Questa lotta intersezionale contro il sessismo, il machismo, il capitalismo incomincia a
diventare forte nei paesi europei con una grande popolazione nera come la
Francia. Le promotrici sostengono la loro ascendenza africana, optano per la
lotta non-mista e si rifiutano di essere tutelate dal femminismo bianco.
di Andrea Olea
"Il
femminismo come quello delle Femen non cerca l'abolizione del patriarcato né di
altri sistemi di dominio. Il suo scopo è quello elevare le donne bianche di
classe media e alta allo stesso livello degli uomini bianchi, rafforzando la
divisione razziale e sociale. La sua liberazione femminista è imperialista,
occidentale e colonialista.”. Sono parole di Fania Noel, militante del
collettivo afrofemminista francese Mwasi.
Noël, diretta e polemica è una delle leader più visibili in Francia di un movimento, l’Afrofemminismo, che cerca di superare la supposta universalità promosso dalla tradizionale corrente femminista, puntando alla lotta intersezionale contro la discriminazione di genere ma anche di razza, religione o classe sociale.
Noël, diretta e polemica è una delle leader più visibili in Francia di un movimento, l’Afrofemminismo, che cerca di superare la supposta universalità promosso dalla tradizionale corrente femminista, puntando alla lotta intersezionale contro la discriminazione di genere ma anche di razza, religione o classe sociale.
"L’
afrofemminismo nasce da un incrocio di lotte", spiega con meno virulenza la giornalista
senegalese Rokhaya Diallo, residente a Parigi . "Le donne negre si sono rese conto che dentro il
movimento femminista, la maggioranza bianca privilegiata trascurava le
problematiche delle sue sorelle di colore e che nel movimento antirazzista
erano vittime del sessismo dei loro fratelli, quindi non erano in grado di fare
sentire la loro voce in nessuno dei due spazi. Questa scoperta ha portato allo
sviluppo di un femminismo specifico di donne “razzializzate” per la cura dei
loro interessi senza dipendere dalla agenzia femminista o antirazzista
globale".
Dopo anni, guardando con un misto di ammirazione e di invidia agli Stati Uniti, in Europa ha cominciato a prendere forma un nuovo femminismo nero, più de-complessato e irriverente, che si avvicina alle sue radici africane e abbonda nei problemi della colonizzazione e della migrazione. Blogs, Youtube, Twitter… Internet sta permettendo la visibilità a un movimento che attinge alla teoria nata dalle esperienze di discriminazione di tutti i giorni. E la Francia, uno dei paesi europei con la più grande popolazione nera di origine africana, registra questa nuova ondata del femminismo afro - europeo.
Dopo anni, guardando con un misto di ammirazione e di invidia agli Stati Uniti, in Europa ha cominciato a prendere forma un nuovo femminismo nero, più de-complessato e irriverente, che si avvicina alle sue radici africane e abbonda nei problemi della colonizzazione e della migrazione. Blogs, Youtube, Twitter… Internet sta permettendo la visibilità a un movimento che attinge alla teoria nata dalle esperienze di discriminazione di tutti i giorni. E la Francia, uno dei paesi europei con la più grande popolazione nera di origine africana, registra questa nuova ondata del femminismo afro - europeo.
No, non
ci liberano noi ci facciamo carico.
"Ci sono donne a favore del velo come ci sono neri a favore della schiavitù”. "Colonizzazione? La Francia non è responsabile di aver voluto condividere la sua cultura con i popoli dell'Africa, dell'Asia o dell'America. " Queste sono alcune perle lanciate nel 2016 da membri della classe politica francese. Su Twitter o Youtube, attiviste come Mrs. Roots, Naya, La Copine Doudou o Haitiano Molotov, colpiscono senza pietà e con una corrosiva ironia gli autori di quelle uscite dal tono razzista, mentre tessono alleanze con altre femministe nere.
"Ci sono donne a favore del velo come ci sono neri a favore della schiavitù”. "Colonizzazione? La Francia non è responsabile di aver voluto condividere la sua cultura con i popoli dell'Africa, dell'Asia o dell'America. " Queste sono alcune perle lanciate nel 2016 da membri della classe politica francese. Su Twitter o Youtube, attiviste come Mrs. Roots, Naya, La Copine Doudou o Haitiano Molotov, colpiscono senza pietà e con una corrosiva ironia gli autori di quelle uscite dal tono razzista, mentre tessono alleanze con altre femministe nere.
In assenza
di una Accademia dove teorizzare, le afrofeministe francesi si incontrano sulle
reti sociali. E’stato proprio su Internet che è nato nel 2014, il collettivo
Mwasi (donna in lingua lingala). Combattive e viscerali, eccessivamente radicali
per alcuni, le Mwasi usano la lotta non mista come primo strumento di
auto-emancipazione e moltiplicano le loro azioni di denuncia sia sul virtuale
sia nelle strade: dai forum, ai dibattiti e manifestazioni, attraverso azioni di sostegno
delle donne migranti. Fortemente politicizzate, si dichiarano anti-capitaliste,
anti-imperialiste pro-velo e pro-legalizzazione della prostituzione, ciò che
nel paesaggio femminista francese per lo più opposto al lavoro sessuale e allo abbigliamento
islamico, è una dichiarazione di principi.
"La visione del femminismo bianco tende a dimenticare la realtà di altri continenti, di altre culture, di altre classi e di altre religioni, ha detto Aminata Coulibaly-M'Bengue, francese di 21 anni di origine senegalese. "La mia famiglia è musulmana e anche se non siamo praticanti, le costanti critiche sullo uso del velo, mi disturbano profondamente. Sento che viviamo una doppia ma anche tripla oppressione: come donne, come nere, come musulmane”.
"La visione del femminismo bianco tende a dimenticare la realtà di altri continenti, di altre culture, di altre classi e di altre religioni, ha detto Aminata Coulibaly-M'Bengue, francese di 21 anni di origine senegalese. "La mia famiglia è musulmana e anche se non siamo praticanti, le costanti critiche sullo uso del velo, mi disturbano profondamente. Sento che viviamo una doppia ma anche tripla oppressione: come donne, come nere, come musulmane”.
Aminata Coulibaly-M’Bengue, militante femminista e anti-razzista |
Le afro - femministe esigono riparazione e memoria sul
passato schiavista e colonialista della Francia e che sia studiato nelle scuole
“ allo stesso modo in cui si studia il collaborazionismo durante il periodo
nazista." Esse
criticano anche il neocolonialismo francese in Africa. Stéphanie, femminista ivoriana,
di 25 anni, che vive da dieci nel Hexagon, si esprime con durezza: "E 'una
vergogna come si comporta la Francia in Africa, come se si trattasse del
cortile di casa sua. Interviene in Mali, nella Repubblica Centroafricana,
ci dice come le cose devono essere
fatte e noi lo compriamo. La Françafrique ancora ci lega a una sorta di
schiavitù mentale, ” afferma.
Dalle roccaforti del passato coloniale francese, conoscono
bene il resto delle loro vittime, soprattutto, le discendenti della emigrazione
dal Maghreb, la rivolta contro la discriminazione, il razzismo e la xenofobia,
onnipresente nella vita quotidiana della Repubblica. Forse, una delle forze dell’afrofemminismo
francese risiede nella alleanza con il femminismo islamico, entrambi inseriti nel
femminismo postcoloniale, così come nel movimento anti-razzista. Anche in
questo si cominciano a distinguersi attiviste con il nome di donna.
Nel mese di luglio, la morte a Parigi, di un ragazzo negro di
24, Adama Traoré, in custodia della polizia, ha dato forza al movimento Black
Lives Matters in Francia. Di fronte alle manifestazioni a favore della verità e
della giustizia, si trovava una delle sorelle del ragazzo morto, Assa Traoré. E due donne, la mwasi Fania Nöel e Sihame
Assbaghe, altra famosa militante antirazzista di origine magrebina sono state le
organizzatrici nel mese di agosto del primo "campo decoloniale" in
Francia, uno spazio diretto e limitato a persone razzializzate, quelle “che
hanno sofferto il razzismo di Stato sulla propria pelle”. L’evento ha fatto
scorrere fiumi d’inchiostro sui Media e tra la classe politica francese,
accusando le sue promotrici di comunitarismo, segregazionismo e razzismo
anti-bianco.
Questo evento ha posto in primo piano, la questione della lotta non mista, molto presente nell’afro-femminismo e difeso a tutti i costi da parte del Mwasi. Il loro grido di battaglia è “ No, non ci liberano, noi ce ne facciamo carico ”.
Questo evento ha posto in primo piano, la questione della lotta non mista, molto presente nell’afro-femminismo e difeso a tutti i costi da parte del Mwasi. Il loro grido di battaglia è “ No, non ci liberano, noi ce ne facciamo carico ”.
"Questo non è un movimento segregazionista.
Semplicemente è necessario creare spazi non misti in un luogo e tempo limitati,
spazi di parentesi in cui non c'è timore di sottoporsi agli occhi di chi è
parte del gruppo oppressore”, sostiene Rokhaya Diallo.
Invisibilizzate
"In questo paese non ci sono statistiche ufficiali di tipo etnico. C'è una sorta di bisogno di dire 'siamo tutti uguali ". Anche se non lo siamo”, denuncia Aminata. Nessuna esagerazione: la parola 'razza' è stata cancellata dalla Costituzione nel 2013, come se cancellarla servisse a distruggere la discriminazione quotidiana in base al colore della pelle.
Nel caso particolare delle donne nere, le afrofemministe
sottolineano la loro invisibilità assoluta in tutti i settori – sociale,
economica e politica – della vita quotidiana della Repubblica. "Se si
guarda ai politici, alla Assemblea Nazionale francese, ti rendi conto che non
ti rappresenta per niente. Quante donne nere ci sono? Nessuna. C’è stata Christiane Taubira (ex ministra di Giustizia)
e oggi neppure questo “*- dichiara esasperata Aminata. "Per quanto
riguarda i media, i film, le serie ... si trova una totale assenza di donne
nere, e quando ci sono appaiono rappresentate solo da luoghi comuni”.
Contro questi stereotipi si rivolta una delle voci più
autorevoli del panorama afrofemminista francese, la ex attrice e regista Amandine
Gay: “ Nella mia carriera di attrice ho quasi sempre interpretato clandestine,
tossicodipendenti, prostitute, spogliarelliste, donne che entrano ed escono
dalla prigione. Qui, se sei negra, in un film è una parte storica obbligatoria”,
ha recentemente denunciato.
Gay, autrice del vibrante documentario Ouvrir La voix, che
affronta l'esperienza delle Afroeuropee, si scagliava contro l'immagine che
offrono determinate produzioni audiovisive come il film Bande de Filles, Céline
Sciamma (uscito in Spagna nel 2015 come Girlhood) perché, nonostante abbia dato
risalto – cosa rara – come protagoniste alle donne nere, appaiono tutti gli stereotipi della
Niafou, soprannome peggiorativo dato alle ragazze negre delle banlieue (quartieri
a basso reddito, generalmente problematici, delle periferie francesi): volgari,
sboccate, violente, in costantemente legate alla delinquenza . "Ancora una
volta, le donne nere della banlieue secondo la visione ...di una regista
bianca", ha riassunto.
Questa ricorrente rappresentazione simbolica delle donne nere
come elemento esotico, selvaggio, senza parola, è alla unanimità criticata
dalle afro - femministe. “ Esiste in Europa una specie di fantasma della donna
nera, che viene da epoca coloniale", dice Stephanie. “ Ci erotizzano, ci considerano
solamente esseri sensuali e sessuali. Ci disumanizzano”.
Inoltre, lamentano che il peggio arriva quando questo disprezzo della maggioranza bianca privilegiata diventa paternalismo. Aminata, studentessa di Scienze Politiche alla Sorbona, si ribella: "Odio quando si rivolgono a me perché donna nera e mi dicono ‘tu non sei come le altre donne nere, tu sei civilizzata', come se fosse un complimento."Rohaya Diallo si sofferma in questa cosiddetta politica della rispettabilità: "Per essere accettata e degna di rispetto, per non subire razzismo, devi essere registrata in tutti i codici dominanti. Questo passa per agire, parlare o andare vestita e pettinata in un certo modo: come le bianche ".
Inoltre, lamentano che il peggio arriva quando questo disprezzo della maggioranza bianca privilegiata diventa paternalismo. Aminata, studentessa di Scienze Politiche alla Sorbona, si ribella: "Odio quando si rivolgono a me perché donna nera e mi dicono ‘tu non sei come le altre donne nere, tu sei civilizzata', come se fosse un complimento."Rohaya Diallo si sofferma in questa cosiddetta politica della rispettabilità: "Per essere accettata e degna di rispetto, per non subire razzismo, devi essere registrata in tutti i codici dominanti. Questo passa per agire, parlare o andare vestita e pettinata in un certo modo: come le bianche ".
La estetica
come arma di potenziamento.
Per
ribellarsi a questa stigmatizzazione, fin dai suoi inizi, l’afro-femminismo ha
impiegato la estetica come forma di riappropriazione di una identità che è
stata sistematicamente ignorata. "I
capelli sono importanti per essere parte della donna negra che si vuole sempre
cancellare. Oggi la maggior parte di noi porta il suo capello afro stirato o
nascosto sotto le extension. Siamo
nati in un mondo che non vede quei tratti come estetica accettabile ed è per
questo una lotta così importante come il colore della pelle ", ha detto la
giornalista, autrice di un libro intitolato" Afro " nel quale ritrae
120 francesi neri e nere o meticci con il loro capello al naturale.
Rokhaya Diallo, giornalista e militante afrofemminista |
Questo tentativo di rivalutare
l'estetica africana è evidente nella blogosfera e Youtube, dove cominciano a
emergere numerose pagine di moda e bellezza focalizzate su donne nere. Alcune di successo come Fatou Diaye, autrice
del blog Black Beauty Bag, in collaborazione con L'Oreal apparsa spesso nelle
riviste di moda. Diallo si entusiasma: “E’ importante che persone come Diaye
iscriva nel paesaggio pubblico donne nere, non complessate circa il loro fisico
e forme".
[…]
Guardare
alle radici africane
L’afro-femminismo
si apre la strada in Europa e cerca la propria identità di fronte alla corrente
statunitense, comprendendo che la gran parte della sua popolazione nera è di
origine africana, discendente di schiavi o figlia e nipote di immigrati, con la
quale ha una vicinanza più immediata sia geografica sia sentimentale, con il continente dei loro
genitori, nonni e antenati.
[…]
“Vogliamo riappropriarci
di tutti i termini dispregiativi: negra (il termine è molto offensivo di fronte
al neutro nero o black), Niafou, ecc. Non voglio che mi distinguano da altre
donne negre, che non parlano bene il francese, che non vanno vestite come me,
non voglio che mi dicano ‘tu sei migliore delle altre’, non voglio non essere
solidale con le altre donne negre perché sono immigrate o di classe popolare
", afferma Diallo Rokhaya.
Dalla
ricerca di propri referenti si è discusso ai primi di settembre e in occasione
della conferenza 'Black Feminism, and The Politics of Women of Color’, presso l'Università di Edimburgo,
in Scozia, dove le partecipanti provenienti da Regno Unito, Irlanda, Olanda e
Francia, hanno discusso temi quali la migrazione, lo spostamento, la
discriminazione o la violenza fisica e simbolica contro le donne nere in una
prospettiva europea. Nello stesso periodo in Brasile, la celebrazione del Forum
Internazionale di AWID (Associazione per i diritti della donna e lo Sviluppo)
ha avuto come preludio un forum su femminismi nero, che ha permesso di
sottolineare nella sua diversità, con partecipanti provenienti da Europa,
Africa, Stati Uniti, America Latina e nei Caraibi.
“"Nonostante le somiglianze, le nostre realtà europee non sono quelle delle afroamericane.
In realtà, ci sforziamo di concepire un afrofemminismo locale,che non ci impedisca di essere solidali con le lotte sviluppate dalle nostre sorelle della diaspora nera in tutto il mondo ", ha spiegato sul sito della AWID, un'altra mwasi, Sharone Omankoy.
“"Nonostante le somiglianze, le nostre realtà europee non sono quelle delle afroamericane.
In realtà, ci sforziamo di concepire un afrofemminismo locale,che non ci impedisca di essere solidali con le lotte sviluppate dalle nostre sorelle della diaspora nera in tutto il mondo ", ha spiegato sul sito della AWID, un'altra mwasi, Sharone Omankoy.
L'intervista è stata realizzata dopo le dimissioni di
Christianne Taubira che si è opposta al progetto da parte del governo francese di
ritirare la nazionalità francese agli accusati di terrorismo e prima di essere
nominata come ministra Ericka Bareigts.
traduzione di Lia Di Peri
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