domenica 24 aprile 2016

A Gaza non si resiste solo al blocco.

Laila e Shawqiyeh sono due donne palestinesi che sopravvivono su tre fonti: l'occupazione israeliana, il blocco israeliano-egiziano e una chiusa società patriarcale, che sottomette le donne in tutti gli ambiti della vita.

Isabel Pérez, giornalista, specializzata in questioni medio - orientali.







Sono poche le donne della striscia di Gaza che scelgono di non indossare il loro anello di nozze. Anche se divorziate o vedove, l'anello è come un talismano davanti agli occhi di chi vive soggetti a interpretazioni rigide della religione e tradizioni e costumi ancorati al passato.
Laila si è tolta il suo anello alla morte del marito in un bombardamento israeliano. Da quel momento, in cui ha anche perso i suoi due figli e una figlia, la vita di Laila è diventata una lotta con più fronti: quello dell’occupazione e il blocco israeliano e quello della società poco abituata a vedere una donna sola a portare avanti le sue quattro figlie.

Cinque giorni dormendo con i morti.

Laila si sposò quando aveva ventuno anni. Il marito lavorava curando orti nella zona di Jabalia, nel nord-est di Gaza ma lui ambiva a volere di più e più volte tentò di costringerla a prostituirsi.
Nel 2008, allo scoppio dell’operazione israeliana “ Piombo Fuso” contro la Striscia di Gaza, la famiglia si trovò sulla linea di fuoco, molto vicina alle truppe israeliane che cominciavano a invadere la Striscia.
“Quando sono cominciati i bombardamenti vicino a casa, ho chiesto a mio marito di infilare i bambini dentro", dice Laila. "Improvvisamente un missile cadde proprio davanti al recinto. Mia figlia maggiore, Feda, rimase ferita a una gamba.  Ho iniziato a urlare a mio marito: Dobbiamo andare, dobbiamo uscire da qui!  Lui non voleva lasciare la casa. "
Il successivo attacco cadde su di loro.
“ Caddi a terra con mia figlia più piccola, Malak.  Non vedevo più nulla. C’era molto fumo e polvere. Poi ho sentito qualcuno gemere di dolore e chiedere aiuto ".
Laila si asciuga le lacrime, fa un respiro profondo e continua.
"Mio figlio Ibrahim è stato scaraventato a terra. Volli alzargli la testa ma la mia mano scivolava dalla sua testa aperta dal bombardamento. L'altro mio figlio, Rakan, era a brandelli. Mio marito giaceva senza vita sotto il tetto ", descrive Laila.
 Mentre ascolta le parole della madre, Neda, che ora è ventisei, porta le mani al viso, come a ricordare la scena. La sorella mori con i libri di scuola in mano “ Stava studiando sempre, voleva andare all’università" dice Neda, che era rimasta così colpita che non voluto portare a termine i suoi studi.
La madre la guarda con compassione, le dice di smettere di lamentarsi e che vada all’università. Neda non risponde, non solo ha registrato nella sua memoria l’immagine della sorella morta ma anche i cinque giorni passati a dormire con i morti nel cortile delle pecore.
"Non avevamo cibo, ma quello che mi preoccupava era che arrivassero i soldati israeliani e facessero qualcosa a mia figlia”, dichiara Laila.

La battaglia per la liberazione e l'indipendenza

Dopo quella guerra, Laila e le quattro figlie sopravvissute, Neda, Sana, Yasmin e la piccola Malak, sono andata a vivere nella casa della famiglia materna. Avevano perso tutto.
"A quel tempo, la famiglia di mio marito ci ha dato un piano ma ci trattavano male. Ci toglievano il denaro che ricevevamo da aiuti e sovvenzioni”, afferma Laila. Inoltre, hanno iniziato una campagna diffamatoria contro di tutte noi, contro l'onore delle mie figlie.”.
Alla fine sono state costrette a tornare alla famiglia di Laila. Con il sostegno finanziario, sono riuscite a costruire diverse camere; ma è arrivata un’altra guerra, questa volta più distruttiva.
"Nel 2014, gli israeliani hanno bombardato la casa. Stavo cominciando a essere indipendente ", lamenta Laila.
Qualche settimana fa, le cinque donne si sono trasferite in una nuova casa in affitto. Un prezzo che possono permettersi non senza sforzi.
"Qui a Gaza il peggio è la guerra. E 'difficile, ma ci dà la forza e la determinazione per pensare a come andare avanti e continuare a vivere come vogliamo, sempre sulla strada giusta. Sto insegnando le mie figlie a essere indipendenti e forti, "dice.
Laila sa che la società in cui vivono non è tutto ciò che esse si aspettano. "Siamo una società in cui le donne devono subire" afferma Laila guardando le figlie. "Le ragazze ora, la nuova generazione, hanno cominciato a muoversi a risvegliarsi e si stanno liberando gradualmente”.

Un divorzio come punizione



La vita di Shawqiyeh non è stata più facile di quella di Laila, pur avendo in casa un figlio maschio. Due volte divorziata, oltre a doversi scontrare con le guerre e con il suo secondo ex marito, che tenta di avere la custodia delle tre figlie e un figlio, Shawqiyeh deve anche combattere contro un fratello despota e manipolatore.
“ E’ stato mio fratello maggiore a costringermi a sposarmi due volte -  assicura Shawqiyeh. "Con il primo non sono stata molto a lungo. Con il secondo, invece, sono stata sposata quattordici anni e abbiamo avuto figli. Aveva avuto in precedenza un'altra donna e ha vissuto con i suoi figli, Ashraf e Anwar ". Quando la figlia maggiore, Zakiyeh, aveva dodici anni e suo figlio Mohammed sette, Anwar, che aveva la stessa età di Zakiyeh, colpì violentemente entrambi.

“Io volli difenderli ma Anwar ha provocato una grande lotta tra la famiglia di mio marito e la mia. Dopo l'evento, mio ​​marito mi ha rifiutato, ha divorziato e mi buttata fuori di casa, dicendomi che rimaneva con i miei figli - racconta Shawqiyeh.
Il giudizio per la custodia ha deciso che le figlie e il figlio avrebbero vissuto con il padre cinque giorni la settimana e due con la madre.
"Un giorno, mentre i bambini erano con me, è arrivato mio marito e se li è portati via – racconta. Quando ho tentato di impedirglielo ha cominciato a picchiarmi. Poi si è seduto sul patio e ha impedito che i vicini entrassero per vedere cosa stava succedendo.
I bambini e la madre non hanno potuto vedersi per due mesi, tempo durante il quale Zakiyeh, Basma, Mohamed e Tamam hanno rifiutato di pulirsi in segno di protesta.
Tamam aveva sette anni, quando una notte, non si è più trattenuto ed è scappato da casa. “ Mentre tutti pensavano che dormissi sono uscito dalla finestra della mia stanza e ho saltato il muro", dice sorridendo Tamam. "Sono andato fuori e ho corso verso la casa, dove stava mia madre."
Il malcontento dei bambini e le continue segnalazioni di Shawqiyeh hanno portato il tribunale a darle la custodia assoluta. Da quel momento la madre è stata costretta a trovarsi al più presto, una casa per vivere con i suoi figli e un mezzo per sostentarli.
“ I miei fratelli non volevano farci vivere con loro: i miei figli non portano il nome di famiglia, ma quello del mio ex marito. Non mi avrebbero aiutata – testimonia la donna.

In guerra con la società di Gaza e l’occupazione israeliana.
Shawqiyeh è andata a casa dei suoi genitori defunti: una capanna fatta di mattoni con piastre metalliche e tetto. Ha venduto tutto quello che aveva, compreso l'oro e i pochi gioielli, che i suoi ex mariti le avevano regalato, secondo la tradizione palestinese, come parte del contratto di matrimonio. Con il denaro raccolto è riuscita a ristrutturare la casa.
Dieci anni dopo, i bombardamenti israeliani dell'operazione militare 'Margine Protector' del 2014 ha distrutto la casa che tanti sacrifici le era costata, non solo per la sua debole struttura ma anche perché i suoi fratelli l’hanno obbligata ad andare via da lì. . Con il salario modesto percepito dalla figlia Zakiyeh e Mohamed hanno preso un piano in affitto, fino a quando è arrivato un colpo di fortuna.
“ Un alto funzionario della polizia si è interessato alla nostra situazione e ha parlato alla famiglia del mio ex marito. Infine, uno dei fratelli di mio ex marito ha avuto pietà e ci ha offerto una sua casetta, il cui affitto deve essere pagato dal mio ex marito che, ovviamente, lo fa a malincuore ", spiega Shawqiyeh.
L’ex marito, rabbioso, ha iniziato a esercitare un maggiore assedio contro di tutti loro e il figlio, Mohamed, che chiama al telefono in ogni momento.
"Mio padre, Abdelsalam mi chiama e mi promette che mi comprerà un appartamento e che mi sposerà con una brava ragazza”, sostiene Mohamed con una smorfia sprezzante.
In pochi secondi il disprezzo che si trasforma in paura.
“Abdelsalam cerca anche di mettermi in prigione. Suo figlio Ashraf è andato alla polizia tre volte, accusandomi di furto e la polizia mi ha più volte picchiato in commissariato "si lamenta il giovane.
Shawqiyeh non può nascondere la preoccupazione e il calvario che ha patito negli ultimi 30 anni della sua vita. Sostiene che l’ex marito vuole prendere le sue figlie per trasformarle nelle sue serve, per non pagare gli alimenti a cui è obbligato dal giudice e vuole prendere tutto il denaro che possono arrivare a offrire i futuri mariti delle giovani.
"Per le mie figlie e mio figlio sono in guerra con il mio ex marito, con i miei fratelli e la società. Allo stesso tempo, sono in guerra con l'occupazione israeliana che ci ha bloccato tutte le uscite dalla Striscia di Gaza e la vita ", sostiene Shawqiyeh. "Come donna, soffro il blocco a tutti i lati. E’ una situazione difficile, che mi auguro che le mie figlie non debbano più soffrire.  Mai più”.




(traduzione di Lia Di Peri)

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