sabato 10 maggio 2014

Decostruendo la maternità: essere madre in una società senza anima.

Vicky López Ruiz, medico di base.

foto da  mujericolas.blogspot.com.es/

Ogni volta che si parla di salute della donna si finisce col parlare di maternità. Utilizziamo il termine maternità , per parlare dell’atto di generare, isolandolo dalla realtà sociale, assumendo la maternità come un evento a sé, un fatto tra la donna e i suoi figli e le sue figlie.
La maternità, tuttavia, occupa un posto centrale nella vita delle donne determinando modelli di socializzazione e di costruzione delle loro identità. Come professionisti della salute , accettiamo come parte del nostro lavoro quotidiano, accompagnare , consigliare e anche medicalizzare le donne in questa fase. Sappiamo però davvero, che cosa significhi la maternità oggi? 


Maternità garanzia dell’ordine o motore della rivoluzione.

Sin dalle origini del movimento femminista, il rapporto tra la maternità e la politica è stato al centro delle sue lotte. Storicamente si è assunto il ruolo materno come qualcosa di naturale per mantenere l’ordine all'interno di una società gerarchica e patriarcale , esaltando la figura della donna che curava e si occupava della famiglia, esaltando il valore familiare per mantenere lo status quo.
Fin dalla nascita della biopolitica , si è esercitato il controllo sui nostri corpi e organi riproduttivi, costringendoci a convertire il nostro corpo in un campo di battaglia intorno al concetto di maternità. Come ben afferma Silvia Federici, la nostra società ha occultato la produzione della forza-lavoro riproduttiva , sotto la coltre del destino biologico.
Così , già negli anni ’20,il femminismo tenta di decostruire questo concetto di maternità, rifiutandolo come evento naturale e istintivo e assumendolo come costruzione sociale. Femministe come Simone de Beauvoir o Elisabeth Badinter hanno espresso la loro radicale opposizione alla maternità, sostenendo che la perdita di autonomia che comporta il curare era intollerabile per le donne. In questo modo emergeva l’uso della costruzione sociale della maternità per il controllo e l’addomesticamento della donna,trasformando,quella, in stereotipo unificatore delle donne.


Rivalutazione dei lavori di cura.
I movimenti femministi, tuttavia, cominciarono a mettere in discussione quest’assunto, rilevando la funzione sociale della maternità e introducendo questo dibattito nella sfera pubblica. Si comincia a fare della maternità una scelta politica, dalla quale rendere visibile il lavoro domestico e di riproduzione, affermando l’importanza del lavoro di cura.
Così Adrienne Rich parla di fuggire dalla “istituzione materna” per recuperare “l’esperienza materna”. L'importanza di questa posizione è l'uso politico di ciò che è censurato e messo a tacere: la relazione del corpo con la madre. Si tratta di una ristrutturazione dell'ordine sociale, affinché donne e madri siano in grado di parlare e di essere ascoltate. Restituire alla madre l’autorità strappatale, costruendo così un nuovo immaginario, dove le cure e le relazioni sociali siano al centro. Si crea un cambiamento del paradigma in cui si sottolinea l’importanza dell’economia di cura, che consenta la sostenibilità della vita.

Il significato della maternità oggi.


Le donne, oggi, sono stretta tra una maternità desiderata e una maternità utilizzata, controllata e medicalizzata dagli “esperti”. La donna perde così il controllo sulla sua salute, privilegiando il benessere del nascituro e perpetuando la forza –lavoro. Con lo sviluppo capitalistico , i corpi delle donne sono trasformati in macchine per la ri-produzione di lavorator*, cosa che oggi si riflette nelle leggi sull’aborto o nei vantaggi fiscali per la costruzione di una famiglia secondo i concetti etero-normativi.
Yvonne Knibiehler afferma che, una volta conquistato il diritto a non essere madre (anche se ultimamente questa conquista non è così chiara), dobbiamo mantenerlo senza perderci per strada.
Oggi, noi donne vediamo come l’economia di mercato organizza la riproduzione sociale, creando madri economicamente invisibili, il che si traduce in madri politicamente invisibili. Vediamo donne gestire la maternità in una società individualista, dove i legami sono rotti… Donne che generano o esternalizzano cure in una società del disamore, che reinventano il concetto di famiglia e di comunità, nella speranza di trovare il sostegno sociale nella “ modernità liquida”.
In medicina parliamo di salute materna quando, in realtà, stiamo parlando di gravidanza e puerperio, senza complicazioni biomediche. Vendiamo discorsi individualistici basati su vincoli sacri o spirituali ai quali diamo una base biologica.

Perché non stabilire nuove linee di analisi nel nostro immaginario ?  E’ arrivato il momento di valutare se sia possibile una maternità sicura in una società malata, se sia possibile allevare felicemente in una società che squalifica i lavori di cura.
E’ il momento, forse, di collettivizzare le cure e costruire politiche pubbliche, perché la maternità si possa pensare in positivo: costruzione di un diritto e non come privilegio o dovere. E’ tempo che la sanità pubblica restituisca alla’agenda politica tali questioni, al di là di discorsi conservatori e religiosi, che lasciano fuori nuovamente le donne. E’ il momento di costruire una società nella quale le madri possano agire come cittadine di pieno diritto.

http://www.diagonalperiodico.net/blogs/javierpadillab/

( traduz. Lia Di Peri)

domenica 4 maggio 2014

Me ne fotto







Caro padre, fratello, amico, compagno, amante,
seduttore, occasionale o completo sconosciuto:

Me ne fotto della tua opinione sul mio corpo. Me ne fotto del come ti piaccia una donna. Me ne fotto che ti piaccia magra o con le curve. Me ne fotto che tu la veda più bella con i capelli lunghi e me ne fotto che ti piaccia il capello corto. Me ne fotto che ti piacciano le tette grosse o che ti piacciano le tette “normali” e i tuoi sforzi per definire “il normale”.
Me ne fotto che ti piacciano le fighe depilate e me ne fotto che le preferisci “al naturale”, me ne fotto che le vuoi ritagliate o a forma di cuore o colorate: me ne fotto della tua opinione sul mio corpo.
Me ne fotto che cerchi di spiegare la tua opinione sul mio corpo, in conformità a ciò che è naturale per te, come uomo sentirti in diritto di lasciare continuamente la tua opinione sui corpi delle donne. Me ne fotto che il testosterone ti provochi il bisogno di dire chiaramente in ogni momento chi è bella e chi no. Me ne fotto e tu non dovresti preoccuparti: la tua opinione è presente continuamente.

Nei mille cartelli pubblicitari, manifesti, riviste, complimenti, commenti sull’aspetto di una donna, non sapendone nulla, nei mille personaggi femminili dei fumetti, nelle migliaia di grida sulle molestie alle scolare…

Seriamente, quindi, non ho bisogno della tua opinione sul mio aspetto.


Milicia Cebolla/