domenica 29 novembre 2015

L’associazione delle Donne Giudici in Spagna propone dodici punti di Giustizia verso l’uguaglianza.


La recente associazione delle Donne Giudici della Spagna ha presentato un manifesto dal titolo " 12 passi di Giustizia verso l’Uguaglianza” nel quale identificano con chiarezza i loro obiettivi. Una dichiarazione di principi per un mondo più giusto e più equo sottoscritto dalle 12 fondatrici giudici.

1.    Non una meno.  La violenza di genere nasce dalla disuguaglianza strutturale e beve dal modello di mascolinità egemonica. Vogliamo mettere le nostre risorse al servizio della presa di coscienza e nel lavoro di prevenzione del femminicidio da tutti i possibili fronti. Esigiamo dai governi politici statali che garantiscano la protezione - senza soluzione di continuità - di tutte le donne e la finiscano con i vuoti e chiusi discorsi che condannano la metà dell'umanità: difendiamo da adesso la giustizia e libertà per tutte.
2.   Statuto della Vittima del Delitto. E’ un nuovo strumento legale in vigore dall'ottobre 2015, che beneficerà soprattutto le vittime di reati con un impatto di genere. Questo statuto prevede per la prima volta, un catalogo dei diritti procedurali ed extra-procedurali a favore delle vittime di reati, che parte dal riconoscimento della dignità delle vittime, la difesa dei loro beni materiali e morali e, di conseguenza, l'intero della società. https://www.boe.es/diario_boe/txt.php?id=BOE-A-2015-4606.
Chiediamo l’assegnazione urgente di risorse umane e materiali necessari per la sua applicazione effettiva e reale. Non vogliamo leggi incompiute o,cosa è lo stesso, privi dei mezzi necessari affinché siano una realtà.
3.  Sextortion (Estorsione sessuale), un nuovo concetto per un vecchio male. Proponiamo uno specifico regolamento penale per questo fenomeno che è l’abuso di potere nel concedere un beneficio in cambio di sesso. Una vecchia e disgustosa pratica maschile che si alimenta con donne e bambine di tutto il mondo, preferibilmente in situazione di necessità che li rende ancora più vulnerabili davanti a quest’abominevole atto. Non possiamo avanzare verso l’uguaglianza, indebolendo la libertà sessuale femminile.
4.  Il doppio impatto della guerra sulle donne e le bambine. Le Guerre e conflitti armati sono particolarmente crudeli con le donne e le bambine. Si usa contro esse violenza sessuale come arma di guerra e rappresentano la maggioranza degli sfollati e dei rifugiati. Tale impatto non è tradotto, nonostante il suo valore e la capacità nella loro partecipazione alla soluzione del conflitto e nel successivo monitoraggio, il che rende difficile riparare i diritti violati, accresce le disuguaglianze e l'accesso alle opportunità di ricostruzione.
Chiediamo la necessaria inclusione e partecipazione delle donne alla risoluzione dei conflitti dalla fase della trattativa fino all’attuazione degli accordi raggiunti in condizioni di parità. La partecipazione delle donne nella costruzione e consolidamento della pace è essenziale per il recupero della comunità dopo il conflitto e perché l’armonia perduri nel tempo.
5. Educazione e Formazione. Il "Rapporto di Monitoraggio sull'educazione per tutti nel mondo" dell'UNESCO ha mostrato il divario educativo tra uomini e donne, come indicato nel precedente rapporto del 2013. Due terzi dei quasi ottocento milioni di analfabeti nel mondo sono donne. Nei paesi sviluppati la formazione riduce il divario salariale tra uomini e donne, contribuendo a migliorare la situazione delle famiglie.
          Proponiamo l'inserimento nei piani educativi (della Spagna) di programmi sulla parità di             genere e misure di stimolo per ridurre la dispersione scolastica e la collaborazione del               nostro Paese con le organizzazioni internazionali che promuovono la preparazione delle             donne.
6.  Breccia Salariale. La Commissione europea descrive il divario salariale come la "differenza media tra il salario degli uomini e donne per ora lavorata", ma è molto di più: è la constatazione come il mercato del lavoro sottovaluta il lavoro delle donne.  Consideriamo imprescindibile l’obbligatorietà dei piani di uguaglianza e regolari controlli in materia salariale per le imprese con più di 50 dipendenti, così come qualsiasi azienda che negozi con l’Amministrazione o riceva sovvenzioni pubbliche.
7.  Maternità, paternità e conciliazione – Vogliamo politiche attive per un'efficace conciliazione tra lavoro e vita familiare. Conciliare non è una scelta. Conciliare non è rinunciare. Conciliare è poter vivere una maternità e paternità responsabile in armonia con le aspirazioni di donne e uomini. Proponiamo un’estensione del concetto di maternità affinché le donne possano reintegrarsi nel lavoro dopo il parto, senza la perdita dei diritti e aspettative professionali e in condizioni vantaggiose per il neonato, nel pieno rispetto per l'allattamento al seno e la maturità biologica dei/delle figl*.
Proponiamo un prolungamento dl congedo paternale, con conseguenti effetti positivi sulla parità di genere in casa e al lavoro, favorendo cambiamenti nelle relazioni e nella percezione dei ruoli genitoriali così come gli stereotipi prevalenti.

8.  Molestia sessuale occupazionale.  La molestia sessuale sul posto di lavoro è considerata dal Comitato per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, raccomandazione del 1992, come una forma di discriminazione sulle donne, oltre ad essere un problema per la loro salute e sicurezza sul posto di lavoro. Tuttavia, la causa di discriminazione contro le donne continua a essere presente sul posto di lavoro, e porta per le donne che la subiscono importanti conseguenze psichiche, che comporta il silenzio sulla molestia sessuale per paura di non essere credute.
Tali situazioni devono essere totalmente sradicate per garantire il diritto costituzionale di uguaglianza, senza prevalenza di qualsiasi discriminazione per ragioni di sesso.
Chiediamo l'adozione di misure di prevenzione, supporto e visibilità. E 'necessario rafforzare le norme che disciplinano il divieto di molestie sessuali sul lavoro, per ottenere la massima efficienza e attuare misure di sostegno psicoterapeutico, mediante unità mediche specializzate che insieme all’assistenza legale gratuita facilitino la denuncia della molestia sessuale sul lavoro.

9.  La femminilizzazione professionale e le condizioni del lavoro. La donna è pienamente integrata nel mercato del lavoro (spagnolo) ma le sue condizioni lavorative sono ancora inferiori rispetto al collettivo maschile e la contrattazione collettiva è uno degli strumenti per avanzare in questa materia. Esistono settori femminilizzati che hanno condizioni lavorative precarie e nei settori che servono lo stesso numero di uomini e donne, ci sono categorie / posti di lavoro femminilizzati che, comparativamente, hanno condizioni di lavoro più precarie. Pertanto, è necessario realizzare uno sforzo formativo e d’informazione per superare questa situazione e ottenere che, mediante la contrattazione collettiva, si stabiliscano sistemi di valutazione del posto di lavoro, di classificazione professionale e di promozione professionale che favoriscano entrambi i sessi.
10. Contro la doppia discriminazione delle donne migranti. Le drammatiche circostanze nelle quali centinaia di migliaia di persone intraprendono un progetto migratorio sono particolarmente umilianti nel caso delle donne e delle bambine. Alla fuga dalla fame, dalla miseria e dalla guerra, si aggiunge una situazione di assoluta vulnerabilità in cui le donne sono spesso trattate come una merce soggetta a sfruttamento lavorativo o sessuale. Una volta che raggiungono la loro destinazione questa situazione, si perpetua, in modo che in una terra di presunta libertà sono destinate a riprodurre gli stessi modelli di dominio da quali hanno cercato di fuggire. Di fronte a ciò c’è bisogno di una reazione urgente ed efficace.
E 'necessario che nelle politiche di asilo si tenga in conto il rischio di discriminazione di genere, come fattore determinante per la concessione, in un modo molto più ampio rispetto a ciò che prevede l’attuale legislazione. Devono concretarsi le possibilità di attuazione in materia di protezione delle donne vittime della Tratta di esseri umani, così come per gli organismi competenti a conferire questo status, oggi esclusivamente nelle mani della polizia.
Devono svilupparsi politiche attive d’integrazione delle donne migranti, in modo da garantire che il cambiamento ipotizzato non si limiti a un semplice movimento fisico, ma costituisca l'occasione per una reale uguaglianza.
11. Le donne nella magistratura e la loro sotto-rappresentazione nei posti di alta responsabilità. Delle 5352 che attualmente fanno parte della magistratura, il 52 per cento sono donne e il 48 per cento uomini. L'età media mostra una differenza minima tra uomini e donne (19,2 anni per gli uomini e 14,4 anni per le donne). Solo il 13 per cento delle persone che compongono la Corte Suprema sono donne.E nel novero dei giuristi di riconosciuta competenza, le 13 persone che hanno accesso alla Corte Suprema, sono uomini e non è stata nominata nessuna donna.
Chiediamo che negli spazi di designazione discrezionali nella magistratura, l'adozione di misure positive fino a che si equipari la rappresentanza di donne e uomini senza che l’anzianità sia un merito. A parità di meriti sarà nominata una donna a occupare detti spazi.
12.   Visibilizzazione femminile nel linguaggio. Il linguaggio è più delle parole. Esso è il riflesso del pensiero ed è lo strumento attraverso il quale non solo si nomina la realtà, ma s’interpreta. Il linguaggio androcentrico è il riflesso di una realtà nella quale l’uomo è la misura di tutte le cose e noi donne siamo l’eccezione alla regola di espressione universale, trasformando il femminile in qualcosa d’inferiore o subordinato. L'uso del maschile riproduce e occulta la disuguaglianza tra uomini e donne. Il linguaggio non sessista può diventare un potente strumento per il cambiamento. Proponiamo che, nell’ambito di tutte le amministrazioni pubbliche ma, soprattutto, nel campo della giustizia, si adottino politiche che promuovano ed esigano l’uso non sessista del linguaggio in tutta la documentazione.
          Chiediamo che la normativa attuale e quella futura sradichi tutte le forme di linguaggio               androcentrico.
Le partecipanti dell'Associazione delle Donne Giudici della Spagna (AMJE). Novembre 2015.

 Confilegal.com

(traduzione a cura di Lia Di Peri)


venerdì 13 novembre 2015

Legalizzare la prostituzione per compiacere il prostitutore.

Ana Cuervo Pollán







La prostituzione è sempre stata una questione controversa. Recentemente, il dibattito si è ravvivato da quando Ciudadanos (il partito arancione, neo-liberista, omofobo e xenofobo, che si rifiuta di condannare il regime di Franco e la violenza contro le donne) si è espresso a favore della regolamentazione della prostituzione. Da un lato c'è la corrente regolametarista formata, nel  migliore dei casi, da persone di buona volontà che credono che legalizzando la prostituzione, le prostitute godranno di più diritti lavorativi.

Purtroppo, questo è confutabile. In paesi come la Germania e l'Olanda essa è legalizzata: le prostitute sono ancora controllate dalla mafia, i loro diritti sono sistematicamente ridotti, le loro giornate estenuanti; le autorità, come sempre, guardano dall’altro lato.  Mentre nel peggiore e più numeroso dei casi, i prosseneti vedrebbero dall’oggi al domani, la loro attività criminale diventare un affare legale e riconosciuto socialmente. I prostitutori saranno anche molto orgogliosi che il loro diritto di disporre del corpo delle donne per il loro piacere diverrà un diritto riconosciuto e legalizzato: pertanto, normalizzato.
Dall’altro lato abbiamo il femminismo abolizionista. Da questa posizione, noi crediamo che la prostituzione sia una forma di violenza machista. La pensiamo così, perché quest’attività comporta porre il corpo al servizio della volontà degli uomini che si credono in diritto di avere sempre una donna disposta a soddisfare le loro necessità sessuali senza fiatare.
Noi abolizioniste siamo state infamate fino all’inverosimile: ci considerano le custodi di una sessualità tradizionale che stigmatizza le donne che godono liberamente del loro corpo. Questo è falso e facilmente smontabile. Il femminismo abolizionista, mette in discussione una sessualità etero - normativa e coito-centrica che parte dall’assunto che le donne ci sono per soddisfare sessualmente gli uomini. Al contrario, il femminismo abolizionista difende le relazioni sessuali ugualitarie, libere, consensuali, reciproche e piacevoli. (ovvero, tutto quello che non entra nella testa di un puttaniere). Difendiamo il concetto che noi donne siamo padrone dei nostri corpi e godiamo di essi, come, quando e con chi desideriamo farlo. O di stare da sole. Pertanto, non v’è alcun motivo razionale per dipingere le abolizioniste come  quelle che difendono una sessualità ristretta, puritana o normativa. Piuttosto il contrario. E' la prostituzione che silenzia, ammutolisce, usa e subordina le donne ai suoi desideri, fantasie, gusti e bisogni sessuali, per servire i prostitutori e i loro desideri. Lo affermano le prostitute “ I prostitutori vengono a fare con noi, ciò che le loro donne non sopportano”. Noi abolizioniste siamo anche accusate di non ascoltare le donne prostituite, di ammutolirle, di infantilizzarle. Tuttavia, noi traiamo le conclusioni dalle loro testimonianze, dai dati che la realtà ci lancia. La maggior parte di loro sono vittime di tratta, circa il 90% e, in più, vivono situazioni di vulnerabilità (povertà, minacce ...). Questo non lo dicono solo quelle che vogliono l’eliminazione della prostituzione: lo dicono loro. E' sorellanza e non paternalismo ciò che esercita l’abolizionismo: è riconoscerle eguali e da uguali rivendichiamo la loro libertà. E lottiamo consapevoli che siamo compagne della stessa lotta: la lotta contro l’oppressione del patriarcato.
Lotto e lotterò per l’abolizione della prostituzione.  Il patriarcato e il capitalismo riproducono questa brutale forma di violenza contro le donne; il primo teorizza le donne come oggetto per la soddisfazione dell’uomo. Il capitalismo dice che ogni oggetto (e persona) è in grado di essere acquistato e sfruttato al fine di trarne profitto. Perché sono una femminista, voglio che le donne godano della loro sessualità libera, reciproca senza costrizione: che nessuno le compri o le venda per compiacere un macho.
Perché sono anticapitalista, credo che non tutto si compri e si venda; che le persone sono fini e non mezzi da cui trarre profitto, strumenti con i quali battere cassa. Per questo dico che il sesso e il piacere sono l'esatto contrario della realtà della prostituzione. Chiedo il perseguimento di cliente (come maltrattatore) e delle mafie (per tratta delle donne) e una vita pacifica e libera per tutte le prostituite, che credo meritino di non essere costrette a qualunque situazione indesiderabile.
Il problema non sono le prostitute, sono i puttanieri.

Leonoticias.com

(traduzione di Lia Di Peri)


mercoledì 30 settembre 2015

E il verbo si fece uomo : " Hombrear"

Miguel Lorente Acosta, medico forense, docente preso l'Università di Granada.





Hombrear… questo deve essere il famoso verbo che tutti tacciono, che è stato assunto nel corso della storia ma senza chiamarlo direttamente per nome, forse perché per lungo tempo non è stato necessario. Ora le cose sono cambiate.

“Hombrear” vuol dire "fare le cose come si aspetta da un uomo secondo i parametri stabiliti dalla cultura patriarcale." Questa è stata una delle chiavi per perpetuare il modello patriarcale dei fatti e i fatti sopra quel modello di machismo. C'è stato un tempo in cui non era necessario "hombrear" in modo così esplicito, poiché l'ordine dato non era messo in discussione né sfidato con comportamenti alternativi.
Gli uomini hanno un ruolo chiaro e definito con spazi e tempi propri e le donne i loro ma all’ombra dei primi. Non c’era conflitto e se si fosse prodotto, la soluzione passava attraverso il criterio maschile, il quale lasciava indenne il sistema da ogni critica o messa in discussione. Il femminismo però ha rivelato l’ingiustizia della disuguaglianza e la costruzione mirata della normalità a vantaggio degli uomini; così le alternative si sono ampliate e il valore dell’uguaglianza ha arricchito quegli uomini che sarebbero rimasti sotto i riferimenti tradizionali. Non solo, quindi, hanno perso spazio per ottenere i loro privilegi ma l’identità maschile costruita su questi riferimenti è andata dissolvendosi. Per questo alcuni hanno bisogno di rivendicarsi e chiedere la restaurazione dell’ordine perso attraverso la riproduzione di comportamenti maschili più classici e tradizionali che si trovano nel "hombrear".
E l'essenza della mascolinità tradizionale e del machismo passa per avere qualcuno vicino per mostrare le loro condizioni. Gli uomini hanno bisogno di comportarsi come uomini e segnare le distanze con le donne. Da qui,  essi mostrano sia il rifiuto sia la violenza contro chi li stia mettendo in discussione come, succede contro l’omosessualità di altri uomini, cosa che non accade nelle donne nel caso dell’omosessualità femminile o che si rifiutino di assumere ruoli, spazi, colori, abitudini ... associati alle donne. Tutto ciò lo vivono come un attacco alla loro identità, una specie di denaturalizzazione del maschile contro cui essi devono “hombrear” affinché nessuno li confonda con il femminile.
La scelta dello spazio pubblico come naturale per gli uomini li porta a esibire questa virilità e a impermeabilizzarsi in lei come garanzia di continuità. Per questo motivo la cosa più importante per questi uomini, non è risolvere le cose neppure a loro favore ma agire e comportarsi come uomini, anche se in questo modo il risultato si rivolterà contro di loro.

Non ha senso che quanto più è progredita la società verso l’uguaglianza e quanto più si è incorporata questa come parte delle relazioni, più violenza di genere si produca, come dimostrano le successive Macro-inchieste del 2006, 2011 e 2015, passando da 400.000  di casi all’anno, a 600/700 mila. E non ha senso che continuino gli omicidi per violenza di genere con l’insorgenza di comportamenti criminali di estrema crudeltà, come sta succedendo con lo uccidere i/ figl* per fare del dolore e della sofferenza la ragione vitale delle loro ex mogli.
Non ha senso, ma succede, che ci sia una reazione post-machista che cerchi di attutire l'impatto della realtà tra cotoni di confusione e giustificazione, mentre “hombrean” ( virilizzano), l’odio per tutto ciò che non sia la loro mascolinità e si mantenga la loro cultura e in tal modo incitare altri uomini a continuare a ‘farsi uomini’ per mezzo della violenza.
Per loro è più importante  essere visti come uomini, anche in prigione per la violenza esercitata,che essere considerati dei buoni a nulla. In effetti è molto significativa la terminologia che il post-machismo crea per l’occasione e, tra questa,quella che si rivolge agli uomini pro-femministi, che lavorano per l’uguaglianza, cioè, la parola “ mangina”allo scopo di criticarli per la loro identificazione con le donne. Uniscono la parola uomo (man) con la parola vagina per comporre “mangina” e con essa l’idea di uomini che si piegano alle donne, vale a dire, il tradizionale calabrache ma in versione post-machista. Quest’atteggiamento mostra che ciò che più li preoccupa e inquieta non è la distribuzione di tempo e spazio, ma la modifica delle identità tradizionali di uomini e donne.’
 La chiave in tutta questa costruzione è un doppio riferimento: nella dimostrazione e nell’azione. Cioè, mostrare la condizione data, questa virilità presunta e agire su di essa in modo coerente. Ottenendo così un doppio rinforzo e un doppio legame : di fronte a se stesso e di fronte alla comunità dei pari cioè agli altri uomini. E, in questo modo, segnare la differenza con le donne come gruppo ; per loro esser “uomini”non è essere “donne” e questo significa non fare ciò che fanno le donne che è ciò che vanta il neo acquisto del Real Madrid, Mateo Kovacic: "Io non cucino e mai lo farò. Non è il mio lavoro. È quello della donna”.
 Riconoscimento tra pari è ciò che permette l'accesso ai benefici che la cultura ha riservato agli uomini nella società. Alcuni privilegi quando raggiungono il valore più alto si anno più esigui, da qui, la competitività, l'aggressività e la violenza sono parte di questa "hombrear" tra gli uomini in ambito pubblico.
Per poter però entrare nel terreno  di gioco della vita pubblica,gli uomini non solo devono essere tali ma devono anche sentirsi tali, e per questo hanno un riferimento comune a prescindere dalla loro situazione personale, sociale o geografica. In qualsiasi parte del mondo e indipendentemente dalla classe o condizione di uomini, la disuguaglianza esistente fa sì che essi abbiano sempre la possibilità di sentirsi superiori alle donne dai riferimenti stabiliti dalla cultura patriarcale. Una superiorità protetta, nella pratica, dalla società, che trattandosi di un’ingiustizia deve però essere rafforzata e controllata per evitare che la critica e i progressi in direzione dell’uguaglianza, ogni volta più intensa, ampia e determinata, possano superare i limiti imposti e traboccare. Gli uomini, quindi, hanno bisogno di "hombrear" di fronte alle donne per “sentirsi più uomini” e “essere più uomini”; per questa ragione, dopo gli omicidi di genere, gli assassini spesso si consegnano volontariamente alla polizia o si suicidano in un doppio atto di “virilità”: dapprima con l’omicidio e, dopo, con la rivendicazione della loro virilità mediante la decisione di accettare le conseguenze dei loro atti sia socialmente con i corrispondenti anni di prigione o innalzando la loro responsabilità alla trascendenza di consegnare la propria vita con il suicidio.
“Hombrear” è fare l’ uomo secondo i riferimenti tradizionali e diventarlo per ottenere i benefici materiali riservati dalla stessa cultura che lo porta a “hombrear” (virilizzare) ma, soprattutto, per consolidare i riferimenti d'identità della mascolinità classica. Per questo in un tempo in cui trasformazione sociale è guidata dalle donne, molti uomini si trovano disorientati e persi. Se essere uomini, è non essere donne e ora le donne sono cambiate e l’hanno fatto in direzione dell’accesso a posizioni,tempi e spazi riservati storicamente agli uomini, molti di loro sono retrocessi agli elementi più classici della loro identità per continuare a sentirsi uomini. Questa è una delle ragioni dell'aumento della violenza di genere e del fatto che questi cambiamenti si manifestano in modo intenso nei giovani, perché sono nei momenti critici della costruzione dell’identità in cui i cambiamenti e le trasformazioni sociali e personali generano una maggiore agitazione.
 “Hombrear” però è anche “ farsi uomo senza sentirlo” , vale a dire, seguendo i dettami di una cultura senza esserne convinto e senza condividerlo individualmente ma lasciarsi trasportare dal gruppo e dalla sua normalità imposta. Questo accade perché non comportandosi così, le critiche e i rifiuti comportano conseguenze negative di fronte al mancato riconoscimento di modelli alternativi d’identità maschile.
Il post- machismo lo sa, per questo lancia messaggi che rafforzano i riferimenti tradizionali della mascolinità, mentre riscatta al contempo, i miti e gli stereotipi critici con le donne e per questo ha nei giovani un obiettivo speciale. E’ certo che sia solo l'ultima resistenza tra l’odio che perdura e il romanticismo di ieri, che accompagna il fallimento ma che può produrre molti danni.
Il verbo che definisce il futuro è “ uguagliare” e la parola “Uguaglianza”. Molti uomini dovrebbero impararlo e comportarsi di conseguenza.



(traduzione di Lia Di Peri)

domenica 13 settembre 2015

Perché gli uomini vanno a puttane?

Octavio Salazar, docente di Diritto Costituzionale presso l'Università di Cordova.





La presentazione nel tempio, Fernando Bayona
Lo scorso 10 marzo sono stati presentati presso la Facoltà di Giurisprudenza, Economia e Commercio dell’Università di Cordova, i risultati della ricerca dal titolo Mascolinità e consumo della prostituzione in Andalusia, realizzata da un gruppo di sociologi della Fondazione Iniciativa Social su incarico del Centro  Studi Andalusi. Lo studio ha raccolto le opinioni di 40 uomini andalusi tra i 18 e i 70 anni, consumatori di prostituzione, che sono stati raggruppati in cinque categorie: proprietari terrieri, operai, dipendenti urbani, giovani metropolitani e omosessuali urbani. Tra i risultati, si osserva che tutti i partecipanti ai gruppi di discussione, a prescindere dalla loro origine sociale, sono d'accordo sulla necessità sessuale come innata alla condizione maschile. Di conseguenza, essi ritengono che pagare per il sesso è un atto sociale che non dovrebbe rifiutarsi, anche se c’è accordo nel rifiuto sia della tratta sia degli abusi sui minori. In tutti i casi, il consumo di sesso a pagamento è spesso legato alla celebrazione del tempo libero in gruppo. Vale a dire, con la celebrazione di feste di uomini nella quale sono essenziali la dimostrazione e l’esaltazione della virilità. L'importanza di questo studio, di là dagli argomenti che può offrire il complesso dibattito sulla regolamentazione o, se del caso, l'abolizione della prostituzione, risiede nel rilevare le cause strutturali che continuano ad alimentare una determinata comprensione della sessualità caratterizzata dalle relazioni di genere o, che è lo stesso, dalle relazioni di potere tra uomini e donne che il patriarcato continua a impostare. V’è quindi, una chiara linea di continuità tra la costante oggettivazione sessualizzazione del corpo delle donne, tanto presente nella nostra cultura e il corrispettivo consumo di sesso a pagamento, come espressione di virilità, che continua a rispondere agli imperativi categorici dell’uomo considerato soggetto attivo e indiscusso titolare del potere e dell’autorità. Tuttavia, il salto di qualità che si è verificato negli ultimi decenni, come si è ben rilevato nella tavola rotonda seguita alla presentazione dello studio e alla quale sono intervenut* la docente Rosa Cobo Bedía, il sociologo co-autore del rapporto Hilario Sáez, è il collegamento di queste pratiche con l’industria del tempo libero e del divertimento globalizzato, sostenuto dagli eccessi del capitalismo neo-liberista.


La prostituzione sarebbe diventata la prova più evidente della stretta connessione tra patriarcato e il capitalismo, che è stata rafforzata negli ultimi anni dalle letture neo-machiste del primo e neo-liberiste del secondo. Una somma che provoca ovviamente un drammatico aumento della vulnerabilità delle donne e, come tutte le statistiche, mostrano una più che evidente femminilizzazione della povertà. La visione cumulativa del piacere, che con tanta insistenza rilevano i mezzi di comunicazione e, soprattutto, i messaggi pubblicitari, si allea con una concezione della mascolinità che continua rispondendo agli schemi dl macho dominante che provoca, tra le altre conseguenze, che i ragazzi e le ragazze più giovani, riproducano modelli terribilmente machisti nelle loro relazioni affettive, e in particolare nella loro concezione della sessualità. Se a questo si aggiunge la scarsa, se non assente, educazione che i nostri figlie e figlie, ricevono in materia, il risultato non è altro che la conquista dello spazio dalla logica predatoria della pornografia, e il superamento dei criteri etici della deregolamentazione, tipica del mercato selvaggio. Così, e come ha ben detto Rosa Cobo, nella prostituzione convergono i perversi effetti di tre sistemi di dominio: il patriarcale, il capitalista neo-liberista e il razziale culturale. La loro combinazione prolunga la etero - designazione delle donne in virtù delle pratiche di dominio e oppressione degli uomini, mentre si naturalizza l’andare a puttane come si fa con la disuguaglianza.
Il peso economico dei macro-bordelli, dell’industria pornografica o degli annunci di contatti che in molti casi sono diventati i salvatori di alcuni giornali in fallimento, rafforza e riproduce gerarchie di genere. Cioè, si mantiene e sottolinea la forza di una mascolinità detentrice del potere, mentre s’intensifica la negazione dell'autonomia delle donne e la sua svalutazione in un ordine sociale ed economico in cui restano le più vulnerabili tra i vulnerabili. Di conseguenza, non stiamo parlando di un mestiere, il più antico del mondo con le parole del patriarca, ma di una conseguenza alla quale sono costrette molte donne che non sono ovviamente libere perché vivono in un contesto di sottomissione, mentre continua una pratica sociale attraverso la quale molti uomini – uno su quattro – secondo il citato rapporto, riaffermano la loro virilità e mantengono la fantasia dell’asse binario controllo/sottomissione per la quale non occorre altro passaporto che il denaro.
Pertanto, e di là dalla complessità giuridica e politica che comporta una possibile regolamentazione di questa pratica, credo che la prostituzione, come molte altre espressioni di ordine culturale e politico basato sul predominio maschile, non possano essere affrontate senza tener conto delle cause strutturali che le provocano e le alimentano. Cause che, ribadisco, hanno molto a che vedere con i sistemi di dominio che si alimentano a vicenda, patriarcato e capitalismo, e nelle quali noi uomini godiamo di una posizione privilegiata. Solo da questo sguardo di genere e tenendo conto della prospettiva liberatrice ed emancipatrice del femminismo, sarà possibile trovare vie d’uscita per alcuni vicoli ciechi in cui molti milioni di donne nel mondo sono costrette a rinunciare alla loro autonomia e dignità. Pertanto, la domanda che dovremmo cominciare a considerare, oltre a non rinunciare alla solidarietà per le donne che sono costrette a prostituirsi, sarebbe non solo per queste donne ma anche e, soprattutto, perché ci sono ancora tanti uomini disposti a usare i loro corpi come se fossero una merce di più.

lashoras

( traduzione di Lia Di Peri)

domenica 16 agosto 2015

Perché gli uomini uccidono le donne?

Coral Herrera Gómez





Gli uomini uccidono le donne in tutto il mondo, perché sono stati educati e continuano a essere educati, in modo che risolvano i loro conflitti mediante la violenza; per questo la maggior parte di loro la usa per tutta la loro vita per ottenere ciò che vogliono o per risolvere i loro problemi.


Gli uomini uccidono le donne perché si credono i padroni delle loro compagne dei loro figli e figlie, della sua casa, della sua auto, del suo cane. Si sentono molto superiori e come proprietari fanno ciò che vogliono con loro.
Gli uomini uccidono le donne perché sono stati educati fin dall’infanzia per essere i Re assoluti della famiglia e dittatori in casa. I bambini imparano che i veri uomini sono sempre rispettati, obbediti e adorati e che, solo per essere uomini godono dell’amore incondizionato ed eterno, specialmente se gli/le altr* dipendono dalle loro risorse economiche.


Gli uomini uccidono le donne, perché in televisione siamo rappresentati come oggetti di possesso
che possono essere comprati e venduti, che possono essere violati e maltrattati, che provano abitualmente piacere nell’obbedire e assoggettarsi e che sono qui per soddisfare i desideri di qualsiasi uomo che possegga denaro. E come qualunque oggetto se non serviamo o non obbediamo, ci possono distruggere impunemente, perché la stampa lo chiamerà “ crimine passionale” e spiegherà “le sue ragioni”.
Gli uomini uccidono le donne perché la maggior parte non sa gestire le loro emozioni e vivono prigionieri della loro sofferenza, delle loro paure, del loro dolore, dei loro traumi, delle loro insicurezze, dei loro brutti ricordi, delle loro carenze affettive e dei loro più intimi problemi. Quanto più paura e dolore accumulano più drammaticamente si pongono. Quanto più insicuri si sentono più violenti sono.

Gli uomini uccidono le donne perché sono machisti : credono che nel mondo alcune persone siano migliori di altre e nessuno più di loro si colloca dalla nascita in cima alla gerarchia socio-economica e gli si regala una serie di privilegi: migliori salari, posti politici e imprenditoriali più alti, la proprietà di tutte le terre del pianeta è nel loro possesso (oltre l'80%). Essi governano in maggior misura rispetto alle donne, essi sono i padroni delle banche, delle imprese, dei mezzi di comunicazione; essi hanno i beni e le risorse che danno potere sugli altri e in particolare, sulle donne. Noi siamo per i machisti, come gli animali: un oggetto che si vende, si compra, si affitta, si scambia come bestiame, del quale si gode, si sfrutta, si mutila e si maltratta.


Gli uomini uccidono le donne perché la nostra cultura amorosa è patriarcale e si fonda sull’egoismo,sulla sofferenza, sulla disuguaglianza, sulle relazioni verticali, sulle lotte di potere. Il capitalismo romantico ci fa egoisti, il romanticismo patriarcale perpetua i miti romantici ed esalta il dolore come via per raggiungere l’amore. Il romanticismo patriarcale si basa sulla doppia morale sessuale, sul piacere della sofferenza, sulla dipendenza emozionale femminile, sulla violenza di genere, sull’odio come forma di relazione , sullo schema del dominio e sottomissione o su quella del padrone e dello schiavo.  Gli uomini si sono convinti che le donne sono buone o cattive e continuano ad avere paura della nostra libertà e autonomia, della nostra sessualità ed erotismo, perché non sanno come rapportarsi a noi come eguali. Sono stati educati a sentirsi adorati, rispettati e necessari, non per costruire relazioni egualitarie.
Gli uomini uccidono le donne perché non sopportano le sconfitte.  Non sanno gestire una rottura sentimentale, non gli hanno insegnato che la gente può liberamente seguire il proprio percorso, che nulla ci appartiene,che tutt* siamo liberi di unirci e separarci.  I bambini che sono educati patriarcalmente alla competitività più spietata non hanno gli strumenti per interagire sul piano dell’uguaglianza, hanno necessità di sentirsi vincitori e per questo una rottura sentimentale la vivono come un fallimento. Non dispongono di strumenti per superare il dolore, non possono parlare con nessuno per non sentirsi deboli o perdenti, non hanno nessuno cui rivolgersi quando si sentono disperati, perché si preoccupano più di dare un’immagine di forza e potenza. Non possono sfogarsi, non sanno chiedere aiuto e la televisione non smette di inviare loro messaggi di legittimazione e normalizzazione dell’uso della violenza quando si è costretti a difendersi o difendere le loro proprietà.




Gli uomini uccidono perché gli eroi maschili ammazzano e sono pieni di gloria. Il dio della nostra epoca è un dio guerriero, un maschio mitizzato per la sua forza e violenza. Nella pubblicità, nei fumetti, nei film, nei videogiochi, si rende culto ai guerrieri assassini siano essi androidi o cavalieri medievali.  Tutti i nostri eroi raggiungono i loro obiettivi mediante la violenza, per questo i film si sviluppano fra proiettili, bombe, frecce, colpi, pugni, machete e scene di tortura e dolore. La maggior parte dei film nelle sale cinematografiche rappresentano maschi alfa, armi e sangue, urla e violenza. In tutti, l’eroe esibisce la sua forza, il suo coraggio e la sua capacità di annientare chiunque nel suo cammino… gli effetti speciali e la musica della spettacolare fiction aumentano il suo potere seducente sugli spettatori e spettatrici, che ammirano la sensualità della violenza patriarcale e la poesia del virile sacrificio.


Gli uomini uccidono le donne perché sentono di aver sacrificato molto per essere quello che sono e che ciò gli dia il potere sulla vita di altre persone.  
Ai bambini insegniamo che se vogliono essere eroi e avere potere e fama , se vogliono essere il numero uno, se vogliono essere i migliori in tutto, devono sacrificarsi per ottenerlo. Il premio è molto seducente: se sei un macho patriarcale vincente avrai l’ammirazione e il rispetto di tutti gli altri machi e molte donne sospireranno per te e per la tua bellezza, per il tuo coraggio, il tuo potere, le tue risorse. Il sacrificio, però, è terribile: dovranno mutilarsi emotivamente, imparare a non piangere in pubblico, imparare a nascondere la loro vulnerabilità, a non esprimere emozioni e apparire freddi come un iceberg. Essi possono scatenare la loro rabbia o la loro frustrazione ma non emozioni come la tenerezza, l’affetto, la tristezza, la paura o l’amore. Queste sono cose da donne, queste persone imperfette, deboli e vili alle quali nessuno vuole somigliare.

Gli uomini uccidono le donne perché anche gli altri uomini uccidono le donne e perché nella guerra tra i sessi, le donne sono le nemiche.  Il sacrificio patriarcale comporta abbandonare il mondo delle donne per diventare un “vero uomo”, abbandonare il nido materno e unirsi solo ai propri pari, vale a dire, ai maschi che dimostrano di essere tali. Per non scendere nella gerarchia sociale gli uomini devono fornire costante prova della loro mascolinità per non essere paragonati alle donne, ai bambini agli omosessuali. Per evitare di perdere l'onore o di essere preso in giro nell'ambiente maschile, i giovani devono dimostrare costantemente la loro virilità: l'obiettivo è di guardare e sentire all'opposto di una donna. Da giovanissimi, gli si insegna a proteggere la loro libertà e a difendersi dall'enorme potere sessuale delle donne. Gli uomini machisti credono che innamorandosi perdano il loro potere, per questo hanno bisogno di sentire che controllano i loro sentimenti, che non si lasceranno manipolare dal nemico e che possono ucciderlo se non riescono a dominarlo. Se il nemico non si sottomette, si uccide, come in tutti i film e i racconti patriarcali, come in tutte le guerre tra i popoli.

Gli uomini che uccidono le donne per prima cosa sono terroristi: seminano il terrore in casa per anni e instaurano una sorta di guerra in cui lui è l’unico soldato armato. Essi impongono le norme e le fanno rispettare, esigono obbedienza e sottomissione, prendono decisioni e stabiliscono punizioni, pretendono che una o più donne soddisfino le loro necessità di base(sesso, cibo, igiene, cura e coccole, discendenza). Gli uomini machisti vogliono essere rispettati, ammirati, obbediti e hanno bisogno di sapersi necessari e imprescindibili, per questo esigono amore eterno e incondizionato, per questo vogliono essere i padroni assoluti, per questo credono di meritare il perdono quando si comportano male.

Gli uomini uccidono le donne perché godono di impunità e perché alla pubblica opinione non sembra così grave che, un uomo, ammazzi la “sua donna”,per questo pubblicano la notizia nella sezione “avvenimenti”, nonostante non sia un evento straordinario, perché le donne muoiono ogni settimana. Per perdere questa impunità è necessario che gli uomini condannino la violenza di genere e che i governi smettano di girarsi dall’altro lato, come se fosse una cosa da poco.

Gli uomini uccidono le donne perché non chiedono aiuto né lavorano per smettere di essere violenti e dominanti. Né i governi sembrano preoccuparsi per la quantità di adolescenti che dominano e maltrattano le loro compagne né per i bambini che sono assassinati in ogni femminicidio né per i bambini che riproducono il comportamento violento dei loro padri con le loro partner quando crescono. Né le istituzioni né la società puntano a insegnare la cultura del buon trattamento e l’uguaglianza agli uomini e i Media ci bombardano con immagini violente. Solo quando gli uomini fanno molto danno e causano molto dolore gli si offre la terapia o il carcere o entrambi.
Proposte per porre fine  al terrorismo machista e alla violenza di genere.

Io credo sia essenziale porre l’accento sulla responsabilità che hanno gli uomini per la violenza in tutto il mondo, chiedere che imparino a relazionarsi in altri modi e a comunicare per risolvere i conflitti senza violenza .  Essi non possono più rinviare il lavoro su di sé per de-patriarcalizzarsi e acquistare strumenti propri per affrontare la vita senza paura e senza violenza.
Gli uomini devono disporsi in mucchio, muoversi e unirsi al cambiamento che si avvicina : l’uguaglianza e il femminismo giunsero per affermarsi e i progressi sono inarrestabili. Sono sempre più i gruppi di uomini egualitari e anti-patriarcali che hanno cominciato a lavorare individualmente e collettivamente ma sono ancora una piccola minoranza (che ammiro).

La velocità con cui stiamo cambiando, implica che gli uomini debbano adattarsi e mettere da parte la tradizione dei privilegi machisti e il sogno molliccio di possedere una serva – moglie che lo esaudisca devotamente e all’infinito.
Devono smantellare tutto il patriarcato individuale e, collettivamente, imparare a fare autocritica amorosa,imparare a esprimere le loro emozioni, a comunicare orizzontalmente e trattare le donne come uguali, rinunciare a sentirsi superiori o inferiori gli altri, sbarazzarsi dalla necessità di vincere, conoscersi meglio e lavorare per essere persone migliori. I compiti che gli uomini hanno davanti sono molti e vari ma quanto prima iniziamo a detronizzare il macho alfa, prima la finiremo con gli stupri, gli abusi, le aggressioni e gli omicidi compiuti dagli uomini machisti.
Penso che possiamo porre fine a questo massacro di donne e bambini solo se la smettiamo con la disuguaglianza e il machismo e l’esaltazione poetica della violenza nei film e fiction. Abbiamo bisogno di rivoluzionare tutte le nostre strutture, porre fine alla cultura che celebra la violenza e il potere maschile per creare altra cultura più equa e pacifica, che promuova il bene comune, il buon trattamento, la diversità e l’amore.

Altre proposte per porre fine ala violenza di genere:

- Educare i bambini e le bambine ai valori del femminismo, dell’uguaglianza, diversità e solidarietà.

 -Imparare fin dall'infanzia a lavorare alla gestione delle emozioni. Allontanare i bambini dalle armi, insegnarli a divertirsi senza competere, insegnarli a condividere e a non discriminare.
- Demitizzare e depatriarcalizzare l’amore romantico per porre fine alle relazioni di dipendenza fondate sull’asse dominio/sottomissione.
 - Porre fine alle lotte di potere nelle nostre relazioni personali, con l’egoismo e lo sfruttamento degli uni sulle altre. Imparare a condividere, a lavorare insieme e relazionarci in modo orizzontale in uguaglianza.

- Consapevolizzare e formare i media e i giornalisti affinché evitino di fomentare la violenza contro le donne attraverso i miti e gli stereotipi machisti inclusi nelle loro notizie.

 - Richiedere ai governi che aumentino la tutela delle vittime e mettere in atto politiche di uguaglianza, che permettano alle donne di raggiungere l’autonomia economica e la garanzia dell’esercizio delle sue libertà.
 - Chiedere che i Media e le industrie culturali smettano di mitizzare la violenza come qualcosa di sublime e di grande.
  - Porre fine all'impunità degli aggressori e dei femminicidaEsigere dal governo politiche educative di prevenzione, assistenza e appoggio agli uomini che vogliano uscire dalla spirale della violenza in cui sono mediante la terapia e la formazione.
-   - Sensibilizzare le persone creative che scrivono racconti, sceneggiature, opere teatrali, canzoni, video-giochi, ecc., affinché non continuino ad adorare la figura sacralizzata del macho che ammazza e abbiano il coraggio di detronizzare gli eroi che uccidono, inventando altre trame, altri finali, altri protagonisti, altre mascolinità e altre femminilità che non siano patriarcali.

- Rendere visibili gli uomini femminista che lottano contro la violenza di genere, unirci tutt* nell’estirpamento di questa piaga sociale.


(traduzione di Lia Di Peri)

domenica 2 agosto 2015

Adiós al macho

Carlos Bouza


Nel 1991, un uomo di 24 anni, chiamato Kurt Cobain, scompigliò l’industria musicale con il disco ‘Nevermind’, un pezzo di cultura punk rock, in un successo milionario.  Il fenomeno fece reale un’idea così potente da sembrare inconcepibile: dalla notte alla mattina, una stella maschile del rock polverizzava tutti i cliché delle star del rock maschile, s’intrufolava con un messaggio femminista, anti-razzista e anti-omofobo, nella coscienza di tutta una generazione.






La voce di Kurt Cobain suona neutra e dismessa dal registratore, come se la sua confessione appartenesse a un’altra persona e non all’adolescente tormentato di qualche anno fa: “ Per una società che celebra le gesta sessuali dell’uomo-macho, io ero l’immaturo, l’omuncolo che non aveva un rapporto sessuale e mi molestavano per questo”.  Kurt aveva sedici anni e spesso mentiva ai suoi amici vantando una serie d’incontri sessuali, che non aveva mai avuto.
Poi un pomeriggio, con gli ormoni ribollenti, il futuro leader dei Nirvana scivola a casa di una ragazza disabile e inizia a palpeggiarle i seni, disposto a perdere la sua verginità in modo drammatico. Improvvisamente è invaso da una sensazione di sconforto. “ Provai a scoparmela, ma non sapevo come fare. Cominciò a disgustarmi il suo odore, così mi levai”. Nonostante avesse potuto consumare l’atto sessuale, la doppia umiliazione (il disgusto di sé per la sua mancanza di determinazione, rimorso dopo l'abuso inferto) lo perseguitarono per il resto della sua vita.
L'episodio registrato nei diari del musicista e riprodotto da lui stesso in una registrazione  riesumata nel documentario ‘Cobain: Montage Of Heck’ (Brett Morgen, 2015), segna il punto di non ritorno nell'esistenza di Kurt: l'inizio di un lento ripiegamento su se stesso, che precipita il suo definitivo esilio mentale di una città la cui durezza lo aveva trasformato in un vortice di rabbia e di paura.

In un successivo foglio promozionale dell’album ‘Bleach’ (1989), debutto discografico dei Nirvana, Cobain ricorda Aberdeen (Washington) come una comunità ", composta per lo più da boscaioli ignoranti e fanatici, masticatori di tabacco, cacciatori di cervi e omofobi”.
Lì cresce terrorizzato da un ambiente di brutale mascolinità, che comincia al liceo dove, i suoi compagni,lo perseguitano per una presunta omosessualità e si estende fino agli uomini della sua famiglia : un nonno che “spesso raccontava barzellette razziste” e un patrigno che, di fronte alla scarsa frequenza con la quale Kurt portava ragazze in casa,lo arringava giornalmente con l’idea che "un uomo ha bisogno di essere un uomo e di agire come tale."

Poco a poco, l’adolescente inizia a difendersi dal mondo con le poche armi a sua disposizione, riempiendo la città di graffiti, che escono come funghi (il più famoso, “Dio è gay” sarà recuperato anno dopo, nella canzone dei Nirvana 'Stay Away') e infarcendo i suoi diari di riflessioni e disegni che riflettono uno stato di crescente isolamento.
Questi quaderni, pubblicati in parte sotto il nome di Diari (Mondadori, 2003), s’inseriscono naturalmente nell'insieme di una’opera da intendere, prima di tutto, come il grande tentativo del musicista di trasformare la sua emarginazione in arte.
In una delle pagine, con lo stile ruvido e infiammato Kurt abbozza un fumetto con protagonista Mr. Moustache: un personaggio rozzo e primitivo che sintetizza tutti i rednecks che tanto lo terrorizzavano ad Aberdeen. Nella prima vignetta , Mr. Moustache  si avvicina alla pancia della moglie incinta d esprime il suo desiderio : Figlio mio! Il ragazzo sarà un uomo. Guardate quanta forza ha in quelle piccole gambe! Sarà un calciatore”. Improvvisamente, Mr. Moustache s’incendia “ Meglio che non sia una noiosa vitellina!  Voglio un macho americano, puro al 100%, onesto, lavoratore, che odi gli ebrei, i negri e i froci! Gli insegnerò a riparare macchine e ad approfittarsi delle donne”. Nella penultima vignetta il personaggio si trasforma di nuovo in un guazzabuglio di falsa dolcezza ("Ahhh … senti che calci con queste gambine così forti), il feto sembra rispondere al suo desiderio propinandogli un energico e determinato calcio in faccia.
Molte altre annotazioni, in particolare, quelle che hanno a che fare con il suo crescente interesse per il femminismo, e la sua nuova vita a Olympia (Washington) dove Cobain fugge nel 1987, cercando di cancellare ogni traccia del suo passaggio ad Aberdeen.
 In questa piccola città universitaria, dove il punk rock fiorisce all'interno di una ridotta scena, Cobain entra in contatto con le donne che stanno cominciando a gettare le basi del movimento delle riot grrrl: una forte corrente, alimentata dall’ etica punk, lotta collettivamente per il potenziamento delle donne, partendo dal coinvolgimento attivo delle donne nella musica rock.
Il giorno in cui Kurt conosce Tobi Vail, co-fondatora di lì a poco della band Bikini Kill, si sente così sopraffatto dalla forza del suo discorso (e dalla sua inossidabile collezione di dischi), che finì per vomitare dal nervosismo. Poco tempo dopo, entrambi uniti in una relazione fugace, i diari di Kurt rivelano già l’intensa costruzione dell’icona femminista che oggi conosciamo.
L’influenza intellettuale di Tobi e delle altre riot, come Kathleen Hanna, è evidente in molte liste di album preferiti prodotti da Cobain, che si riempiono di riferimenti al pop femminile sotterraneo e di avanguardia,prodotti tra gli anni ’70 e ’80 : The Raincoats, The Slits, Marine Girls. Inoltre, la consapevolezza del musicista sembra esplodere in qualunque pagina, in ogni angolo: "La gente non può rifiutare qualsiasi 'sismo' né pensare che ce ne sia uno subordinato all’altro. Salvo il sessismo. Egli comanda. Egli decide. Continuo a pensare che per sviluppare gli altri ismi dobbiamo  smascherare il sessismo.  Oppure : “  Mi tranquillizza e mi consola sapere che le donne sono superiori e per natura meno violente degli uomini. Mi rassicura sapere che le donne  sono il futuro del rock’n’roll”.

Nel gennaio del 1992, dopo aver polverizzato Michael Jackson nella Top 1 della Billboard con l’album  “‘Nevermind’ (1991), Kurt Cobain diventa una delle due star maschili più famose degli Stati Uniti. L’altra è Axl Rose, il leader  dei Guns N 'Roses, una band ultra-conservatrice, che incarna i valori più feroci del reaganismo. La tensione tra i due non tarderà a esplodere pubblicamente,mettendo in scena un conflitto in cui sfumano i limiti del personale e del politico: di fronte a un Cobain diventato portavoce della gioventù frustata dal neoliberismo selvaggio delle amministrazioni di Reagan e Bush,  Axl  si presenta come una mostruosa estensione di tutti i bulli di Aberdeen: la metafora di un incubo nordamericano. Così che la semplice idea di condividere un audience  comune  comincia ad atterrirlo.
Tuttavia, la vendita dei loro dischi, quasi nello stesso momento non può essere più in contrapposizione. Con 'Use Your Illusion' (1991), un doppio album barocco ed eccessivo  i Guns N 'Roses rimangono nella tradizione del rock androcentrico, con canzoni che avvolgono le donne in romantici batuffoli o le rappresentano semplicemente come puttane. Allo stesso tempo, Cobain realizza qualcosa che fino ad ora sembrava improbabile: introdurre alcune riflessioni oscure sull’alienazione, abuso sessuale o il machismo nei canali di diffusione musicale  di maggiore audience. In meno di quattro mesi, 'Nevermind', raggiunge i tre milioni di copie vendute.
Il critico Charles R. Cross, che anni dopo firmerà la biografia definitiva di Cobain ('Heavier Than Heaven', Random House, 2005) accoglie il ‘fenomeno Nirvana’ con scetticismo, affermando che la band “ ha successo, però vorrei trovare un contenuto”. Cross ha scalfito appena la superficie di 'Nevermind' - un grande disco di pop distorto, soffiato dall’alito poetico  di un raro insetto -  senza arrivare a percepire che Cobain stava rilevando le ferite attaccate al suo tempo  con efficienza senza precedenti nei suoi contemporanei.

Qualche volta, , come nel  crudo terremoto di  ‘Territorial Pissings’ ("Non ho mai conosciuto un uomo intelligente / e se lo fosse stato , era una donna"), il musicista si rivolta esplicitamente contro il machismo , richiamando l’attenzione sull’approccio femminista, che tanto lo aveva stimolato in Olympia.  A volte, come in 'Polly', una canzone astratta su uno stupro, che Kurt aveva scritto dal punto di vista dell’aggressore, la sua tendenza a testi obliqui provoca fraintendimenti con conseguenze fatali.  Polly' era basata su un vero e proprio evento che si era verificato anni prima a Tacoma (Washington) e che ne innescò un altro terribile quando due fans dei Nirvana aggredirono sessualmente una donna, mentre canticchiavano la canzone alieni dalla pulsante angoscia, che la lettera trasmetteva.
Cobain che considerava lo stupro come uno dei crimini più gravi che potessero essere commessi, scrive le seguenti note, destinate a essere incluse nel libretto dell’album ‘Incesticide’ (1992):  "L'anno scorso, una ragazza è stata violentata da due rifiuti di sperma e uova, mentre cantavo il testo di ‘Polly’.  Ho molta difficoltà a pensare che ci siano plancton  tra il nostro pubblico (…) A questo punto ho una richiesta per i nostri fans i: se qualcuno di voi odia gli omosessuali, le persone di un altro colore o le  donne,  fateci un  favore,lasciateci in pace. Non venite ai nostri concerti e non comprate i nostri dischi”.
Una voce nel suo diario, scritta nello stesso periodo, colpisce per il suo argomento:  "Mi ricordo quello che raccontava Kathleen Hanna sull’istituto. Che aveva una classe nella quale insegnava alle ragazze a prepararsi a un eventuale stupro. E quando si affacciava e vedeva gli stupratori lì giocare a calcio, diceva “ Bisogna insegnare proprio a loro queste cose”.
Già nel 1993, Cobain scrive 'Rape Me' ('Rape me'), una sorta di risposta alle polemiche su 'Polly', il cui titolo ricicla uno slogan provocatorio comunemente usato nel cerchio delle  riot grrrl. La canzone avrebbe potuto essere doppiamente efficace. Da un lato, dal suo status privilegiato di celebrità del pop, Cobain contribuiva ad amplificare il discorso delle grrrls.  Dall’altro, lanciava il suo finale inno anti- stupro: una composizione di cruda giustizia poetica in cui “ un uomo che stupra una donna, è mandato in carcere e finisce con l’essere stuprato lì”. Tuttavia, è frainteso questa volta dalle associazioni femministe che protestano contro l’ambiguità del titolo. Cobain diventa una bomba, che provoca reazioni infuocate, spesso contrastate e non sempre pulite.
Frequentemente la stampa conservatrice e scandalistica, comincia a sparargli contro, usando come obiettivo, la sua nuova partner, Courtney Love, una preda apparentemente più facile. Proveniente  dalla preistoria  del movimento riot, nonostante non si fosse mai integrata nella sua dinamica, Love era una donna forte e autosufficiente che costruirà la sua carriera lottando all’ombra dei Nirvana. I dischi della sua band,Hole, che esploravano senza complessi i tabù della femminilità, erano difficilmente assimilabile dalla cultura patriarcale nella quale continuava diluendosi la cultura del pop, ma lei persisteva con fede cieca nel potere della differenza.
Ben presto, la somma di una donna senza peli sulla lingua ("sembra che possiamo solo arrivare  da qualche parte usando la nostra figa mentre essi ottengono tutto toccando  buone canzoni") e un uomo femminista diventano un filone irresistibile per i media: un canale idoneo per intossicare l'immagine pubblica di entrambi. Tanto che, a poco a poco, Kurt comincia a essere percepito come un vile essere gestito da una strega senza scrupoli. Una versione che Brett Morgen, autore di 'Cobain: Montage of Heck' ha recentemente smentito, in un'intervista con il quotidiano El País: "Kurt era un grande femminista. Fino a 20 anni fa tutti si sentivano minacciati da una donna dalla forte personalità come Courtney, ma non lui. Seppe dargli il suo spazio e convivere con  uguaglianza di potere nel loro rapporto. Questo fece sì che lo vedessero come un burattino davanti a una donna manipolatrice. Io non penso fosse così”.
Nonostante che il centro della tempesta migrasse da un lato all’altro, nonostante che la potenza di Kurt esplodesse negli scenari di tutto il mondo è facile concludere che la stella non arrivò mai a uscire  da Aberdeen. Quando, nel gennaio 1992, in una trasmissione televisiva in prima serata il musicista introduce la sua lingua nella bocca di Krist Novoselic, bassista dei Nirvana,lo fa crogiolandosi, pensando alla possibilità che, dall’altro lato, fossero riuniti “ tutti gli rednecks omofobi "del suo popolo. Quando entra in scena, incastrato in un abito corto di Courtney, c'è qualcosa di gioiosa esplorazione del suo lato femminile e spesso un atto di vendetta contro un passato che non si era abbastanza diluito.
Questo, tuttavia, nascondeva una potente carica simbolica, che stimolò milioni di persone in tutto il mondo. Una di queste fu la giornalista londinese, Amy Raphael, che nel suo libro ‘Never Mind The Bollocks: Women Rewrite Rock’ (Virago, 1995), scriverà la più bella sintesi dell’eredità di Kurt: “ Cobain ha riconosciuto il femminile in se stesso più di ogni un altro artista degli anni ‘ 90. E 'stato, per noi, un modello di comportamento più sovversivo che la  stessa (la teorica femminista newyorkese) Camille Plagia avesse mai sperato  di essere.


Pikara magazine



(traduzione di Lia Di Peri)

venerdì 31 luglio 2015

Il Re Leone e la violenza di genere

Miguel Lorente Acosta, medico forense.


 


Disney è diventato il Samaniego * del XXI secolo, trasformando le favole in film, che spesso usano gli animali per mostrare il volto umano della vita, così assente tra le persone. Cosa che non siamo in grado di apprezzare ogni giorno guardando negli occhi della gente, lo vediamo poi, proiettato in uno schermo protetto dall’oscurità… ma solo durante le due ore che dura la favola e il viaggio di ritorno.
Trascorso questo tempo, lasciamo l’”umanità animale” per tornare alla “brutalità umana”. Almeno questo è quello che si deduce da alcuni dei comportamenti che popolano la nostra giungla sociale.
“ Il Re Leone” è uno dei più grandi successi della Disney, per questo elemento umano che consente di visualizzare una lotta per il potere nel Regno animale.  Non manca nulla, c’è la violenza,  gli omicidi, l’asse del male, il senso di colpa, la minaccia e l'oppressione per evitare di perdere i privilegi di tale ingiustizia, gioia, amicizia, solidarietà, impegno, amore... se non fosse un cartone animato potrebbe essere un documentario sulle scene che accadono ovunque nel mondo.
E anche se fossero poco realisti questi elementi umani del film-favola, tutta la trama ruota intorno all'idea patriarcale su quello che dovrebbe essere la struttura sociale, in cui il potere e il riconoscimento ruotano intorno al macho-uomo, e le donne rimangono nel luogo secondario della maternità e come “carta regalo”, dell’essere la compagna del leader.
 La fiction non supera mai del tutto la realtà, così ora abbiamo un chiaro esempio di questo confine tra l’una e l’altra con la morte di "Cecil", il leone (ovviamente macho) "più grande" dello Zimbabwe.
Come se si trattasse di un film "Tarzan della giungla", "Orzowei" o la stessa "George re della giungla", la storia sembra tratta da Hollywood. In essa, c’è uno di quei cattivi cacciatori, tipo Coronel Tapioca, così vile e malvagio che usa gli stessi nativi per sviluppare la sua trappola e incontrarsi da solo con “Cecil”, il Re leone del posto, per ucciderlo in notturna e con una freccia, perché solo con il buio era complicato. La cosa curiosa è che oltre che “ bracconiere innocente” era un dentista negli Stati Uniti e, dico curiosa, perché forse per la sua professione avrebbe dovuto essere più incline per la caccia agli elefanti, per le loro “zanne” e l’avorio. Anche se sembra che ciò che gli piaccia più degli incisivi e i canini siano i premolari e i molari**, per quel sfoggiare e pencolare” davanti  agli altri, facendosi fotografare con il leone abbattuto e la testa tagliata.
Forse per cacciare gli elefanti bisogna essere Re – non so come vada la gerarchia nella caccia – e un dentista nonostante lavori tutto il giorno con la corona dei denti, non smette di essere un plebeo. È possibile che questa confusione tra corona e regalità sia stato il motivo che l’ha portato a cacciare il Re Leone Non lo so.
Il fatto è che Walter J. Palmer, così si chiama il dentista statunitense, ha ucciso Simba-Cecil, e come nel film della Disney, tutto il mondo si è messo alla ricerca dell’autore di questa morte. Nessuna obiezione a questo proposito, poiché se la caccia si è verificata ai margini della legge, la sua ricerca era abbastanza logica e coerente.
Quello che non è così logico né coerente – almeno non dovrebbe esserlo - è ciò che accade in Africa e in tutto il mondo con la violenza di genere.
Secondo l'OMS, in Africa, 36% delle donne ha subito violenza a un certo punto nella loro vita da parte di uomini con cui hanno una relazione di coppia. E come riferiscono i dati delle Nazioni Unite (UNODC), 13.400 donne sono uccise ogni anno da quegli uomini - partner. Se a questi omicidi nella coppia si aggiungono altre forme di violenza di genere (sessuale, derivata da mutilazioni genitali, per l'onore, per la dote, per il matrimonio forzato, per la violenza contro le donne nei conflitti armati ...) le donne uccise nel continente africano per violenza di genere superano molto le 16.000.
Vale a dire, in Africa ogni anno uccidono più di 16.000 donne per violenza di genere e non si produce nessuna reazione in nessun paese del continente e neppure a livello internazionale, che ponga lo sguardo su questa drammatica situazione. Invece, la caccia e l'uccisione di un leone, ha portato a una risposta internazionale che si è conclusa con l'identificazione del cacciatore, che ha ucciso Cecil dello Zimbabwe", e protesta sociale per quello che ha fatto, critica che ancora continua. Se teniamo anche conto che la percentuale degli omicidi irrisolti di donne è in Africa del 30% è facile capire che l'impunità è coperta da quel silenzio, e che i media si dirigono più a risolvere le morti animali per bracconaggio, che gli omicidi di donne per violenza di genere.
La situazione non è molto diversa nel resto del pianeta, cambiano i numeri secondo la popolazione di ogni continente e le circostanze introdotte quotidianamente dalla cultura maschilista, come parte della normalità.  In ogni continente c'è violenza di genere nelle relazioni, nella misura in cui 30 su ogni 100 donne la subiranno durante la loro vita (OMS, 2013). E tra quelle centinaia di migliaia di donne maltrattate, 43.500 donne sono uccise da uomini con i quali condividevano la relazione (UNODC, 2012). Quando si considera tutti gli omicidi per violenza di genere nonostante la grande impunità esistente in questi crimini, l’espressione del dramma si riflette in ciò che ogni 10 minuti una donna è uccisa per violenza di genere in qualche parte del mondo.
E tutto questo non è il risultato di una guerra o di un tempestivo incidente, ma che si ripete ogni anno e da molti anni e continuerà nel tempo se non cambiamo i riferimenti di una cultura machista che pone gli uomini come Re e referenti e le donne come schiave delle decisioni maschili e dei ruoli, tempi e spazi, che la cultura, come se fosse una "riserva paradisiaca" ha dato a esse.
Il messaggio che si lancia ogni giorno sulla violenza di genere è molto simile a quello che si è dato per spiegare la morte del leone Cecil. E’ stato detto del felino che se fosse rimasto nella riserva sarebbe stato  al sicuro perché il problema è nato quando ha lasciato lo spazio limitato della sua vita. Qualcosa di simile si dice per la violenza di genere: le donne la subiscono perché “ qualcosa avranno fatto”, le “ buone donne, spose, madri e casalinghe”, non subiranno alcuna violenza; al contrario, incontreranno sempre un uomo che si porrà come un leone per proteggerle e difenderle.
Felix de Samaniego sarebbe perso oggi, perché, come ha scritto l'eterno Angel Gonzalez in una delle sue poesie ("Introduzione alle favole degli animali"), alla fine dovremo ricorrere a uomini come esempio di ferocia e brutalità verso gli animali, non al contrario com’è stato finora.
Forse per questo l’essere umano, grazie ai suoi machi, è l’unica specie in pericolo di “auto-estinzione”.


* poeta spagnolo, noto soprattutto come autore di favole in versi.

** gioco di parole del termine Molar, che indica il dente molare e i verbi vantarsi, sfoggiare.

Autopsia

(traduzione di Lia Di Peri)



domenica 19 luglio 2015

La lucrosa industria del turismo sessuale. Reportage.









“ Diamo tanto per scontato che la prostituzione sia inevitabile, se non addirittura indifferente dal punto di vista di genere, che siamo incapaci di fare un’analisi culturale dell’istituzione e quindi di vedere i suoi effetti sulla riproduzione dei ruoli. Quando si parla di prostituzione, l'industria ha ottenuto di renderci insensibili." Beatriz Gimeno.


Il turismo sessuale è diventato una categoria di viaggi contemporanei, allo stesso livello del turismo culturale, rurale o da spiaggia. Il termine è stato forgiato per assegnare nome a una realtà in cui milioni di persone viaggiatrici hanno relazioni sessuali pagate nei luoghi di destinazione.
Nel nostro sforzo per costruire realtà con il linguaggio, alla prostituzione turistica abbiamo dato l’etichetta d’industria, una delle cinque più redditizie delle attività illegali e criminali. Un albo d'oro che condivide con la tratta di esseri umani – inseparabile dal turismo sessuale - del narcotraffico, delle armi e della prostituzione. E rimane in una posizione di forza, semplicemente perché prospera in luoghi o con persone che non considerano un reato, lo sfruttamento sessuale.
A livello globale questo tipo di turismo vittimizza milioni di esseri umani registrando un fatturato annuo di 30.000 milioni di dollari (27 milioni di euro). La catena di supermercati Walmart guida la classifica della rivista Fortune delle 550 aziende statunitensi più importanti. Nel 2014, ha gestito 16.363 mila dollari di profitti.

“Il turismo sessuale replica ruoli fondati sulla disuguaglianza”.

In larga misura. L'industria ha bisogno di prodotti, in questo caso, in forma di persone o altri esseri viventi. Il turismo di massa, che non ha nulla a che vedere con le vacanze dei ricchi romani fuori dalle loro città o con il Gran Tour del Rinascimento, divora tutto ciò che incontra nel suo cammino, principalmente donne e bambin* con poche o nessuna risorsa. La globalizzazione della povertà ha trascinato verso questa nuova forma di colonizzazione, come la definisce l’economista Carmen Reinhart.  In questo contesto, "le donne della periferia diventano il bene ultimo (risorsa vergine), che può essere oggetto di commercio senza scrupoli”.  In termini di ruoli, si sottolinea anche la seguente teoria: il Terzo Mondo è psicologicamente forzato al ruolo femminile della schiavitù, di essere penetrato da denaro, contro la sua volontà, mentre il Primo Mondo, che cerca solo la soddisfazione, adotta il ruolo maschile. Gli Stati Uniti sono il più grande consumatore sessuale fuori dai suoi confini. Essendo uno dei principali commerci senza frontiere che sopravvive anche per la diversificazione e interpretazione, diventa qualcosa di molto inafferrabile. I risultati degli studi, però sono definitivi: dal turismo sessuale arrivano lo sfruttamento dei bambini e il traffico di esseri umani. E, poiché, è un consumo massiccio, richiede una disposizione massiccia di prodotti.

"E’ facile tracciare un profilo del turista sessuale”.

No, nessuno vuole essere definito come tale. Gli esperti comprendono questo tipo di persone in almeno due classi, chi arriva in un certo paese e luogo, al fine di mantenere queste relazioni sessuali - avendo canali d’informazione - e coloro che lo fanno occasionalmente. Se durante un viaggio, un uomo d'affari ha pagato un contratto sessuale, è un turista sessuale? Se una donna in un posto turistico lavora, ma riceve compensi regolari da turisti stranieri, è nell’industria del turismo sessuale? Disegnare un profilo non è facile. C'è diversità in termini di nazionalità, genere, età, status socio-economico o etnia. In questo settore, però, risulta pertinente il proverbio "l'occasione fa il ladro", probabilmente perché il turismo sessuale non è visto come un sintomo di prostituzione.  Anche se, ancora una volta di più, i dati ci mostrano che il mercato internazionale della prostituzione replica il percorso del turismo sessuale. Questo aggiunge un nuovo elemento di complessità quando si cercano definizioni, perché in molte occasioni sono le persone impegnate nel turismo sessuale, che hanno viaggiato a questo scopo.
I fattori psicologici che descrivono il comportamento di molti turisti, nel senso di cambiamenti di coscienza associati alle diversità, sono comparati da alcuni esperti, come l’antropologo Nelson Graburn, coni rituali. Più di 600 milioni di persone si spostano ogni anno per sfuggire a una vita definita, per trovare momenti di riposo, di evasione e di libertà. Ma sia in forma tradizionale – pagamento organizzato - o informale, mediante regali o altri benefici, lo scenario è quello della prostituzione, sia la persona prostituita destinataria o no della compensazione. E’ vero che ci sono mille e più interpretazioni o categorizzazioni del perché esista e, a volte, di come combatterla, ma la realtà è che esiste la tratta di persone e che la povertà alimenta questa industria. Dato che questo non è un articolo sulla prostituzione, non ci espandiamo sulla parola magica "consenso". Solo una frase interessante. Lo scorso aprile, la Danimarca ha vietato la zoofilia rendendo più dura la legge che, i difensori degli animali, riteneva promuovesse il turismo sessuale con animali. Il ministro danese dell'Agricoltura, Dan Jorgensen ha rilevato che la legislazione precedente era inadeguata, affermando che “ E’ difficile provare che un animale soffra quando una persona ha un rapporto con lui ed è per questo che dobbiamo dare all’animale, il beneficio del dubbio”. Un beneficio del dubbio che non è dato alle vittime del turismo sessuale. Al contrario, gli effetti della disuguaglianza e gli stereotipi inventano un immaginario compiacente in cui le vittime sono etichettate come persone promiscue.
Seguendo la pista della pubblicità, a volte senza mascheramento, sulle destinazioni sessuali, si riproduce il modello di donna passiva, sottomessa e compiacente. Il linguaggio turistico riflette un’ideologia patriarcale, concentra sulle norme etero-sessuali, come rilevano Nigel Pritchard e Annete Morgan.  Generalmente si replica lo sfruttamento sessuale di donne del sud da parte di uomini del nord: un’impronta dei rapporti di potere internazionali. Modelli sessisti che si riproducono nel nuovo turismo sessuale musulmano. La stampa indiana ha recentemente pubblicato un reportage su un sudanese che ha lasciato la moglie e i due figli a Khartoum per trascorrere un mese di vacanza in India. Per fare questo, ha acquistato una minore del paese, anche se la transazione con i suoi genitori aveva la copertura legale che dà la religione musulmana quando permette matrimoni di tempo molto limitati per disporre sessualmente di una donna e non essere mal visto.



“ Questa industria è solo per gli uomini”
No di certo. Chi non ricorda la splendida Charlotte Rampling nel film di Laurent Cantet, Verso il Sud. L'attrice inglese interpreta una cinquantenne che trascorre le vacanze sulle spiagge di Haiti con il giovane amante locale di diciotto anni. Scene che molte altre donne mature – si registra  la cifra di 600.0000 – riproducono in paesi africani come il Senegal e Kenya o nel Mar dei Caraibi Cuba e Giamaica.  Questi viaggiatori sessuali mantengono ufficialmente rapporti sessuali con saltimpankis, beach boys, bumsters, ratitutes, sanky pankies, eufemismi per indicare i giovani che esercitano la prostituzione.  Le cosiddette sugar mama in Kenia cedono agli stereotipi dei racconti di fiabe dell’infanzia e vestono l’estremo commercio dell’ozio con il bel vestito di un’ avventura sentimentale.  E questo è un altro modo per visualizzare la disuguale costruzione sociale in cui le donne non osano, sono riluttanti a svolgere ufficialmente il ruolo di sfruttatore e padrone del potere, assegnato agli uomini. Anche se i conti di questa grande industria confermano che le donne contribuiscono a renderla più forte, esse sono per la maggior parte dall’altro lato. Il 98% delle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale sono donne e ragazze. La Thailandia riceve 9 milioni di visitatori ogni anno, tra il 60% e il 70% sono uomini; quattro su dieci viaggiano da soli.

“Il sesso con i minori è la grande linea rossa”.

Non è così chiaro, regna l'impunità. Se la prostituzione degli adulti è materia di dibattiti e discussioni molto infuocate, quella dei minori è universalmente condannata. Non esiste una definizione giuridica del turismo sessuale, ma esistono norme che puniscono l’abuso infantile. Attraverso questi piccoli corpi si è potuto di spingere a stabilire una forma di regolazione giuridica e di polizia, sviluppando persino le leggi di applicazione extraterritoriale. Più di due milioni di bambini e bambine sono incorporat* ogni anno alla ruota dello sfruttamento sessuale. L'entrata dei turisti in Cambogia è aumentato in un anno del 65%, provocando un forte aumento dello sfruttamento dei bambini. Durante la Coppa del mondo in Sudafrica, nel 2010, la prostituzione infantile è aumentata del 30%. E in Germania, nel 2006, uno studio legò in modo chiaro lo sfruttamento sessuale dei minori, con l'aumento del consumo di alcol. L'UNICEF denuncia che il 30% dei bambini tra i 12 e i 18 anni in Kenya sono coinvolti nell'industria del turismo sessuale. Ma la reale portata di questa piaga non è disponibile. La ricerca sul traffico di bambini raramente distingue tra le vittime con destinazione sessuale e destinazione economica. Inoltre, neppure i rapporti disponibili distinguono tra le donne e i bambini, tra bambine e bambini o tra bambini e adolescenti.
Se in qualche paradiso thailandese, un turista normale ha dubbi circa l'età della persona locale che accompagna un uomo bianco, maturo, normalmente distoglie lo sguardo. In Thailandia pesa molto la tradizione locale di consumo di prostituzione.
Il governo del Paraguay ha presentato lo scorso mese una campagna contro il turismo sessuale minorile che sfoggeranno molti tassisti di Asunción, la capitale. Nelle loro auto porteranno cartellini per far prendere coscienza su questo problema e un numero di telefono per segnalare al funzionario pubblico, i casi di sfruttamento minorile. L'impunità è quindi il terreno fertile perché i pedofili (e non) agiscano in tutto il mondo. Il traffico di bambini e bambine sequestrat* o comprat* dai magnaccia alimentano queste grandi sacche di prostituzione minorile. Questo sfruttamento non distingue tra paesi sviluppati e non, è punito dal Diritto Internazionale e si hanno leggi specifiche in 130 paesi. L' International Air Transport Association (IATA) e l'Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO) hanno unito le forze per proteggere i bambini, mentre diversi paesi occidentali hanno adottato leggi per punire questo comportamento dei loro cittadini, anche quando avviene al di fuori dei propri confini. Ma è tutta carta straccia se le aziende turistiche e i loro dipendenti non promuovono la tolleranza zero nei confronti dell’abuso dei minori. I dipendenti di alberghi, bar, discoteche, taxi, reception, sicurezza, tutti loro sono testimoni quotidiani di questi crimini.  Sovente, il turismo sessuale non è sufficientemente condannato.
Inutile dire che, negli Stati con scarsi muscoli democratici, la protezione contro questi abusi non è nelle loro agende. In questi casi, le forze di sicurezza sono parte della rete di sfruttamento, che agisce in molte occasioni alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti. Pertanto, non si muove totalmente in clandestinità, comprese le iniziative come quelle del Parlamento ugandese, che nonostante abbia approvato una legge per criminalizzare il turismo sessuale e la pedofilia ha avuto corto raggio.   La stessa sorte ha il codice etico dell’UNICEF in materia di turismo.
Se la pressione per porre fine all'abuso sui minori raccoglie consensi internazionali, il turismo sessuale con adulti vive in un limbo. Ci sono azioni che hanno avuto successo, ma è difficile conciliar leggi, costumi, disuguaglianze e interessi. Ad esempio, nel 2003, un’ONG ha contribuito alla chiusura di Video Travel, un organizzatore di turismo sessuale con base a Haiti e ha sostenuto l'adozione di una legge regionale che vieta dette attività su questa isola. Le visite del sesso e Internet hanno generato nuovi flussi verso le zone contrassegnate dalla bandiera sessuale. Va notato che questo tipo di turismo si è impiantato anche nell’ambito dell’Unione Europea. I pullman all’entrata di alcuni locali sono la fotografia che anche il Nord esiste. Forse, per diffondersi qui, si preferisce direttamente l’etichetta di prostituzione quando, a essere rigorosi, è turismo sessuale, poiché il consumatore si sposta oltre il loro luogo di residenza con un obiettivo chiaro.

"Questo tipo di turismo serve a risollevare l'economia”.
E’ una mezza verità letale. Il rebus è semplice. Che cosa succede a un paese la cui popolazione, bambini e adolescenti giovani sono prodotti a basso costo? Inutilizzare questo segmento di popolazione non fa altro che condannare il paese a essere poveri per sempre. In Thailandia o l'India, dove lo sfruttamento è dilagante, la popolazione minorile che si ammala dopo mesi o anni di prostituzione, l'abbandona nelle strade senza alcuna protezione. Contagiati dall’AIDS o qualsiasi malattia a trasmissione sessuale, gravidanze, invalidità per la violenza subita o malattie psichiche. E, ovviamente, la loro distruzione come individui e l'accumulo di conseguenze psicologiche gravi e irreversibili. Le conseguenze personali diventano famigliari e, poi, della comunità come osceni vasi comunicanti condannando il paese a essere un emarginato. Forse questo panorama non è sufficiente per le analisi che benedicono le risorse portate dal turismo sessuale e la presunta salvezza economica, che esso rappresenta nelle aree povere ad alta densità turistica.
Nei paesi asiatici come la Thailandia, l'Indonesia e la Malesia la prostituzione contribuisce in modo significativo al PIL (tra il 2% e il 14%). In una perversa spirale, la creazione di queste divise agisce come un muro di contenimento contro i mezzi di repressione destinati alla clientela. La riconversione di questa industria in altra sostenibile e rispettosa dei diritti umani sembrerebbe una chimera. La teoria della scelta razionale, il quadro teorico in cui esseri razionali misurano costo e beneficio, spesso prevale quando qualcuno si dispone a misurare la realtà del turismo sessuale.  Il benessere collettivo, quello del paese, supera qualsiasi sofferenza, secondo questa teoria. Ovviamente.



(traduzione a cura di Lia Di Peri)