da Vincenza Perilli
In occasione del 25 novembre le iniziative di denuncia delle violenze contro le donne si moltiplicano, ottenendo un'effimera - quanto inutile - visibilità anche su quei mezzi di informazione ordinariamente silenziosi su queste questioni (tranne, beninteso, quando la "notizia" può essere proficuamente strumentalizzata e messa al servizio di politiche razziste e sessiste, sicuritarie e di controllo). Per questo, forse, avremmo evitato in questa giornata di scriverne se non ci fosse giunto da Paola Rudan - che ringraziamo - l'invito a far circolare l'appello di Migranda / Trama di Terre per Adama, donna migrante rinchiusa da fine agosto nel CIE di Bologna: aveva chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. L’unica risposta che Adama ha ricevuto è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. E la storia di Adama non è una storia isolata: il 13 dicembre, a Bruxelles, si svolgerà un convegno internazionale del Picum - un organismo che si occupa di migranti "senza documenti"* - sulla situazione difficilissima vissuta dalle donne migranti considerate "clandestine" in Europa. Chi mi ha inoltrato l'appello per Adama scrive qualcosa che condivido pienamente: "Non vogliamo essere le rappresentanti o le tutrici di una vittima, ma l'amplificatore di una donna che sta lottando e che non ha altro modo di far sentire la sua voce". Vi invitiamo dunque a firmare e far circolare l'appello che trovate nel sito di Migranda, affinché Adama possa "riprendere in mano la propria vita" e noi tutte la nostra.
Marginalia
In occasione del 25 novembre le iniziative di denuncia delle violenze contro le donne si moltiplicano, ottenendo un'effimera - quanto inutile - visibilità anche su quei mezzi di informazione ordinariamente silenziosi su queste questioni (tranne, beninteso, quando la "notizia" può essere proficuamente strumentalizzata e messa al servizio di politiche razziste e sessiste, sicuritarie e di controllo). Per questo, forse, avremmo evitato in questa giornata di scriverne se non ci fosse giunto da Paola Rudan - che ringraziamo - l'invito a far circolare l'appello di Migranda / Trama di Terre per Adama, donna migrante rinchiusa da fine agosto nel CIE di Bologna: aveva chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. L’unica risposta che Adama ha ricevuto è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. E la storia di Adama non è una storia isolata: il 13 dicembre, a Bruxelles, si svolgerà un convegno internazionale del Picum - un organismo che si occupa di migranti "senza documenti"* - sulla situazione difficilissima vissuta dalle donne migranti considerate "clandestine" in Europa. Chi mi ha inoltrato l'appello per Adama scrive qualcosa che condivido pienamente: "Non vogliamo essere le rappresentanti o le tutrici di una vittima, ma l'amplificatore di una donna che sta lottando e che non ha altro modo di far sentire la sua voce". Vi invitiamo dunque a firmare e far circolare l'appello che trovate nel sito di Migranda, affinché Adama possa "riprendere in mano la propria vita" e noi tutte la nostra.
Marginalia
APPELLO PER ADAMA: UNA STORIA, MOLTE VIOLENZE
Le adesioni all’appello arrivano più veloci dei nostri aggiornamenti, ma continueremo a pubblicarle. In questa pagina (Appello per Adama)
pubblichiamo anche le tante parole di sostegno per Adama, che arrivano
con le ancora più numerose adesioni all’appello che chiede la sua
immediata liberazione dal CIE di Bologna. Cercheremo di aggiornare
questa pagina continuamente, perché la voce di Adama sia amplificata in
ogni momento.
Pubblichiamo questo appello
in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Per
adesioni scrivete a migranda2011@gmail.com
Adama è una donna e una migrante. Mentre scriviamo, Adama è rinchiusa nel CIE di Bologna. È
rinchiusa in via Mattei dal 26 agosto, quando ha chiamato i carabinieri
di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla
gola con un coltello dal suo ex-compagno. Le istituzioni hanno
risposto alla sua richiesta di aiuto con la detenzione amministrativa
riservata ai migranti che non hanno un regolare permesso di soggiorno.
La sua storia non ha avuto alcuna importanza per loro. La sua storia – che racconta di una doppia violenza subita come donna e come migrante – ha molta importanza per noi.
Secondo la legge Bossi-Fini Adama
è arrivata in Italia illegalmente. Per noi è arrivata in Italia
coraggiosamente, per dare ai propri figli rimasti in Senegal una vita
più dignitosa. Ha trovato lavoro e una casa tramite lo stesso
uomo che prima l’ha aiutata e protetta, diventando il suo compagno, e si
è poi trasformato in un aguzzino. Un uomo abile a usare la legge Bossi-Fini come ricatto.
Per quattro anni, quest’uomo ha minacciato Adama di denunciarla e farla
espellere dal paese se lei non avesse accettato ogni suo arbitrio. Per
quattro anni l’ha derubata di parte del suo salario, usando la
clandestinità di Adama come arma in suo potere.
Quando Adama ha dovuto rivolgersi
alle forze dell’ordine, l’unica risposta è stata la detenzione nel buco
nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe
restare ancora per mesi. L’avvocato di Adama ha presentato il
16 settembre una richiesta di entrare nel CIE accompagnato da medici e
da un interprete, affinché le sue condizioni di salute fossero accertate
e la sua denuncia per la violenza subita fosse raccolta. La Prefettura
di Bologna ha autorizzato l’ingresso dei medici e dell’interprete il 25
ottobre. È trascorso più di un mese prima che Adama potesse finalmente denunciare il suo aggressore, e non sappiamo quanto tempo occorrerà perché possa riottenere la libertà.
Sappiamo però che ogni giorno è un giorno di troppo. Sappiamo che la violenza che Adama ha subito, come donna e come migrante, riguarda tutte le donne
e non è perciò possibile lasciar trascorrere un momento di più. Il CIE è
solo l’espressione più feroce e violenta di una legge, la Bossi-Fini,
che impone il silenzio e che trasforma donne coraggiose in vittime
impotenti.
Noi donne non possiamo tacere
mentre Adama sta portando avanti questa battaglia. Per questo facciamo
appello a tutti i collettivi, le associazioni, le istituzioni,
affinché chiedano la sua immediata liberazione dal CIE e la concessione
di un permesso di soggiorno che le consenta di riprendere in mano la
propria vita.
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