di Molla Teresa Castells
Abbiamo vissuto una settimana dove le notizie si sono affollate.
La
morte di Gheddafi, la morte di un campione del motociclismo,l'abbandono
delle armi da parte dell'organizzazione terrorista dell'ETA e alcune
notizie ci hanno portato a trascorrere qualche giornata di reale
voragine informativa.
Ogni notizia, naturalmente, aveva
corrispondenti opinioni e opinioni contrarie da parte delle persone che
formano i diversi forum di discussione e dei media e va da sé che le
diverse reti sociali"'bruciano".
Forse, la notizia più
seguita è stata l'abbandono delle armi da parte dell'ETA che è stata
annunciata lo scorso giovedì. Appena un mese prima delle prossime
elezioni generali.
L'analisi di detta notizia è stata
fatta da molte voci: politici, parti sociali,dalle differenti
associazioni delle vittime, ecc... e ciascuno con i suoi interessi, non
sempre pubblici.
Alla fine, come sempre, i numeri. A
quanto pare l'ETA ha ucciso un migliaio di persone nei suoi
cinquant'anni di lotta armata come riportato da tutte le fonti,la quale è
una verità sanguinosa per qualsiasi società.
Per tutto il tempo
che sono rimasta "inchiodata" davanti alla televisione e radio
ascoltando le differenti opinioni, continuavo a pensare la stessa cosa:
Dove sono quelli che dovrebbero difendere le vittime di un terrorismo
ancora più sanguinoso:il terrorismo sessista?
Non era il momento
di interagire con il momento informativo che si stava vivendo, ma mi
rifiuto di perdere ancora tempo,anche se in alcune reti sociali
cominciavano a dare questi dati anche la sera stessa.
Continuo
a chiedermi molte cose al riguardo.E tra queste : perché si rivendica
il terrorismo solamente quando proviene da organizzazioni e non da
singoli individui? Perché non si dà lo stesso trattamento informativo
della vittima del terrorismo ad una vittima del terrorismo sessista?
Perché ai terroristi che uccidono le loro partner non viene dato il nome
corrispondente di, per esempio, assassino, terrorista ecc...e sempre si
cerca di limitare la sua (loro) responsabilità ad ambiti più privati e
meno sociali, nonostante i progressi in questa direzione?
Continua
ad essere molto doloroso per me affrontare questo tema che fa male
all'anima, soprattutto dopo che rivendicai la condizione di vittima, non
solamente per le donne aggredite ma anche per le sue figlie ed i suoi
figli e gli altri parenti più stretti,e alcune persone delle
associazioni delle vittime del terrorismo politico sono arrivate ad
insultarmi per aver fatto tale comparazione.
Non mi
importa degli insulti. Mi interessa del perché si continui a dichiarare
lo status di vittima solamente per coloro che sono morti per mano di
quelli che comunemente vengono nominati terroristi in ambito sociale e
non privato.
Bisogna ricordare che negli ultimi dodici anni (che è
il periodo nel quale i dati sono disponibili) sono morte una media di
sessantacinque donne ogni anno, il che è una cifra abbastanza elevata. E
parlo solo della morte, senza considerare tutte le denunce che, pur
essendo molte, secondo gli esperti, sono soltanto il dieci per cento (il
dieci per cento!!!) di tutte le aggressioni che si verificano.
Chi,
a parte le persone coinvolte nella lotta contro questo flagello, parla
di far cessare questo terrorismo? Quando potremo celebrare la cessazione
delle attività armate di questo terrorismo?
Esse sono
vittime, ci piacca o no,di un terrorismo con una maggiore accettazione
sociale a causa di tutte le componenti culturali acquisite nel corso di
centinaia o migliaia di anni.
Sono vittime accettate e giustificate socialemente perché il sistema androcentrico possa sopravvivere.
E
nonostante tutti i progressi degli ultimi anni,rimangono ancoa troppi
interessi nel non riconoscerlo come tale in troppi ambiti e siamo
stanche che questo accada.
Per quanto tempo le loro voci continueranno a essere taciute e le loro morti solo una questione di numeri statistici?
Vittime.
Sono vittime di un terrorismo silenzioso, molto più dannose delle
organizzazioni terroriste, perché dietro ogni aggressione alla partner,
vi è un terrorista.
(traduzione di Anita Lia Di Peri Silviano)
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