mercoledì 15 marzo 2017

Guatemala: la casta delle bambine infiammabili

Chi ha lanciato il fosforo? Chi ha messo la serratura nella stanza? Perché tra le sopravvissute ci sono almeno nove ragazze incinte? Chi ha sentito le urla ed è rimasto fermo mentre le bambine bruciavano? Sono le domande che stanno emergendo nonostante l'opacità della Presidenza del Guatemala. Le indagini avanzano e ci sono già tre funzionari detenuti con l’accusa di omicidio colposo. C’è però un’altra scomoda domanda: perché queste bambine sono state portate in questo posto?  Perché non sono state ascoltate le loro denunce?
Perché esse erano parte dell’invisibile, le usa e getta, le infiammabili.


E 'in primo piano. Il suo volto si gira verso la telecamera, è una maschera pietrificata con la bocca semiaperta. E’ l’urlo. Dietro di lei, sullo sfondo della foto, c'è un mucchio di torsi, teste, braccia, gambe, piedi. Corpi contorti che si coprono gli uni con gli altri, che sono stati fermati, mentre cercavano di fuggire dal fuoco. Non si arriva a vedere nessuna porta vicina. Sembrerebbe che le bambine si sono ammucchiate: sconfitte. Alcune sono sopravvissute, molte sono morte negli ospedali. In cinque giorni il numero ha raggiunto 40. Questo non è il numero definitivo.





E’ stato il fuoco scoppiato l’8 marzo, che ha portato finalmente a mettere in discussione seriamente, con fermezza, il sistema di protezione delle bambine in Guatemala. E 'questo stesso fuoco che (finalmente?) ha suscitato l'indignazione di un settore del paese e ha spinto le organizzazioni legate alla infanzia ad alzare ancora di più la voce. La Hogar Virgen de la Asunción era una bomba a orologeria in attesa della scintilla.

Dal 2013 ci sono state denunce e pubblicazioni sulla stampa sulla protezione dei bambini sotto custodia dello stato (si accusavano gli incaricati della casa di maltrattamenti, di somministrare cibo avariato, di abusi sessuali, di tratta). Lanciavano avvisi ma tutto continuava ugualmente. Perché? Perché questi bambini non interessavano ai governi in carica o alla società che leggeva le note. Perché in Guatemala non si fa molto sforzo per occultare la precarietà, la esclusione, lo abbandono, la situazione in cui centinaia, migliaia, milioni di persone vivono, non solo chi abita in quelle case.
Non c'è bisogno di nascondere la vergogna in un paese che si rifiuta di vedere se stesso.

Ora c’è stupore e indignazione per il macabro fuoco e per le dichiarazioni di ciò che stava succedendo in questo spazio creato per proteggere le bambine in situazioni di vulnerabilità: piccoli abbandonati, alcuni orfani, bambini in fuga da case con madri  che non era in grado di nutrirle, bambini maltrattati, bambine violentate dai loro padri, bambini e adolescenti senza opportunità, facili prede delle fameliche bande. E,allora,i giudici ordinavano allo Stato di proteggerli. E il sistema li trascinava, li versava, li ammassava: più di 700 bambini in uno spazio con una capacità di 400 (non ci sono cifre esatte). Un bilancio miserabile, con personale insufficiente, amministratori senza esperienza e alti funzionari assunti per pagare qualche favore. La casa di accoglienza era un luogo più pericoloso che la strada o delle famiglie, dove le avevano abusate, perché da lì non si poteva fuggire.
Il 7 marzo i bambini sono insorti, alcuni hanno tentato di fuggire e un gruppo di adolescenti sono state chiuse in una stanza.Finora le dichiarazioni ufficiali dicono le stesse ragazze abbiano acceso il fuoco, sembra che per diversi minuti la polizia e i controllori abbiano ignorato le loro urla di aiuto.
L’edificio statale è stato chiuso e a velocità vertiginosa, i minori sono stati ritornati alle famiglie o sono stati trasferiti in altre strutture statali e private; le ragazze che sono sopravvissute, resistono negli ospedali o altri corpi aspettano di essere identificati all’obitorio. Ci sono tre funzionari detenuti, nonostante che, finora il Presidente Jimmy Morales, abbia fatto tutto il possibile per scaricare la responsabilità alle famiglie e manovrato per distogliere l’attenzione della cittadinanza.
Perché se qualche credito si può dare al presidente del Guatemala, è la sua capacità di dire ciò che una parte dei guatemaltechi vogliono sentire. Prima del suo arrivo alla Presidenza faceva ridere con le sue battute più crudeli; poi, in campagna elettorale, sapeva modulare la sua voce come fosse un pastore evangelico, appellarsi al nazionalismo più becero e cavalcare l'onda dell’”anti-politica”. Ora il suo discorso dopo l’incendio si è concentrato nel deviare l’attenzione dalla responsabilità del Governo e dal Ministero del Welfare sotto il suo comando.  Morales punta ad altre istituzioni come la Magistratura o l’Ufficio dei Diritti Umani e dichiara che quelle giovani erano in “conflitto con la legge”. Il presidente fa appello così al subconscio collettivo della legge del taglione, della pena di morte, dei “cattivi”, che possono e devono ardere e sulle loro famiglie che “non le curavano”; criminalizza, responsabilizza, fa che lo sguardo dei “bravi ragazzi” sia di rimprovero e accusatore delle famiglie che organizzano i funerali.  Jimmy Morales rispolvera la vecchia strategia della costruzione del nemico, di distruggere l'altro: ci sono morti che possono essere giustificate, ci sono persone colpevoli della loro stessa morte. Quelle ragazze indisciplinate e le loro negligenti famiglie se la sono cercata.

Il suo discorso è caduto come semi in un terreno fertile. Il Guatemala è un territorio di polvere da sparo e lo Stato è un mostro di cartone che serve per arricchire e proteggere alcuni e per schiacciare e ignorare altri. Uno Stato collassato i cui governanti non sono in grado di prevenire e considerano le carceri, i centri psichiatrici, le case per anziani, i rifugi per bambini, le ultime fogne della società.

Il 7 dicembre di ogni anno si celebra in Guatemala “ la bruciatura del diavolo”, si escono da casa tutti i rifiuti accumulati durante l’anno e la sera si fa un grande falò, dove ardono i brutti ricordi e ciò che non serve. Il fuoco, l'elemento mitico della morte e della purificazione.
Gli incendi hanno lasciato cicatrici nella storia nazionale: quello che ha bruciato queste bambine non è il primo.
Nel 1960, bruciò l’ospedale psichiatrico, dove morirono più di 150 persone, tra malati, criminali e indigenti; nel 1980 l'incendio presso l'Ambasciata di Spagna, nel quale morirono 37 persone carbonizzate, 22 contadini, 8 diplomatici e cinque studenti, e per molti anni si è speculato che furono gli stessi contadini a immolarsi. I fuochi delle guerre che hanno incendiato chiese, scuole, ranch con persone all'interno. Di questi fuochi rimangono i carboni inceneriti, tizzoni che nessuno si preoccupa di spegnere, in attesa di un nuovo accesso di rabbia o di uno stupido e brutale tentativo di spegnerli con la forza, la benzina o con la serratura.

Il comune denominatore di questi incendi è che alcuni in Guatemala hanno giustificato e continuano a giustificare la tragedia. Questi incendi sono collegati, perché ci sono ancora guatemaltechi che pensano che ci siano quelli che meritano di morire tra le fiamme; sono collegati perché lo Stato ha un ruolo da protagonista (per negligenza o per averlo acceso) e hanno in comune che in molti casi le persone uccise erano una parte della popolazione considera l’"altra": i malati, gli agricoltori, le ragazze povere ...

#FueElEstado dice l’hastag nelle reti sociali ed esce qualcuno in difesa di questi enti acefali e gelatinosi. Il fumo oscura la vera responsabilità dei funzionari che hanno assunto incarichi grazie al clientelismo e pagamenti in campagna elettorale; il calore impedisce di vedere che dietro il Presidente (i presidenti della storia) è il capitale finanziario che gioca a scacchi con i governanti e alleati corrotti per fare affari.
Sembra impossibile riconoscere che queste ragazze bruciate, come le loro madri e nonne sono nate con le carte segnate del destino, in un circolo vizioso di povertà, di abusi, di violenza, nella impossibilità di uscire dal baratro.

Per alcuni in Guatemala parlare di disuguaglianza, di esclusione, razzismo, di machismo è eresia.
E 'più comodo guardare in silenzio di fronte ai dibattiti sui cambiamenti strutturali del sistema, come le proposte di riforma nel settore della giustizia in fase di stallo al Congresso – della riforma fiscale stagnante a infinitum. E’ più comodo stare in silenzio piuttosto che parlare di educazione sessuale e riproduttiva -in cui i gruppi religiosi e conservatori si incaricano di mettere ostacoli a qualsiasi politica a essa collegata. Esigere che lo Stato garantisca la salute e l’istruzione, punti fondamentali – per questi gruppi è una utopia, mentre per altri è uno slogan comunista. La realtà è che, per alcuni, questo silenzio funziona relativamente bene, tranne quando vi è una tragedia, tranne quando si appiccica il fuoco. Gli incendi, però, si mitigano.

In mezzo al caos amministrativo, quasi una settimana dopo l'incendio, alcuni genitori continuano a vagare disperati tra gli ospedali, gli obitori e la segreteria - ora ghigliottinata- in cerca delle loro figlie. Un comando di volontari (per lo più donne) ordina e accompagna le famiglie abbandonate, perse tra la burocrazia e l’angoscia, perché le istituzioni fanno poco. Il corpo delle bambine sono riportate alle loro genti e quartieri di origine, si organizzano collette per pagare i funerali, si lanciano campagne per comprare le cose più elementari, appellandosi alla bontà e alla carità di tutti. Poco alla volta, i volti dei bambini e i nomi delle bambine bruciate, non occuperanno i titoli dei giornali.

Rimarrà nella storia, la foto delle bambine carbonizzate, come quella dell’incendio del reparto psichiatrico e della ambasciata. Forse, questa volta, ci sarà giustizia, alcuni ingranaggi si muovono, come quella della Procura. Ma conoscendo la storia, c'è poca speranza che, questa volta, sapremo vedere che nascosti dietro la pila dei corpi carbonizzati, ci sono migliaia di bambine in una fila infernale. C'è una casta destinato all'oblio. Perché ignoriamo i segnali di fumo.
Perché ci rifiutiamo di vedere le ragazze e le donne più vulnerabili, le indigene, gli altri, anche se ci bruciano le ciglia. Siamo stati incapaci di guardare negli occhi queste bambine.
Con essa, con la foto, la senza nome, nessuno potrà incrociare il suo sguardo: le sue cornee sono esplose con il fuoco.


(traduzione di Lia Di Peri)

Revista Factum.

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