Quando, sei anni fa, squillò il telefono di casa Adriana Gordo de Rivas non pensò che la giornalista di Olavarría che la stava chiamando, l’avrebbe informata della morte della figlia. E, ancora meno, che ci fosse una nipote. La figlia, Dana Pecci, era stata seppellita da quasi un anno come ignota, dopo che il suo magnaccia l’aveva assassinata. Dana aveva partorito una bimba durante la sua schiavitù, alla quale assegnò il nome di Luciana Paola. Dal 2008, Adriana sta combattendo per avere la custodia della nipote che vive con un figlio dell’assassino, condannato a undici anni per il femminicidio di Dana.
“ Oggi la bimba ha otto anni. Nel 2011, me l’hanno
fatta vedere qualche volta. Aveva sedici mesi, quando hanno ucciso, mia figlia.
Sa che sua madre è morta. Ricorda
persino quando le hanno sparato” dichiara Adriana a Infojus Noticias. Dana
aveva 13 anni, quando cadde nella rete della tratta nella città di Olavarria ( Argentina).
Dopo tre mesi tentò di scappare, ma i tentacoli dell’organizzazione riuscirono
a riprenderla. Nel 2007 forse tentò di fuggire nuovamente, insieme alla figlia.
Non c’è riuscita: le hanno sparato 6 volte, abbandonata in una strada di
periferia. Da quel momento la bimba è cresciuta con la famiglia di Pedro
Rudecindo Adorno, l'uomo che aveva reclutato e le aveva ucciso la madre . Nel
2009, la giudice María Cristina Beaucamp ha dato l’affido provvisorio alla
famiglia Adorno.
Figlia della vittima e del carnefice, la storia di
Luciana Paola, cresciuta in un ambiente difficile di sfruttamento sessuale, rileva
la realtà di quei bambini nati in schiavitù. Non ci sono dati che chiariscano
quanti siano. Né si conosce con precisione il numero delle donne rapite in mano
della tratta.
“ Il caso più rappresentativo, è ovviamente quello di Diana,
ma ce ne sono molti di più” afferma Fabiana Túñez, dell’Ong La Casa del
Encuentro.
“ Non so di nessuna legge che ci protegga. Né tanto meno posso mettermi in contatto con altri casi come il mio”- dichiara a quest’agenzia, la
nonna di Luciana Paola.
Generalmente, le vittime della tratta non diventano
madri durante la prigionia, perché i loro corpi diventano inutili per chi
guadagna su di essi. “ Non puoi lavorare quando sei incinta, né quando stai
male” ha spiegato una donna anch’essa vittima di tratta nella località di San
Miguel , durante un’indagine che, lo scorso anno, sbaragliò una rete di
bordelli che agivano con la complicità della polizia. Nel corso della stessa
indagine, altre vittime raccontarono in sede processuale, come i trafficanti
costringevano una donna incinta a procurarsi l’aborto. Le sue stesse compagne
le misero quattro pillole abortive in vagina, procurandole una forte emorragia.
Poiché non espelleva il feto , le donne le massaggiavano la pancia, affinché lo
espellesse. Non ebbe nessuna assistenza medica.
Per tenerle o sostenere la proprietà sui loro corpi,
alcuni magnaccia violentano e fecondano le loro vittime. Il motivo per cui è
stata adottata la legge sulla tratta nel 2008, che ha dato visibilità al reato
è la vicenda di Marita Verona a Tucumán. Nel caso della giovane, sparita nel
2002 e cercata intensamente dalla madre, Susana Trimarco, c’è la possibilità
che abbia partorito un bambino in schiavitù.
La testimonianza.
Andrea è stata una delle testimoni nel processo per il
rapimento della ragazza di Tucumán. Aveva 15 anni quando conobbe la schiavitù e
lo sfruttamento. Perse la sua identità. I trafficanti la soprannominarono “
Barbie” e se si rifiutava di fare ciò che “passava” la sottoponevano a castighi
e torture. Andrea disse che, in quel tempo, vide Marita in un bordello di Rioja ( Spagna).
Si trovava in punizione, picchiata, legata in piedi in cucina, quando entrò una
donna con un bambino in braccio. Le allentò la corda, mi consigliò di non piangere
perché loro non provano nessuna compassione. Mi mostrò le sue ferite e cicatrici. Le
disse che si chiamava Maria de los Angeles Veron, che veniva da Tucman e che era
soprannominata Marita. Andrea chiese se fosse suo il bambino e lei le confessò
che “El Chenga” Gómez, l’aveva messa incinta, perché non scappasse. Le mostrò
anche una foto che la ritraeva in jeans. Si promisero che la prima che fosse riuscita
fuggire, avrebbe avvisato la famiglia dell’altra. Andrea ci è riuscita e, nel
2012, ha raccontato tutto in tribunale.
“ Se questo bambino c’è ed è mio nipote, io voglio che
appaia” ha dichiarato Susana Trimarco al processo. Susana ha inoltre affermato
che si è rivolta anche alle Abuelas de Plaza de Mayo, per cercare il presunto
figlio di Marita.
La Banca Nazionale dei Dati Genetici dei famigliari è l’unico strumento che potrebbe aiutare nella ricerca dei figli della Tratta. E si aggiungerebbe alla ricerca delle donne desaparecidas per mano della Tratta.
La Banca Nazionale dei Dati Genetici dei famigliari è l’unico strumento che potrebbe aiutare nella ricerca dei figli della Tratta. E si aggiungerebbe alla ricerca delle donne desaparecidas per mano della Tratta.
Ogni volta che si raccoglie e si compone la conoscenza intorno
a questi reati, sempre di più si rilevano punti di contatto con i casi di
crimini contro l’umanità.
Gli strumenti per la ricerca di persone scomparse sono gli stessi. I bambini nati in schiavitù di molte donne detenute illegalmente - rubati dai loro oppressori o dati in adozione – hanno sofferto la stessa perdita d’identità dei figli allevati nelle famiglie dei prostitutori.
Gli strumenti per la ricerca di persone scomparse sono gli stessi. I bambini nati in schiavitù di molte donne detenute illegalmente - rubati dai loro oppressori o dati in adozione – hanno sofferto la stessa perdita d’identità dei figli allevati nelle famiglie dei prostitutori.
Si è saputo, recentemente, che l’Ong “Acciones
Coordinadas contra la Trata” in collaborazione con l’Ufficio che combatte la
Tratta e lo Sfruttamento delle Persone (PROTEX), guidato dal Procuratore Marcelo
Colombo, hanno proposto la creazione di una banca di dati genetici per i casi
di Tratta.
Il progetto riprende l'eredità dell’Equipe Argentina di
Antropologia Forense (EAAF). La scienza al servizio della giustizia, tenta di
incrociare i dati delle denunce per scomparsa, registrate in tutto il paese,
con le informazioni su chi appare come Ignoto, si tratti di persona viva o dei
corpi dei quali l’identità è ancora sconosciuta. C’è anche l’idea che i
famigliari che denuncino una scomparsa per traffico di persone, lascino
campioni di materiale genetico, che contribuiranno a un’eventuale
identificazione.
"L'obiettivo è di collegare due mondi: quello delle
persone scomparse e di quelle trovate e registrate come non identificate negli
obitori, in complessi psichiatrici, ospedali o in altri posti ", ha dichiarato
Colombo.
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Fonte: Infojus Noticias.
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