando qualcuno o se qualcuno chiede aiuto, bisogna intervenire. Non significa entrare come un elefante in un negozio di porcellane, ma impegnarsi, coinvolgersi, prendere nota delle informazioni più pertinenti, avvisare le autorità, chiamare la polizia, ecc. Insomma, fare qualcosa.

2.    2. Correggere gli altri uomini.

Se un tizio comincia a blaterare insulti davanti a voi, si può agire, anche se non c’è nessuno della comunità sulla quale ricade l’ingiuria. Lo stesso vale, quando qualcuno utilizza un linguaggio misogino: alzate la voce, dite al vostro amico, compagno, collega, che le battute sullo stupro sono merda e che non le puoi sopportare.
Fidatevi di me: non perderete il vostro “ bollino di uomo”. Se hai più di diciotto anni e ancora ti preoccupa il marchio di uomo, non hai allora, un’idea di cosa sia una rispettabile mascolinità. Non ha nulla a che vedere con cultura dell’approvazione altrui, mentre ha molto da spartire con il “ tuo” modello di uomo e col fare  le cose giuste. Sarete sorpresi di quanti uomini vi guarderanno con rispetto, per fare quello che essi non hanno il coraggio di fare: io l’ho sperimentato tantissime volte. Non sono la Brigata della Giustizia, però ho discusso, discuto e continuerò a discutere con mandrie e greggi di ogni tipo. Più tardi, alcuni di questi tizi sono venuti vicino a me a dirmi che hanno rispettato ciò che ho fatto. Gli ho sempre risposto che ogni volta che si ripete, diventa più facile alzare la voce. Giuro che è vero.

3.    3.Fare riflettere gli altri uomini.

Facciamo un esempio. Se in un gruppo di uomini, uno comincia a urlare a una ragazza, molto semplicemente ditegli di non fare il coglione. Non vi trasformate in ’protettori’, se alzate la voce per una donna, sempre che non si tratti di raccogliere punti, nei suoi confronti. Se eviti questo, non sarai il cavaliere bianco che difende la ‘donzella’. Farai ciò che è corretto. Nessuna donna ha bisogno di un pagliaccio sessista: la molestia  è una delle peggiori manifestazioni di sessualità maschile e questi imbecilli ci fanno passare da spaventapasseri. Bisogna tagliare fuori questi stronzi.
Qualcuno mi obietterà che sto esagerando, che “ a qualche donna piace”. Potrebbe essere, ma non è questo l’importante. Anche a me piacerebbe guidare a forte velocità e, a mio nipote,fumare erba in strada, ma non siamo autorizzati. Così funziona, appartenere alla società: se trovate una donna che le piace il ‘complimento’, fatelo pure, ma a porte chiuse, non in pubblico. Rispettate, quindi, lo spazio fisico e mentale degli altri.

(…)

Quando sorgono eventi come  #YesAllWomen e le donne di tutto il mondo iniziano a condividere le loro esperienze, i loro traumi, le loro storie e i loro punti di vista personali,non dobbiamo immischiarci nelle discussioni. Dobbiamo invece ascoltare e riflettere e lasciare che le loro parole cambino la nostra prospettiva. 
Il nostro compito qui e ora è chiederci come possiamo migliorare le cose.





(traduzione Lia Di Peri)

sabato 23 agosto 2014

Il fantasma di Dred Scott vaga per le strade di Fergurson

di Amy Goodman con la collaborazione di Denis Moynihan






Migliaia di persone hanno partecipato questa settimana alle manifestazioni contro l’uccisione da parte della polizia di Michael Brown, un giovane afro - statunitense, che era disarmato, nel quartiere di Ferguson, St. Louis, Missouri. Pochi giorni prima di andare al College, Brown è morto dissanguato a causa degli spari della polizia. In pieno giorno. La polizia ha lasciato il cadavere del giovane, in mezzo alla strada per quattro ore, dietro il cordone della stessa, mentre i vicini si avvicinavano osservando la scena con orrore. I cittadini hanno protestato indignati, proteste che la polizia ha brutalmente represso. Vestiti in tenuta paramilitare e dentro veicoli blindati, la polizia ha lanciato gas lacrimogeni, proiettili di gomma e bombe a mano e ha puntato armi automatiche contro i manifestanti. Moltissimi giornalisti e manifestanti che protestavano pacificamente sono stati arrestati.

 Le proteste si sono verificate in West Florissant Avenue a Ferguson. A quasi sette chilometri a sud dell’epicentro delle proteste, nella pace del cimitero di Calvary, riposano i resti di Dred Scott, un uomo nato schiavo, divenuto famoso per aver combattuto in Tribunale l’ottenimento della libertà. La decisione nel caso di Dred Scott, emessa nel 1857, è stata ampiamente considerata come la peggiore della storia della Corte Suprema degli Stati Uniti. La Corte decise che gli afrodiscendenti, schiavi o liberi, mai sarebbero potuti essere cittadini.





                                                     

                                                                

Dred Scott nacque in schiavitù in Virginia, intorno al 1799 (lo stesso anno in cui morì il presidente George Washington, un noto proprietario di schiavi in Virginia). Il padrone di Scott si trasferì dalla Virginia al Missouri, uno stato schiavista. Egli fu venduto a John Emerson, un chirurgo dell’esercito degli Stati Uniti. Nel 1847, Scott, presentò una domanda contro Emerson, davanti al tribunale di St. Louis, per rivendicare la sua libertà. Scott e la sua famiglia vinsero il giudizio e la libertà in prima istanza ma questa decisione fu poi revocata dalla Corte Suprema del Missouri. Il caso arrivò dopo alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Nella sentenza della Corte, il presidente Roger Taney, schiavista, scrisse: “ Un negro libero di razza africana, i cui antenati sono stati portati in questo paese e venduti come schiavi, non è un cittadino, in direzione di quanto stabilito dalla Costituzione degli Stati Uniti”. Fui così che la Corte dichiarò che tutte le persone afrodiscendenti, liberi o schiavi, non erano cittadini e mai lo sarebbero stati.

La sentenza dichiarò incostituzionale anche il Compromesso del Missouri, un accordo che lo trasformava in Stato schiavista, ma stabiliva che i territori del nord degli Stati Uniti, un paese che stava sperimentando una rapida espansione, sarebbero stati territori liberi e la schiavitù proibita. La decisione nel caso di Dred Scott, aprì questi territori alla schiavitù e fu considerata una vittoria per gli Stati schiavisti del sud. La sentenza sorprese tutto il paese. Abramo Lincoln invocò la decisione nel suo famoso discorso, noto come la "Casa Divisa". "Credo che questo governo non possa continuare in modo permanente, essendo metà schiavo e metà libero”, affermò Lincoln.
La sentenza Dred Scott avrebbe aiutato Lincoln a divenire il futuro presidente e contribuirà a spingere il paese alla guerra civile.



Il professore john a. Powell (che scrive il suo nome in minuscolo) tiene corsi su Dred Scott. Powell ed è un docente di diritto e studi afro-americani  presso l’University of California, Berkeley. Egli nota un legame tra quella terribile sentenza e i problemi che stanno attualmente attraversando gli Stati Uniti. Powell mi ha detto: “ Non abbiamo pienamente riconosciuto i negri e altre persone come cittadini a pieno titolo, come persone intere”.
Le manifestazioni a Ferguson sorgono in parte, egli dichiara, perché “ la comunità negra soffre l’eccessivo controllo della polizia e non è protetta”.

Ferguson simboleggia le profonde divisioni razziali, che persistono oggi negli Stati Uniti. Dal 1980, la città è passata da una popolazione a maggioranza bianca a una di maggioranza nera. Tuttavia, il sindaco è bianco. Il consiglio comunale è composto principalmente da persone bianche, così come il Consiglio d’Istituto. L’evento più indicativo per le proteste è forse, che cinquanta dei cinquantatré agenti di polizia siano bianchi. Il pastore Michael McBride, de Berkeley, California, si è recato a Ferguson, organizzando la comunità dopo l’assassinio di Michael Brown. Fermandosi in piedi, davanti a un blindato della polizia,  ha affermato che la violenza di quest’ultima è sistematica ed è conseguenza della “ paura irrazionale degli uomini negri. Se si ha così paura degli uomini neri, allora, non dovrebbero esserci poliziotti nelle comunità negre”.
Gli abitanti di Ferguson chiedono giustizia per Michael Brown e l’arresto di Darren Wilson, l’agente di polizia che l’ha ucciso. Diversi collettivi chiedono che un procuratore speciale s’incarichi del caso, che si ritiri da Ferguson, la Guardia Nazionale e che il Dipartimento di Giustizia dia inizio a un’inchiesta su tutti i casi in cui la polizia abbia sparato su persone non bianche, disarmate.
Dred Scott perse la causa davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1857, ma nel tempo, conquistò la sua libertà da un altro padrone. Scott, purtroppo, morì di tubercolosi, un anno più tardi, nel 1858. A pochi chilometri dal luogo dove giacciono i suoi resti, in mezzo alla nube di gas lacrimogeni, ancora riecheggia l’eco della sua vita e della sua lotta.


 democracy now

(traduzione di Lia Di Peri)