Chi ha lanciato il fosforo?
Chi ha messo la serratura nella stanza? Perché tra le sopravvissute ci sono
almeno nove ragazze incinte? Chi ha sentito le urla ed è rimasto fermo mentre
le bambine bruciavano? Sono le domande che stanno emergendo nonostante l'opacità
della Presidenza del Guatemala. Le indagini avanzano e ci sono già tre
funzionari detenuti con l’accusa di omicidio colposo. C’è però un’altra scomoda
domanda: perché queste bambine sono state portate in questo posto? Perché non sono state ascoltate le loro
denunce?
Perché esse erano parte dell’invisibile, le usa e getta, le infiammabili.
Perché esse erano parte dell’invisibile, le usa e getta, le infiammabili.
E 'in primo piano. Il suo
volto si gira verso la telecamera, è una maschera pietrificata con la bocca
semiaperta. E’ l’urlo. Dietro di lei, sullo sfondo della foto, c'è un mucchio
di torsi, teste, braccia, gambe, piedi. Corpi contorti che si coprono gli uni
con gli altri, che sono stati fermati, mentre cercavano di fuggire dal fuoco. Non
si arriva a vedere nessuna porta vicina. Sembrerebbe che le bambine si sono
ammucchiate: sconfitte. Alcune sono sopravvissute, molte sono morte negli
ospedali. In cinque giorni il numero ha raggiunto 40. Questo non è il numero
definitivo.
E’ stato il fuoco
scoppiato l’8 marzo, che ha portato finalmente a mettere in
discussione seriamente, con fermezza, il sistema di protezione delle bambine in
Guatemala. E 'questo stesso fuoco che (finalmente?) ha suscitato l'indignazione
di un settore del paese e ha spinto le organizzazioni legate alla infanzia ad
alzare ancora di più la voce. La Hogar Virgen de la Asunción era una bomba a
orologeria in attesa della scintilla.
Dal 2013 ci sono state
denunce e pubblicazioni sulla stampa sulla protezione dei bambini sotto custodia
dello stato (si accusavano gli incaricati della casa di maltrattamenti, di
somministrare cibo avariato, di abusi sessuali, di tratta). Lanciavano avvisi
ma tutto continuava ugualmente. Perché? Perché questi bambini non interessavano
ai governi in carica o alla società che leggeva le note. Perché in Guatemala
non si fa molto sforzo per occultare la precarietà, la esclusione, lo abbandono,
la situazione in cui centinaia, migliaia, milioni di persone vivono, non solo
chi abita in quelle case.
Non c'è bisogno di nascondere la vergogna in un paese che si rifiuta di vedere se stesso.
Non c'è bisogno di nascondere la vergogna in un paese che si rifiuta di vedere se stesso.
Ora c’è stupore e
indignazione per il macabro fuoco e per le dichiarazioni di ciò che stava
succedendo in questo spazio creato per proteggere le bambine in situazioni di
vulnerabilità: piccoli abbandonati, alcuni orfani, bambini in fuga da case con madri che non era in grado di nutrirle, bambini maltrattati, bambine violentate
dai loro padri, bambini e adolescenti senza opportunità, facili prede delle
fameliche bande. E,allora,i giudici ordinavano allo Stato di proteggerli. E il
sistema li trascinava, li versava, li ammassava: più di 700 bambini in uno
spazio con una capacità di 400 (non ci sono cifre esatte). Un bilancio
miserabile, con personale insufficiente, amministratori senza esperienza e alti
funzionari assunti per pagare qualche favore. La casa di accoglienza era
un luogo più pericoloso che la strada o delle famiglie, dove le avevano abusate,
perché da lì non si poteva fuggire.
Il 7 marzo i bambini sono
insorti, alcuni hanno tentato di fuggire e un gruppo di adolescenti sono state
chiuse in una stanza.Finora le dichiarazioni ufficiali dicono le stesse
ragazze abbiano acceso il fuoco, sembra che per diversi minuti la polizia e i
controllori abbiano ignorato le loro urla di aiuto.
L’edificio statale è stato chiuso e a velocità vertiginosa, i minori sono stati ritornati alle famiglie o sono stati trasferiti in altre strutture statali e private; le ragazze che sono sopravvissute, resistono negli ospedali o altri corpi aspettano di essere identificati all’obitorio. Ci sono tre funzionari detenuti, nonostante che, finora il Presidente Jimmy Morales, abbia fatto tutto il possibile per scaricare la responsabilità alle famiglie e manovrato per distogliere l’attenzione della cittadinanza.
L’edificio statale è stato chiuso e a velocità vertiginosa, i minori sono stati ritornati alle famiglie o sono stati trasferiti in altre strutture statali e private; le ragazze che sono sopravvissute, resistono negli ospedali o altri corpi aspettano di essere identificati all’obitorio. Ci sono tre funzionari detenuti, nonostante che, finora il Presidente Jimmy Morales, abbia fatto tutto il possibile per scaricare la responsabilità alle famiglie e manovrato per distogliere l’attenzione della cittadinanza.
Perché se qualche credito
si può dare al presidente del Guatemala, è la sua capacità di dire ciò che una
parte dei guatemaltechi vogliono sentire. Prima del suo arrivo alla Presidenza
faceva ridere con le sue battute più crudeli; poi, in campagna elettorale,
sapeva modulare la sua voce come fosse un pastore evangelico, appellarsi al
nazionalismo più becero e cavalcare l'onda dell’”anti-politica”. Ora il suo
discorso dopo l’incendio si è concentrato nel deviare l’attenzione dalla
responsabilità del Governo e dal Ministero del Welfare sotto il suo comando. Morales punta ad altre istituzioni come la
Magistratura o l’Ufficio dei Diritti Umani e dichiara che quelle giovani erano
in “conflitto con la legge”. Il presidente fa appello così al subconscio
collettivo della legge del taglione, della pena di morte, dei “cattivi”, che
possono e devono ardere e sulle loro famiglie che “non le curavano”;
criminalizza, responsabilizza, fa che lo sguardo dei “bravi ragazzi” sia di
rimprovero e accusatore delle famiglie che organizzano i funerali. Jimmy Morales rispolvera la vecchia strategia
della costruzione del nemico, di distruggere l'altro: ci sono morti che possono
essere giustificate, ci sono persone colpevoli della loro stessa morte. Quelle
ragazze indisciplinate e le loro negligenti famiglie se la sono cercata.
Il suo discorso è caduto
come semi in un terreno fertile. Il Guatemala è un territorio di polvere da
sparo e lo Stato è un mostro di cartone che serve per arricchire e proteggere
alcuni e per schiacciare e ignorare altri. Uno Stato collassato i cui
governanti non sono in grado di prevenire e considerano le carceri, i centri
psichiatrici, le case per anziani, i rifugi per bambini, le ultime fogne della
società.
Il 7 dicembre di ogni anno
si celebra in Guatemala “ la bruciatura del diavolo”, si escono da casa tutti i
rifiuti accumulati durante l’anno e la sera si fa un grande falò, dove ardono i
brutti ricordi e ciò che non serve. Il fuoco, l'elemento mitico della morte e
della purificazione.
Gli incendi hanno lasciato cicatrici nella storia nazionale: quello che ha bruciato queste bambine non è il primo.
Gli incendi hanno lasciato cicatrici nella storia nazionale: quello che ha bruciato queste bambine non è il primo.
Nel 1960, bruciò l’ospedale
psichiatrico, dove morirono più di 150 persone, tra malati, criminali e
indigenti; nel 1980 l'incendio presso l'Ambasciata di Spagna, nel
quale morirono 37 persone carbonizzate, 22 contadini, 8 diplomatici e cinque
studenti, e per molti anni si è speculato che furono gli stessi contadini a immolarsi. I fuochi delle guerre che hanno incendiato chiese, scuole, ranch
con persone all'interno. Di questi fuochi rimangono i carboni inceneriti,
tizzoni che nessuno si preoccupa di spegnere, in attesa di un nuovo accesso di
rabbia o di uno stupido e brutale tentativo di spegnerli con la forza, la
benzina o con la serratura.
Il comune denominatore di questi incendi è che alcuni in Guatemala hanno giustificato e continuano a giustificare la tragedia. Questi incendi sono collegati, perché ci sono ancora guatemaltechi che pensano che ci siano quelli che meritano di morire tra le fiamme; sono collegati perché lo Stato ha un ruolo da protagonista (per negligenza o per averlo acceso) e hanno in comune che in molti casi le persone uccise erano una parte della popolazione considera l’"altra": i malati, gli agricoltori, le ragazze povere ...
Il comune denominatore di questi incendi è che alcuni in Guatemala hanno giustificato e continuano a giustificare la tragedia. Questi incendi sono collegati, perché ci sono ancora guatemaltechi che pensano che ci siano quelli che meritano di morire tra le fiamme; sono collegati perché lo Stato ha un ruolo da protagonista (per negligenza o per averlo acceso) e hanno in comune che in molti casi le persone uccise erano una parte della popolazione considera l’"altra": i malati, gli agricoltori, le ragazze povere ...
#FueElEstado dice l’hastag
nelle reti sociali ed esce qualcuno in difesa di questi enti acefali e gelatinosi.
Il fumo oscura la vera responsabilità dei funzionari che hanno assunto
incarichi grazie al clientelismo e pagamenti in campagna elettorale; il calore
impedisce di vedere che dietro il Presidente (i presidenti della storia) è il
capitale finanziario che gioca a scacchi con i governanti e alleati corrotti
per fare affari.
Sembra impossibile
riconoscere che queste ragazze bruciate, come le loro madri e nonne sono nate con le carte segnate del destino, in un circolo vizioso di povertà, di abusi, di
violenza, nella impossibilità di uscire dal baratro.
Per alcuni in Guatemala
parlare di disuguaglianza, di esclusione, razzismo, di machismo è eresia.
E 'più comodo guardare in
silenzio di fronte ai dibattiti sui cambiamenti strutturali del sistema, come
le proposte di riforma nel settore della giustizia in fase di stallo al
Congresso – della riforma fiscale stagnante a infinitum. E’ più comodo stare in
silenzio piuttosto che parlare di educazione sessuale e riproduttiva -in cui i
gruppi religiosi e conservatori si incaricano di mettere ostacoli a qualsiasi
politica a essa collegata. Esigere che lo Stato garantisca la salute e l’istruzione,
punti fondamentali – per questi gruppi è una utopia, mentre per altri è uno
slogan comunista. La realtà è che, per alcuni, questo silenzio funziona relativamente
bene, tranne quando vi è una tragedia, tranne quando si appiccica il fuoco. Gli
incendi, però, si mitigano.
In mezzo al caos
amministrativo, quasi una settimana dopo l'incendio, alcuni genitori continuano
a vagare disperati tra gli ospedali, gli obitori e la segreteria - ora ghigliottinata-
in cerca delle loro figlie. Un comando di volontari (per lo più donne) ordina e
accompagna le famiglie abbandonate, perse tra la burocrazia e l’angoscia,
perché le istituzioni fanno poco. Il corpo delle bambine sono riportate alle
loro genti e quartieri di origine, si organizzano collette per pagare i
funerali, si lanciano campagne per comprare le cose più elementari, appellandosi
alla bontà e alla carità di tutti. Poco alla volta, i volti dei bambini e i
nomi delle bambine bruciate, non occuperanno i titoli dei giornali.
Rimarrà nella storia, la foto
delle bambine carbonizzate, come quella dell’incendio del reparto psichiatrico
e della ambasciata. Forse, questa volta, ci sarà giustizia, alcuni ingranaggi
si muovono, come quella della Procura. Ma conoscendo la storia, c'è poca
speranza che, questa volta, sapremo vedere che nascosti dietro la pila dei
corpi carbonizzati, ci sono migliaia di bambine in una fila infernale. C'è una
casta destinato all'oblio. Perché ignoriamo i segnali di fumo.
Perché ci rifiutiamo di
vedere le ragazze e le donne più vulnerabili, le indigene, gli altri, anche se
ci bruciano le ciglia. Siamo stati incapaci di guardare negli occhi queste
bambine.
Con essa, con la foto, la senza nome, nessuno potrà incrociare il suo sguardo: le sue cornee sono esplose con il fuoco.
Con essa, con la foto, la senza nome, nessuno potrà incrociare il suo sguardo: le sue cornee sono esplose con il fuoco.
(traduzione di Lia Di Peri)
Revista Factum.
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