lunedì 8 maggio 2017

Per le fessure omofobe dell’omonazionalismo.

Brigitte Vasallo




Eliad Cohen è un produttore, attore, modello e imprenditore gay israeliano ingaggiato dal programma Supervivientes di Tele5, nella edizione 2017.  La sua presentazione è stata chiara e completa: dopo tre anni nell'esercito israeliano (sic) è abituato a superare la fame e il freddo e vuole normalizzare l'immagine "gay" lontano da ogni eccentricità. Qualcosa di simile a quello che ha affermato il presidente del Cogam, Jesús Grande, secondo il quale: “L’Orgoglio gay è qualcosa che andrà oltre l'immagine della checca pazza, sopra una carrozza”.


Dell’omonazionalismo, concetto coniato da Jasbir Puar en 2007, circolano diverse definizioni: è una struttura tra il nazionalismo bellico – imperialista e l’omo-normativismo (questi gay “normali” che non sono froci pazzi e, conseguentemente, si arruolano nell’esercito come qualsiasi uomo, molto uomo) ed è anche un movimento di cooptazione da parte di questa nazione bellica dei diritti LGBT in favore delle politiche coloniali e razziste. Un esempio è il modo in cui i giornali di estrema destra spagnola, come Libertad Digital, La Razón, non esitano a pubblicare articoli e editoriali accusando paesi come l'Arabia Saudita o l'Iran di omofobia e difendendo, di conseguenza, la politica bellica dell’estrema destra e accusando partiti, come Podemos, di complicità con l’omofobia, per aver criticato gli interventi militari in Medio Oriente. In effetti, è la trappola (interessata) del linguaggio in queste ultime settimane, come indica Dani Ahmed, di chiamare "campi di concentramento per gli omosessuali”, i centri di internamento in Cecenia e “Centri di internamento per Stranieri”, CIE, quando i campi di concentramento sono in Spagna.

La Cecenia ha subito due decenni di attacco genocida da parte della Russia, di fronte alla quale eravamo tutti indifferenti, comunità LGBT compresa, che mai abbiamo pensato che quelle uccisioni fossero anche queer. Anna Politkovskaya è stata uccisa per la sua posizione contro Putin e contro la guerra e per essere stata la giornalista che ha scritto del terrore in Cecenia. Tra le persone uccise oggi in Siria, Iraq o Yemen ci sono anche persone queer, che non stanno ricevendo la nostra solidarietà.

Propongo di aggiungere a queste definizioni, l’analisi dell’omonazionalismo come un'alleanza tra il razzismo insito nella Nazione Guerrafondaia Colonialista e l'omofobia / transfobia, un parametro essenziale che si sta perdendo ma che in realtà è inerente alla Nazione Guerrafondaia.

Come ha ben dimostrato Ochy Curiel, questa Nazione Guerrafondaia è essenzialmente eterosessuale. L’omofobia correlata all’omonazionalismo, tuttavia, non appare più nel tradizionale discorso omofobo / transfobo ma attraverso un discorso che lo è in modo uguale ma sotto le forme dell’omo-normatività.
La omonormatività parte da un divario di accettazione all'interno della Nazione Bellica Coloniale: ti lasciamo appartenere, ti concediamo la possibilità all’esistenza, però in cambio, devi essere buono, devi essere "normale”.  Questo "essere buono" comprende abbandonare carri ed eccentricità.
Il nuovo cittadino gay, la nuova cittadina lesbica e trans, normalizzerà una cittadinanza esemplare, per farsi perdonare questa anomalia del loro desiderio e identità.

Negli Stati Uniti si è combattuta una battaglia legale intorno al matrimonio tra persone dello stesso sesso che ci dà molte delle chiavi di intendere il fenomeno dell’omonazionalismo. La stessa notte in cui Barack Obama vinceva le sue prime elezioni, un referendum noto come Proposition 8, smantellava nello Stato della California il diritto di matrimonio per persone dello stesso sesso. Questo referendum è stato portato in giudizio davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. La comunità LGBT ebbe come rappresentante legale, Ted Olson, un avvocato di George Bush. Com’è possibile che un avvocato ultra-conservatore si elevasse a difensore del matrimonio dei e delle reiette della Nazione? Lo spiega lui stesso: “Il matrimonio è un valore conservatore. Due persone che si amano, che vogliono vivere insieme in una relazione stabile, che vogliono formare una famiglia, un quartiere e la nostra economia, dobbiamo far in modo che si uniscano in matrimonio”.

Il diritto di esistenza, quindi, non è incondizionato. Gli eterosessuali possono salire sui carri ed essere stravaganti fino alla nausea ma non i gay. Le eterosessuali possono avere amanti di una notte, mentre noi lesbiche dobbiamo amarci tutta la vita per dimostrare che il “nostro” amore è valido. Le persone cis possono essere contro il lavoro o, semplicemente, essere orgogliosamente pigre.  Attenzione, però, con le persone trans: devono contribuire docilmente alla economia per dimostrare il loro diritto di essere, semplicemente. 


Questo accordo tra la Nazione Bellica Coloniale e le periferie sesso-affettive è una promessa di protezione: alla fine possiamo dormire sonni tranquilli. Perché se vi comporterete bene, sarete dei “nostri”. Allo stesso tempo, questo “essere dei nostri” genera il suo binario opposto. Gli altri.

La macchina omonazionalista promuove quindi l'immagine delle persone gay, lesbiche e transessuali accettabili, lancia allo stesso tempo un messaggio inevitabile per i/le inaccettabili.  Giovani, belli (normativamente), magri, bianchi, di classe media (quando non alta), con caratteristiche molto normative come la loro prestanza, consumistici e spensierati. Spoliticizzati e spiumati.
Il gay accettabile è un ragazzo sano abbastanza macho, per non mettere a rischio la mascolinità egemonica. La lesbica accettabile è una ragazza carina e innocua che può servire il desiderio maschile eterosessuale. La persona trans accettabile è la persona con passing. La persona bisessuale accettabile è quella che si decide per l’una o per l’altra cosa e la smette di rompere le scatole. Tutti secolari e accoppiati a due a due, niente crussing né di lattice né di altre cose strane. Nulla di eccentrico. Niente piume.  E, ovviamente, nessuna classe, nessuna razza, nessuna situazione amministrativa. Niente di niente.

Questo movimento è utilizzato per costruire l'alterità. “Noi” (che siamo bianchi, ricchi, con caratteristiche normative, consumistiche, nazionali) siamo gayfriendly e il “nostro” opposto (che è razzializzato, che è povero, maldestro, che non consuma né produce, straniero/estraneo) è omofobo. E non solo omofobo ma chiaramente eterosessuale. Perché l'immaginario della persona queer razzializzata, musulmana, straniera, crip, povera (impoverita), migrante, semplicemente, scompare. Forse, la loro unica possibilità di esistenza di fronte alla Nazione sarà passare dalla biglietteria per pagare il prezzo della accettazione: se rinunci all’Islam, ti accettiamo come gay. Se non si mette sul tavolo la razza, ti accettiamo come lesbica.  Se possiamo redimerti ed esibirti per i nostri spettacoli, ti accetteremo come trans. Se possiamo usarti per generare razzismo e/o xenofobia, ti applaudiremo, anche se ti renderai visibile come bisessuale. Tutto ciò, sempre dalla prospettiva di vittima salvata: persone orgogliosamente queer od orgogliosamente musulmane, non interessa a nessuno.

Israele, tornando al nostro primo ospite, il Sopravvissuto Eliad Cohen, è l'esempio paradigmatico di come si ponga questo pensiero nella politica reale. Il paese si pubblicizza da alcuni anni, come un paradiso della comunità LGBT, in quella strategia chiamata pinkwashing. Tel Aviv è stata dichiarata come la destinazione più "gay-friendly" nel 2011. Il rappresentante di Israele in Eurovision l'anno scorso è stato Hovi Star, apertamente gay. Ha cantato il tema ‘Made of stars’ e le stelle del videoclip erano droni.

Gli stessi droni israeliani, che hanno ucciso a Gaza. Né più né meno. Almeno di non credere che la omosessualità sia un vizio bianco borghese a Gaza c’è una comunità queer sotto il fuoco di quegli stessi droni gayfriendly. Così come l'Europa o gli Stati Uniti, Israele è gay-friendly (e uso il generico maschile con tutta la mia malavoglia) solo per i gay che ti interessano. Quelli che sono utili a giustificare la violenza. Questi sono accettabili. Questi che - ovviamente - non sono palestinesi resistenti sono utilizzabili a fini propagandistici.

L’analisi del pinkwashing non può essere ridotta ad Israele. In Francia, il Fronte Nazionale non soltanto ha come vice-presidente un gay dichiarato ma Matthieu Chartraire, Mister Gay per chi non lo sapesse, si vanta della sua tessera di socio fascista che, dice, di aver ricevuto "come regalo di Natale."
Nello Stato spagnolo, il gotha del Partito Popolare ha partecipato al matrimonio (gay) di Javier Maroto, ex sindaco di Gasteiz ben noto per la sua islamofobia con foto di famiglia incluse nella stampa nazionale, mentre che, il governo centrale, rifiutava la riproduzione assistita a "donne senza partner uomo” attraverso il decreto ministeriale 2026/2014.



La popolazione LGBT è razzista?

L’omonazionalismo si infiltra attraverso tutte le fessure. E tuttavia, l'analisi e la resistenza hanno bisogno di fine pennellata. Perché nella sua denuncia di razzismo si versa LGTBfobia a fiotti.
Le comunità che hanno resistito alla etero-normatività sono comunità a rischio in tutto il mondo: questo è un fatto. Nello stesso modo in cui il machismo è trasversale e, allo stesso tempo, dobbiamo analizzarlo contestualmente, così è lo stesso per la LGBTfobia. E in effetti, la identità LGBT è coloniale e colonizzatrice (l’identità non le pratiche né i desideri) ma non lo è più né meno della identità eterosessuale altrettanto coloniale e colonizzatrice.

D'altra parte, l’omonazionalismo indica come un diritto di esistenza sia strumentalizzato a favore del razzismo, la xenofobia e la islamofobia. Tradurre questa idea con lo associare la comunità LGBT razzista è anche questa omofobia. Tra di noi, comunità LGBT ci sono ci sono tanti razzisti come tra gli eterosessuali. E, poiché, siamo una minoranza quantitativa e qualitativa, il problema non siamo noi. Forse, noi siamo la trappola, lo strumento.

Così come, non si possono capire le violenze di genere di una comunità minacciata dal razzismo (e cercare di capire senza prestare attenzione alla ferita del razzismo è razzista in sé) lo stesso non si può capire le violenze razziali in una comunità afflitta da LGBTfobia (e cercare di capire senza prestare attenzione alle ferite della LGBTfobia è LGBTfobico in sé). Noi siamo una comunità più vulnerabile alla paura rispetto ad altri, e così piena di merda come qualsiasi altra comunità. Questa non è una scusa: è una necessaria costatazione per affermare che non si comprendere l’omonazionalismo senza occuparsi della omofobia. E non si può capire senza decentrarsi dal quadro omonazionalista che identifica la comunità queer con una rappresentazione interessata: le persone che non rientrano nella etero-normatività non sono soltanto Eliad Cohen e i suoi amici piume-omofobi.

L’omonazionalismo in sé è quello che ha creato il sequestro delle nostre identità in favore di questi (omofobi). Affermiamolo come paradigma di una comunità che non è nemmeno comunità, che riunisce un universo di persone attraversate da molto più del solo orientamento sessuale e con enormi disuguaglianze e differenze che alimenta la LGBTfobia da un lato, e il razzismo dall’altro.


Allo stesso modo che i razzializzati eterosessuali non sono omofobi di per sé ma come conseguenza della razzializzazione, gli omosessuali, le persone queer e trans bianchi neppure sono razzisti di per sé come conseguenza dell’ orientamento sessuale e identità di genere. In ogni caso, è la eterosessualità che crea l’omofobo com’è la bianchezza crea il razzista. Anche la nostra costruzione identitaria è però attraversata da molte violenze specifiche. Credere nel determinismo biologico o nella impossibilità di resistere a una costruzione sociale che ci vuole razzisti e/o omofobi è estremamente pericoloso. Perché allora non c'è soluzione, nessuna agenzia, e in fondo nessuno è colpevole né responsabile di nulla: tutti siamo ciò che ci tocca essere. Noi persone queer, però, abbiamo un vantaggio che è quello della nostra esperienza di non essere ciò che ci tocca essere. Abbiamo esperienza nel tradire le nostre famiglie, la nostra genetica, la nostra istruzione. Come non possiamo tradire la nostra razza, anche se la razza è offerta come privilegio della bianchezza, se abbiamo già tradito tutti i possibili privilegi?
Già trenta anni fa, Gloria Anzaldúa, scriveva nel suo impescindible 'Borderlands / La Frontera':

"Come lesbica non ho razza, la mia gente mi disprezza; ma sono tutte le razze, perché il mio essere queer è in tutte loro.”

L'idea del queer come spazio al di là della razza è stato un cattivo affare come l'idea del omosessuale come uno spazio al di là di genere. Nella prima, la bianchezza egemonica se lo è mangiato tutto, nella seconda, la mascolinità egemonica ha travolto tutto. Affinché questi spazi siano possibili, è necessario articolare davvero la razza, il sesso e la classe. Quest’ultima, rilevo, mascherata da discorsi indecifrabili e piroette intellettuali che disattivano e disprezzano gli attivismi che non hanno accesso a tutto questo armamentario.

Un accesso che l’Accademia blocca attraverso il linguaggio stesso e soffocanti eccellenze per i suoi congressi e pubblicazioni e che riproduciamo nelle assemblee attraverso il vittimismo degli accenti e il campo minato della comunicazione. Il privilegio dell’accesso dovrebbe comportare l'obbligo di tradurre la teoria in lingua e le realtà quotidiane e la pazienza di ripeterla e condividerla tutte le volte che sia necessario, nonostante che possa essere faticoso. Perché l'unico modo di articolarli è guardarli in faccia, capire le violenze, come interagiscono, si intersecano e assumerle.

La diversità è un problema solo per il fascismo, che ci vuole identiche ed egemoniche. La differenza però, parafrasando M’Bembe, è la condizione fondamentale degli esseri umani. In tutti i gruppi abita la differenza e in questa stessa differenza abitano le armi di un sistema che è violento di per se stesso e ci mette in luoghi sociali non solo diversi ma anche disuguali.

L’analisi dell’omonazionalismo deve capire tutte le disuguaglianze operative. E la resistenza all’omonazionalismo è possibile soltanto attraverso la comprensione e la denuncia sia del sistema etero normativo come del pensiero razziale e la brutalità di entrambi che, lungi dall'essere esclusivi, sono parte integrante.



(traduzione di Lia Di Peri)


Pikara magazine.



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