lunedì 3 ottobre 2011

Il nome della cosa. Classificare, schedare, discriminare

Il nome della cosa. Classificare, schedare, discriminare è il titolo del ventinovesimo numero di Zapruder, la cui pubblicazione è prevista per la prossima primavera. Curato da Fiammetta Balestracci e Ferruccio Ricciardi, il numero si propone di interrogare la storia delle pratiche amministrative di selezione, classificazione, identificazione che, apparentemente neutre e oggettive, diventano strumenti di differenziazione negativa, ovvero di discriminazione, stigmatizzazione e marginalizzazione.
 
Call for papers: Zapruder n. 29

*Il nome della cosa. Classificare, schedare, discriminare*

(a cura di Fiammetta Balestracci e Ferruccio Ricciardi )

Questo numero vuole interrogare la storia delle pratiche amministrative di selezione, classificazione, identificazione che, apparentemente neutre e oggettive, diventano strumenti di differenziazione negativa, ovvero di discriminazione, stigmatizzazione e marginalizzazione. Ad esempio, la tecnologia burocratica dell’identificazione a distanza (fondata sullo stato civile, gli schedari centralizzati, la carta d’identità, ecc.) è stata, dalla fine del XIX secolo in poi, uno dei mezzi a disposizione delle polizie europee per realizzare un controllo sociale esteso e preciso necessario al “buon governo” degli stati nazionali. Queste forme di controllo indiretto della popolazione si sono accompagnate a misure di prevenzione personale che, nell’insieme, miravano a proteggere la comunità civica e ad emarginare le forme di devianza più temute: le persone “oneste” non erano schedate dallo stato, lo erano chi apparteneva a categorie ritenute socialmente pericolose (fannulloni e nullatenenti, vagabondi, zingari, ecc.).

L’uso (e l’abuso) di questi strumenti amministrativi dipende in genere da un insieme di fattori, dal dispositivo giuridico in cui essi si inscrivono alla configurazione politica che li legittima. L’estensione “a fisarmonica” delle categorie soggette a misure di prevenzione/sicurezza spesso avviene in funzione delle urgenze politiche e sociali del momento (basti pensare alle misure di restrizione che, in Italia, colpirono gli oppositori politici allo stato liberale accomunandoli a briganti e vagabondi). Di qui l’interesse a indagare le forme storiche via via assunte dalle pratiche di costruzione amministrativa della discriminazione, gettando uno sguardo critico sul funzionamento di tutte quelle entità del potere che esercitano un controllo più o meno stringente sulle persone (dall’apparato statale nelle sue varie espressioni – la polizia in primis – ai luoghi della produzione industriale passando anche attraverso le comunità tecnico-scientifiche che detengono l’expertise in diversi campi) e su come le “categorie”, in concreto, sono costruite e vissute.

L’esame di queste categorie “in azione” può rivelare la forza cogente dei dispositivi di selezione/differenziazione e di controllo amministrativo. Perché per discriminare un gruppo di individui, bisogna anzitutto identificarlo, selezionarlo, schedarlo, in altre parole bisogna “nominarlo”.

L’interrogativo che poniamo è, in definitiva, molto semplice: in che modo il criterio discriminante adottato nelle pratiche amministrative di classificazione – il cui scopo è l’oggettivazione di una distinzione – diventa discriminatorio?

Dal punto di vista etimologico, la discriminazione è una distinzione. Ma tutte le forme di differenziazione tra individui o gruppi diversi non costituiscono per forza di cose una discriminazione. Le differenziazioni diventano delle discriminazioni quando si opera una selezione illegittima, ingiustificata o ingiusta, sia rispetto alle norme legali sia rispetto alle norme relative agli usi sociali. Si tratta dunque di capire quali sono le circostanze e i contesti storici in cui si verificano questi trattamenti apparentemente neutri ma che producono delle conseguenze negative su delle persone a causa della loro appartenenza, presunta o reale, a dei gruppi e/o a delle comunità oggetto di discriminazione.

Tenendo come punto di riferimento spazio-temporale l’Europa moderna e contemporanea (XVI-XX secolo), cerchiamo articoli e interventi che possano rispondere a questo insieme di questioni sia attraverso studi di caso sia per mezzo di riflessioni storiografiche di più largo respiro o, ancora, valorizzando fonti inedite (archivi iconografici, fonti orali, ecc.).

Gli abstract degli articoli (max 3.000 caratteri) dovranno pervenire ai curatori (ferricciardi@libero.it e balestracci@fbk.eu) entro il 1° dicembre 2011. Gli articoli completi dovranno poi essere consegnati entro il 28 febbraio 2012."
 
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