venerdì 10 febbraio 2017

Lettera pubblica a Errejón *: Noi donne non siamo uteri in affitto.

 Lidia Falcón, politica e scrittrice spagnola.






Iñigo Errejón nel programma Hoy por Hoy  mattina SER, l’8 febbraio, si è pronunciato a favore dello affitto dei ventri delle donne  per soddisfare i desideri di quei genitori che vogliono figli fabbricati con il proprio sperma.
Ha aggiunto che si dovrebbero adottare  correttivi e controlli, perché questa pratica che chiama “maternità surrogata” non significa lo sfruttamento delle donne povere, esprimendo così la sua compassione per tali soggetti.
Nel corso della intervista  Iñigo Errejón, ha fatto auto-critica, perché il suo partito è immerso più nella discussione dei problemi organizzativi e di concorrenza tra le diverse fazioni che si disputano il potere, che nel risolvere le mancanze delle persone.
Delle persone che non sono donne, perché nessuno degli sfruttamenti e delle minacce che le colpiscono, fino a ucciderle, erano presenti nel suo discorso. Persino la giornalista ha dovuto fargli notare che quando parlava della maternità surrogata, non aveva pronunciato neppure una volta, la parola donna, come se il tema riguardasse gli uomini allo stesso modo o fosse una questione al di fuori della specie umana.

Il signor Errejón ha iniziato la sua riflessione dicendo che tutti hanno il diritto di avere figli. Indubbiamente, per un professore di Scienza Politica è un’analisi estremamente povera come spiegazione  di un problema che colpisce migliaia di donne, nella loro vita più privata.
Perché come esperto  di relazioni umane dovrebbe sapere che i diritti di alcuni non si possono esercitare contro i diritti dei più. Il diritto alla paternità non vuol dire che per poterlo esercitare si possa disporre del corpo di una donna, bombardandolo di ormoni, inserendole un ovulo  - proprio o estraneo fertilizzato – e aspettando che la gravidanza arrivi a termine, per strapparle poi il figlio, in modo irreversibile. E tutto questo per denaro.
A questo professore di politica che grida quotidianamente contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte delle potenze economiche, non lo tocca lo sfruttamento delle donne da parte di tutti i poteri:quello capitalista e quello patriarcale.
Se Errejón ricorda la massima che la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella degli altri e se si fosse formato di più in femminismo che nel suo indigesto mentore Laclau, non si sarebbe pronunciato con questa leggerezza sul terribile dramma che sta ora assediando le donne povere in diverse aree del mondo. Quelle governate dai politici che si sono posti al servizio delle grandi compagnie farmaceutiche, delle agenzie che cercano ragazzine nelle zone rurali dell'India, Pakistan, Bangladesh, Ucraina, per negoziare, un miserabile contributo che danno alla famiglia, le loro ovaie, i loro grembi, la loro resistenza fisica, disprezzando la loro dignità come essere umano, i loro sentimenti ed emozioni: machisti che vogliono essere padri a costo di strappare il bambino alla donna che gesta e partorisce.

No, signore Errejón, le donne non sono vasi, o provette né cave d’India per esperimenti né abbiamo i ventri unicamente come fabbrica di bambini. 
Le donne non investono soltanto nella maternità gli ovuli e gli ormoni, che producono le loro ovaie, il calcio, i minerali e le sostanze nutritive che costruiscono il feto; non soltanto noi donne sopportiamo per nove mesi, che la nostra anatomia ci cambi fino a renderci quasi irriconoscibili come quelle  persone che eravamo prima della fecondazione; noi donne non soltanto perdiamo il turgore dei seni e la tonicità dei muscoli nel difficile compito di dare vita a un altro essere umano, così lentamente; non soltanto perdiamo la capacità di muoverci con agilità; di compiere lavori pesanti e di realizzare esercizi fisici durante i nove mesi;non solo soffriamo dolori, lacerazioni, parti cesarei e, talvolta infezioni, durante il parto e abbiamo bisogno di giorni per recuperare tanta sofferenza ma come esseri coscienti di ciò che sta accadendo investiamo sentimenti ed emozioni, speranze e timori, gioie e paure in questa fase trascendente della nostra vita. E, allo stesso modo,che nella schiavitù si usa non soltanto la capacità lavorativa del lavoratore ma la persona tutta è perciò infame, manipolare il corpo femminile per fertilizzarlo, ingravidarlo e, poi, sottrargli il “prodotto”, come se si trattasse di avere fabbricato  scarpe. E’ anche questo infame.

Per questo è vergognoso che i politici che pretendono di lavorare per migliorare le condizioni di vita dei cittadini, che denunciano le aziende e le oppressioni sofferte dai lavoratori, che scrivono lunghi manifesti contro un sistema economico e politico che condanna alla miseria, alla ignoranza, alla tristezza e al dolore milioni di persone, siano così crudeli con le donne, per soddisfare i desideri di una manciata di uomini ricchi.

Perché, essere padre o madre, è un diritto ma non una necessità. Milioni di uomini e donne non hanno i bambini per vari motivi, oggi, sempre più volontaria – e non gli accade nulla.
Noi donne non siamo vasi né provette né cavie d’India per testare esperimenti scientifici.
E aggiungo: gli uomini neppure sono stalloni. Gli uomini, quelli che possono vantarsi di esserlo, non debbono approfittarsi della povertà, della impotenza, della immaturità di povere ragazze, per soddisfare questo presunto desiderio di paternità. Perché se davvero ciò che li spinge è la generosità di prendersi cura di un bambino, nel mondo ci sono milioni di creature che hanno bisogno di padri e madri.

Questi amabili uomini che non adotterebbero i minori che ne hanno bisogno, ciò che vogliono è perpetuare il loro seme, proprio come patriarchi biblici. Per essi non sono passati i secoli di progresso sociale e umano, che hanno portato al rispetto delle donne poiché esseri umani.
Per loro la Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, del 1948, accelerata dopo le tragedie orribili delle contese del XIX e XX secolo, non si applicano al sesso femminile, perché per loro le donne non sono altro che questo:  sesso e ventre riproduttore.

E non gli importa neppure dei diritti dei bambini. Poiché queste creature fabbricate su richiesta dei padri non avranno nessuna conoscenza delle loro radici, dei loro antenati, della storia, della cultura della biografia della loro madre e della famiglia della madre. Privando questi nuovi uomini e donne della conoscenza  della comunità umana da cui provengono. Fabbricati come il mostro di Frankenstein per soddisfare il desiderio di chi può pagarlo.

E ora, nei momenti decisivi di questa immediato  Congresso in cui dirigenti e militanti di Podemos, che deve definire e risolvere  che tipo di formazione politica sarà, quali scopi sociali avrà, quale programma difenderanno, cosa possiamo aspettarci da loro e in che modo possiamo confidare a che ci difendano da così tanti poteri predatori e crudeli che ci schiavizzano, se i suoi militanti e dirigenti decidono che le donne possano essere trattate come pecore o vacche, approvando quello che chiamano "maternità surrogata", perderemo la speranza che questo partito sia progressista e possa cambiare la società a nostro beneficio.
E se dopo tante dichiarazioni di femminismo come hanno fatto le donne di Podemos, voteranno a favore di tale infamia, sarà chiaro che né sono femministe né sicuramente sono consapevoli di essere donne.

Note

Íñigo Errejón politico e politologo spagnolo tra i fondatori nel 2014 di Podemos

traduzione di Lia Di Peri


http://blogs.publico.es/lidia-falcon