lunedì 16 gennaio 2017

I fiori del deserto che studiano, lottano e resistono.

Isabel Lourenço




Leila ha 20 anni,una ragazza apparentemente fragile, dolce e con un’energia inesauribile.
E’ una studente sahraui, studia inglese in una università del Marocco come tanti altri studenti sahraui dei territori occupati che non hanno altra scelta che studiare nelle università ubicate in Marocco, lontani dalle loro famiglie e le loro case e alla mercé della discriminazione dei professori del regime dell’occupazione.

La famiglia di Leila, come molte altre, ha prigionieri politici, desaparecidos e morti saharawi la cui unica colpa è di rivendicare i loro ancestrali diritti alla loro terra e patria.
Ho conosciuto questa ragazza tre anni fa, quando ho fatto la traduttrice per la prima volta durante il processo di un prigioniero politico saharawi.  Ricordo quanto fosse spaventata ma ha deciso con risoluto coraggio e nonostante tutte le difficoltà di superare le sue paure e di assolvere il suo compito.
Attivista sahraui lotta e resiste senza violenza. Lei vuole il suo paese libero dagli occupanti illegali e non ha dubbi che la vittoria sarà del popolo Sahraui.

L’ho incontrata nuovamente diverse volte e sempre con la stessa determinazione, una determinazione che non diminuisce nonostante la feroce repressione dell'occupante.
Leila vive in una famiglia di donne, il padre è morto, la madre non si è risposata e ha una sola sorella. Le difficoltà sono molte, ma la madre incoraggia le sue figlie e il resto della famiglia.
Le giovani saharawi sono incoraggiate dalle loro famiglie a studiare e in nessun momento sono viste come un peso o come membro meno valido della società sahraui. Al contrario, questi fiori del deserto con i loro melfas (abito tradizionale) colorati e i loro magici sorrisi, sono guerriere, donne forti che hanno la capacità di decidere e combattere, organizzare e guidare, molte di loro sono simboli della resistenza dentro e fuori i territori occupati.

La questione dell’autodeterminazione è essenziale – mi dice Leila – è l’unica soluzione ed è una giusta soluzione per il nostro popolo, e noi non smetteremo mai di lottare per il nostro paese.
Le ho raccontato che avevo una studente portoghese che scriverà una tesi nella quale sostiene che i sahraui sono più radicalizzati, che le donne sahraui, oggi, sono meno indipendenti, che non sono motivate a uscire da casa e studiare per ottenere il diploma e rappresentare il loro paese.
Guardo intorno alla stanza piena di donne sahraui che ridono, risate di incredulità e stupore. Esse sono uno degli esempi viventi che tutte queste sono menzogne e mi dice: Guardaci qui e guarda i campi dei rifugiati, le mie amiche studiano, guidano, organizzano, chi afferma queste cose non ci conosce e l’unica cosa che fa è diffondere bugie.

Parliamo del mondo, delle guerre, degli attacchi, Leila come tutti gli saharawi non sono contenti della manipolazione della loro religione, “l’Islam non è nulla di tutto questo, noi vogliamo la pace e condanniamo questi attacchi”, mi ripetono tutti gli studenti saharawi con cui ho parlato.
Uno delle giovani saharawi nella stanza, una giornalista, è malata, i suoi compagni cercano di incoraggiarla e le danno un rimedio fatto in casa. Questa solidarietà, il rispetto e l'affetto tra i Sahrawi sono qualcosa di unico.  Il rispetto degli uomini sahraui alle donne, non per imposizione o standard ma per cultura e tradizione è degno di essere citato più e più volte.
Sai quando una di noi è aggredita dalle autorità dell’occupazione è la stessa cosa che se attaccassero 100 uomini. E’ un crimine. Aggredire o insultare una donna è impensabile per la nostra società. Un uomo che maltratta una donna è condannato all’ostracismo da tutti. Mi dice Leila.

Ritorniamo a parlare delle difficoltà di studiare essendo sahraui nei territori occupati.
Molte professioni sono proibite ai saharaui come medicina, ingegneria, fisica. Il fatto di dover studiare in Marocco comporta una spesa enorme per la famiglia che riduce le possibilità di accesso. Leila non vive nel campus, perché non è sicuro, non possiamo fidarci gli studenti marocchini e ci sono molti poliziotti e quando ci sono proteste invadono le nostre case, dice.

Le chiedo dei 144 studenti saharawi in attesa di giudizio da più di un anno nel carcere di Marrakech. "Sono stati arrestati dopo le manifestazioni, hanno avuto sfortuna è la nostra vita. Nessuno parla di noi, perché non facciamo notizia?”.
Il giorno prima la ragazza era andata a visitare il prigionieri Gdeim Izik nel carcere di El Arhat mi ha detto con un luccichio negli occhi: "Come faccio a lamentarmi per così poco. Erano emozionati e sorridenti, che coraggiosi! Mi hanno trasmesso tanta forza e sono un esempio della nostra lotta. Sono innocenti sui quali pesa una pena di 20 anni all’ergastolo, però sorridono!”.

Guardo questa giovane, che in qualsiasi momento può essere arrestata e torturata, una giovane donna che ha affrontato il Tribunale di Sale, un intero giorno, nella manifestazione a sostegno di Gdeim Izik con molti altri giovani, le loro famiglie e amici e vedo la forza, l’incredibile forza, che possiede chi ha ragione, chi difende la giustizia, chi difende la pace.

(traduzione di Lia Di Peri)


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