di Bio
I contratti lavorativi che le insegnanti spagnole furono obbligate a firmare nel 1923, comprendevano nelle loro clausole, il divieto di tingersi i capelli e di viaggiare in auto con un altro uomo, che non fosse il padre o il fratello. Erano costrette a stare in casa dalle 20,00 alle 6,00 del mattino salvo che non dovessero accudire a qualche compito scolastico e dovevano indossare almeno due sottovesti. Inutile dire che era proibito loro passeggiare per le gelaterie della città. Le gelaterie sono luoghi di perdizione, in particolare, dei prodotti artigianali, ma di ciò riparleremo in un altro momento.
Questi obblighi e divieti e molti altri più recenti,
sembrano
ormai anacronismi risibili che sono scomparsi dalla faccia della terra
civilizzata, con la stessa naturalezza con la quale cade dall’albero la frutta
matura o ci si collega a Windows. Tuttavia, come tutti sappiamo e preferiamo
dimenticare, la loro abolizione fu il risultato di secoli di lotta di molte
donne: le femministe.
Io sono femminista. E anche voi signore o signora
grassa o magra, che mi state leggendo. Beh, concedo il beneficio del dubbio e, molto
probabilmente siete stati o avete voluto partecipare all’ultima riunione della
destra (di Josep Anglada) in cui si dice (sempre così originale) che la colpa
di tutto (nella sua interezza) è dei mussulmani (Mori nel loro gergo) e dei latino-americani
(nel loro gergo, terroni). Allora, in questo caso, è raro che voi possiate
essere femminista. Presumo, però, per il buon e raffinato gusto di leggermi,
che voi siate, comunque, usando la terminologia di Mariano Rajoy, una
"persona normale".
“ Non sono machista, né femminista”. “ Non sono femminista
ma femminile”. " Non mi piacciono le idee radicali, non credo che le donne
siano migliori degli uomini”. “ Sicuramente, non sono femminista, perché io non
odio gli uomini…”. Chi non ha detto o sentito una di queste sfortunate frasi,
scagli la prima pietra.
Mentre altre scuole di pensiero, come il socialismo, il
liberalismo o anche l'ambientalismo, sono riusciti a mantenere il prestigio della
loro denominazione (o del loro marchio), nonostante il suo fallimento o oblio,
il femminismo, che in sostanza ha vinto, fissandosi naturalmente nella mente di
tutti, ha ottenuto uno scarso riconoscimento. Frainteso e disprezzato come il
bozzolo abbandonato, che lascia la farfalla, potremmo dire in termini grossolani.
E poteva non essere così importante, se non trascinava per lo stesso sentiero
di oblio e disprezzo, le donne e gli uomini che hanno elaborato e lottato per
le idee femministe ottenendo quei diritti di cui tutti oggi godiamo.
Recentemente si tende a mascherare il poco apprezzato nome
femminismo, con il più accettabile termine “ di genere”, che accompagna come un
cognome di buona famiglia, un buon numero di parole come politica, studi,
problemi, ricerche, osservatori, ecc.
Che cos’è il femminismo? La filosofa spagnola Amelia
Valcárcel, lo definisce come quella tradizione politica della modernità
egualitaria e democratica, che sostiene che nessun individuo della specie umana
debba essere escluso da qualsiasi bene o da qualunque diritto a causa del suo
sesso.
Chi furono le sue precursore? Come si è rilevato in
molte occasioni, non è innocente, che nell’immaginario collettivo si continui
con la caricatura delle femministe, come signore con i baffi che odiano gli
uomini. E non lo è neppure che durante il liceo e la mia carriera in
Giurisprudenza, non furono menzionate una sola volta. Mi si parlo sì, del
fondamentale Diritto canonico e dell’indispensabile Diritto Giustiniano, però
non una parola su Mary Wollstonecraft o Olympe de Gouges, per citarne solo due
tra di esse. Non c'è da meravigliarsi che quando si parla su questioni "di
genere" a volte non sappiamo da dove veniamo, che vogliamo fare e dove si
cerchi di arrivare, persi dopo una strana e pellegrina ‘chiocciolina’ @. Tutti capiscono
cosa intendo.
El senor gordo.
El senor gordo.
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