lunedì 21 novembre 2011

Rapporto sulle donne palestinesi detenute.

Sono madri, sorelle, figlie o mogli dell'occupazione  e se anche sono una minoranza nelle carceri israeliani sono piene di forza per dire al mondo che sono capaci di lottare per i loro diritti e la libertà del loro popolo con la stessa intensità dei loro genitori, fratelli, figli o coniugi.

Anche se l'accordo tra Hamas e Israele prevede la liberazione  di tutti i prigionieri politici, senza eccezione alcuna, per quanto riguarda il genere femminile la realtà è molto diversa. Nove detenute sono state lasciate fuori dalla lista. Continuano a rimanere in prigione, settimane dopo la liberazione del primo lotto di prigionieri in attesa di essere tra i 550 nomi di detenuti e detenute ancora da rilasciare, che concluderà l'accordo del mese scorso.

Cinque di esse,Muna Qa'dan, Bushra al-Taweel, Haniya Naser, Fida Abu Sanina and Rania Abu Sabeh,arrestate tra giugno  e settembre  di quest'anno, sono rimaste nel periodo di interrogatorio, durante la liberazione dei 477 prigionieri politici palestinesi dello scorso ottobre. Questo periodo di interrogatorio, secondo le normative militari israeliane può durare fino a 180 giorni senza archiviare le accuse contro l'imputato.

Delle quattro restanti prigioniere, Lina Jarbuni ha la condanna più lunga. Fu arrestata nell'aprile del 2002 e condannata a diciasette anni di prigione accusata di aver aiutato una cellula di Hamas a Jenin.Dopo di lei c'è Wurud Qassem condannata a sei anni per avere sostenuto la resistenza attraverso il trasporto di materiale esplosivo dalla Cisgiordania a Ra' nana. Chiudono la lista delle prigioniere non liberate Khadija Habash e Suad an-Nazzal con pene rispettivamente di tre  e due anni.

Anche se durante la Dichiarazione di Vienna sulla Criminalità e la Giustizia nel 2000, si accettò unanimamente che le donne detenute necessitano di particolare attenzione da parte delle Nazioni Unite e di altre entità governative e professionali di varia natura, le prigioniere palestinesi subiscono nelle carceri israeliani abusi, vessazioni e continue violazioni dei diritti umani.

In Israele vi sono due carceri per le donne: la prigione di Hasharon e di Damon. La prima  si trova a Tel Aviv e dispone delle sezioni 11 e 12 per le donne; l'area 13 è riservata alle prigioniere in isolamento. Nel giugno del 2008 tutte le detenute della zona 11 sono state trasferite a Damon. Damon è un'ex fabbrica di tabacco ubicata a nord di Israele nei pressi di Haifa. Fin dal suo primo utilizzo, gli impianti furono  specificatamente progettati per mantenere l'umidità  e non ospitare gli esseri umani.

In queste carceri si commettono ripetute violazioni dei diritti fondamentali delle prigioniere palestinesi. Una di queste denunciata in numerose occasioni  da Addameer - organizzazione palestinese che difende i diritti dei prigionieri - è l'assenza di cure mediche. Le sue relazioni trimestrali e le numerose interviste realizzate alle prigioniere rilevano che in nessuno dei due carceri esistono cure mediche, ventiquattro ore al giorno. Il medico - che in nessun caso parla arabo - termina il suo turno alle quattro del pomeriggio e resta solamente l'infermiera per prescrivere antidolorifici. Se le detenute hanno bisogno di uno specialista,devono ottenere un permesso ufficiale da parte del medico che lo rilascia solamente quando la malattia ha raggiunto limiti molto gravi. In questo caso, le donne ricevono le cure in ospedale, mani e piedi legati, e molte di loro dopo questa esperienza rifiutano una successiva cura medica.

Le visite ginecologiche sono scarse e in tanti casi inesistenti, ed hanno a capo uno specialista maschio, nonostante che le visite ginecologiche e la scelta del sesso del medico durante la detenzione sono un diritto e una norma in Israele. La situazione si aggrava se la detenuta è incinta, dato che non ricevono una particolare attenzione e soffrono di malnutrizione, che arreca gravi problemi al feto. Ugualmente succede con le prigioniere che necessitano di cure ospedaliere, le recluse palestinesi che stanno per partorire sono portate in ospedale incatenate mani e piedi e dopo il parto immediatamente vengono incatenate,violando così un'altra volta, i loro diritti.

Oltre alla carenza di cure mediche,le detenute vivono in isolamento. Le visite dei familiari sono l'unico legame che le mantiene unite al mondo esterno e nella maggior parte dei casi  questi incontri sono limitati se non addirittura completamente eliminati, anche se le Nazioni Unite, stabiliscono nel paragrafo delle Regole Minime per il trattamento dei Prigionieri all'articolo 17 che ai prigionieri deve essere permesso, sotto supervisione, di comunicare con i loro familiari e amici intimi a mezzo corrispondenza e visite regolari.

I familiari delle prigioniere palestinesi non possono visitarle liberamente e necessitano di un  permesso speciale da parte delle autorità penitenziarie, quasi mai concesso, praticamente impossibile per uomini  di età compresa tra i sedici e i quarantacinque anni.A sua volta,  ad ogni palestinese che sia stato arrestato da Israele è categoricamente vietato visitare un parente in carcere. Considerando che dal 1967, 700.000 palestinesi sono stati arrestati la cifra ci mostra che almeno il trenta per cento della famiglia di una detenuta ha le visite vietate.

Se l'incontro avviene, tutto accade in un contesto violento e traumatico per entrambe le parti. I visitatori vengono anch'essi trattati come criminali. Gli si urla, vengono sottoposti a controllo completo dei loro beni e costretti ad aspettare per ore fuori dal carcere - senza contare il viaggio che hanno fatto dal luogo natale nei Territori occupati della Palestina fino al carcere, un viaggio che va dalle quattordici alle diciassette ore. Il contatto fisico è permesso solamente tra la madre e i  figli sotto i sei anni. In tutti gli altri casi, le riunioni non durano più di 45 minuti fatti  attraverso il vetro e un telefono rotto, per cui entrambi le parti devono urlare per sentirsi.

Anche l'istruzione viene utilizzata come arma di punizione in prigione. Secondo il dittato dell'UNESCO, tutti i prigionieri hanno il diritto di partecipare alle attività culturali e ricevere un'istruzione allo scopo di sviluppare il loro intelletto. Le amministrazioni di entrambi i carceri ovviano questo articolo e limitano l'accesso in questo settore. L'istruzione universitaria è un privilegio ed è soggetta a tanti differenti criteri, come la buona condotta della detenuta, la possibilità di possedere denaro per pagarsi le tasse universitarie,la scelta della carriera  e delle assegnazioni all'interno degli insegnamenti consentiti dalle autorità penitenziarie israeliane -  carriere come medicina, fisica o chimica sono categoricamente proibite - l'unico tipo di istruzione universitaria è resa possibile attraverso la corrispondenza in ebraico con l'Università Aperta di Israele. Inoltre. il penitenziario si riserva il diritto di annullare  e revocare il diritto allo studio in qualunque momento sulla base delle ragioni di sicurezza.

La stampa e la televisione sono controllate. Le televisioni che si trovano nelle prigioni sono state concesse dalle Ong o dai familiari delle detenute. Nonostante ciò i funzionari delle carceri scelgono la programmazione e il risultato sono catene israeliane in ebraico  o russo,anche se ci sono cinque canali satellitari in lingua araba. Lo stesso succede con la stampa,due giornali distribuiti in ebraico,Maariv e Yediot Aharonot e soltanto una volta alla settimana i prigionieri possono  leggere la stampa araba, grazie alla distribuzione di Al-Quds.

La situazione nelle carceri israeliani è insostenibile  e il trattamento delle prigioniere palestinesi inaccettabile. La mancanza di assistenza sanitaria, istruzione  e il contatto con le loro famiglie non solamente trasforma il penitenziario in un luogo ostile in cui vengono costantemente violati i diritti umani delle prigioniere , ma anche rende enormemente difficile la possibilità di reinserimento sociale di queste donne.

Centro di Informazione Alternativa  (AIC),Gerusalemme.

Alternative news

( Traduzione di Anita Lia Di Peri Silviano)


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